“Italianesi”, ovvero italiani-albanesi: un termine inventato ma che salda in maniera indissolubile la duplice identità di quelle persone nate in Albania da genitori italiani che, durante la guerra, per vari motivi – chi perché militare, chi perché trasferitosi per lavoro – con la liberazione dall’occupazione nazi-fascista e la salita al potere del regime di Enver Hoxha, era stato bloccato nel paese balcanico senza più la possibilità fare ritorno in patria.
Voci e testimonianze di connazionali nati in Albania da padri italiani costretti a rimanere in quel paese alla fine della guerra
L’attore e regista teatrale Saverio La Ruina ricava il documentario Italianesi, vincitore del Tirana Film Festival e, ora, proiettato alla 7ª edizione dell’Euro Balkan Film Festival, dalla sua pièce teatrale omonima. Un lavoro che raccontava, attraverso un’unica voce, le drammatiche storie di molti dei discendenti di quei nostri connazionali impossibilitati a far ritorno a casa al termine del secondo conflitto mondiale.
Al contrario, nel film, prodotto da Scena Verticale con il contributo della Calabria Film Commission, i racconti che La Ruina ha portato sul palcoscenico, acquistano i volti e le voci dei veri protagonisti di quelle vicende, trasformando così il monologo teatrale in un’opera corale in cui le tante narrazioni contribuiscono a svelarci un pezzo di storia italiana semisconosciuto ai più.
Quelle che vengono raccontate nel film, sono vicende toccanti, che mostrano ai nostri occhi una realtà fatta di dolore e patimenti, di sradicamento dalle proprie origini e di allontanamento dai propri padri che, a un certo punto, vennero rispediti in Italia dal regime senza la possibilità di portare con sé le famiglie, che rimasero, così, in Albania recluse in centri di internamento e lì dimenticate per oltre quarant’anni.
In Italianesi si alternano le interviste fatte dal regista a vari personaggi nati in Albania da padre italiani e rientrati in Italia a partire dal 1991, anno dell’apertura dei confini del Paese delle Aquile, al viaggio che lo stesso La Ruina compie in Albania in compagnia di Pierino Cieno, uno degli italiani d’Albania che ha visto per la prima volta l’Italia proprio in quell’anno, giuntovi con la forte motivazione di incontrare il padre che non aveva mai conosciuto.
Tutti i protagonisti sono accomunati dal dolore profondo derivante dalla perdita di identità
Ciò che accomuna tutti gli intervistati e che emerge prepotente durante la visione del film, è il dolore profondo derivante dalla perdita di identità. Lo fa chiaramente capire uno degli intervistati quando, alla domanda postagli da La Ruina: “Di dove sei?” non sa rispondere in quanto, la stessa, implicherebbe risposte multiple a seconda del senso che le si vuole dare. Si può essere albanesi in quanto nati in Albania, in un luogo in cui, nel bene e nel male si è vissuto per molti anni. Allo stesso tempo si è italiani se non ci si focalizza esclusivamente sul luogo geografico ma se, al contrario, si considera tutta una serie di fattori che vanno dalla cultura e dal senso di appartenenza a un paese. Di fatto italiani in Albania e albanesi in Italia, mai veramente a casa.
Così nel documentario si dipanano le varie storie e veniamo accompagnati da La Ruina e da Cieno in un viaggio doloroso, fatto di ricordi e rancori. Un paese che lo stesso Cieno confessa di aver sempre vissuto male per avergli “cancellato gli anni più belli della sua vita, da innocente, senza aver mai fatto del male a nessuno”. Lui che, appena nato, è stato internato in un campo uscendone dopo quarant’anni.
Italianesi diventa così una testimonianza preziosa per comprendere avvenimenti distanti ma che, in qualche modo, ci appartengono. Storie che facciamo nostre ascoltando le voci dei diretti interessati, fra testimonianze, ricordi e canzoni di Battisti w Sandro Giacobbe cantate in maniera più o meno intonata ma sempre con il cuore, perché rappresentano un legame con la terra di origine dei propri genitori.