Generale dietro la collina ci sta la notte crucca e assassina: questi versi di Generale di Francesco De Gregori appaiono davvero appropriati per introdurre questo film di Mario Martone, l’intenso Teatro di guerra, girato nel 1998 (e presentato nello stesso anno nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes), due anni dopo il terribile assedio che subì Sarajevo durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina. Proprio in virtù della tematica, il film verrà proiettato all’Euro Balkan Film Festival il 6 Novembre.
Teatro di guerra: la messa in scena di una tragedia
Martone mettendo in scena la tragedia di Eschilo I sette contro Tebe, scontro fratricida in cui nessuno esce davvero vincitore, evoca con la forza della rappresentazione un dramma che si consumava a pochi chilometri da noi, dall’altra parte dell’Adriatico. Una guerra per noi occidentali incomprensibile, nonostante la vicinanza geografica; Martone fa i conti proprio con questa difficoltà da parte nostra di capire i motivi di un conflitto che per anni si è svolto sotto i nostri occhi. E allora non potendo, ma soprattutto non volendo, filmare l’orrore della guerra, il regista napoletano con stile documentaristico riprende le vere prove dello spettacolo che stava all’epoca allestendo, alternando il tutto con stralci delle vite degli attori coinvolti nel progetto. Il cast è brillante e vede, tra gli altri, Andrea Renzi, l’indimenticabile protagonista de L’uomo in più di Paolo Sorrentino, Toni Servillo, anch’esso teatrante e collega di Martone, Anna Bonaiuto, Iaia Forte, Roberto De Francesco e Marco Baliani.
Il teatro o la guerra?
Una guerra quella del teatro indipendente che cercava in tutti i modi di riuscire, nonostante le grandi difficoltà, a realizzare un progetto come quello di andare a Sarajevo a mettere in scena uno spettacolo dal grande impatto emotivo. Martone radica fortemente il suo film in una Napoli che diviene un elemento portante della struttura; la cultura partenopea, compresa la malavita che la abita, entra di prepotenza in una sceneggiatura in cui si alternano diversi piani narrativi, e l’abilità del regista sta proprio nel passare dall’uno all’altro con grande fluidità, accompagnando lo spettatore in un andirivieni che stimola riflessioni di diversa natura, ma tutte fortemente connesse dall’ombra di una guerra che incombe.
Ci sono diverse opposizioni operative: quella tra Napoli e Sarajevo, l’opposizione tra un teatro sperimentale e di avanguardia e quello dei teatri stabili, tra la pace e la guerra, tra l’opulenza e la povertà, ma tutto non si risolve nel classico andamento dialettico, piuttosto non si smette di fare segno a qualcosa che valica i limiti della semplice rappresentazione. L’orrore non è rappresentabile, e anche se lo fosse si può decidere di preferirgli (come emerge nell’interessante ultimo film di Paolo Sorrentino Youth – La giovinezza) il desiderio, come quello che anima una piccola compagnia teatrale che crede in un progetto, superando numerosi ostacoli.
Cos’altro sapere
Di Sarajevo non vediamo mai nulla, tranne un pezzo di intonaco della libreria della città inviato da Jasmin, il referente bosniaco, a Leo, il regista (Andrea Renzi), e che fa presagire che il progetto naufragherà. Cosa rimane di tutto il lavoro svolto, degli sforzi profusi, delle risorse, soprattutto psichiche, investite? Su tutto cade il silenzio e l’ultima sequenza vede un cinico Toni Servillo fare, con qualche tagliente battuta, il funerale a un’avventura che avrebbe potuto, pur nella sua ristretta dimensione, portare un filo di speranza in un contesto gravato da una delle più grandi catastrofi che la Storia del Novecento ricordi. Teatro di guerra avrebbe meritato un maggior numero di riconoscimenti, vista la qualità del progetto e l’ampio respiro culturale e umano che lo anima.
Luca Biscontini