Manu. A visual album è stato presentato a Linea d’Ombra Festival, a Salerno, nella sezione dei nove documentari selezionati e provenienti da sette nazioni diverse. Per la regia di Alexandra Cuesta, il film riprende la vita di una popolazione indigena dell’Ecuador, in Sudamerica, alle prese con faccende di ordine quotidiano, attività svolte in comune, riti e credenze collettive e ancora marcate identità personali.
Ad accompagnare il documentario, e regalare al tempo stesso un’emozionante colonna sonora, sono le melodie del violino del compositore Bryan Senti. Costui nel 2022 ha debuttato con l’album musicale dal titolo Manu: la relazione con il lavoro di Cuesta non potrebbe essere più immediata.
La natura attraverso uno schermo
La grande protagonista in Manu. A visual album, insieme alle immagini, è la natura. Una sterminata natura incontaminata, sacra, condivisa e amata. Niente a che vedere con quel “terra nullius”, a cui (troppo) spesso gli europei nel tempo si sono riferiti, con il tentativo – la maggior parte delle volte mal celato – di appropriarsene. Una natura viva, vera, presente e parlante.
Da Leopardi (e ancora prima dagli autori dell’antichità classica) a Zanzotto, nella letteratura, la natura si pone come interlocutrice diretta nei confronti dell’essere umano, suo primo referente nel mondo. E insieme privilegiato oggetto di studio e interrogazione di carattere intellettuale: che cos’è natura, rispetto agli abitanti del pianeta? Un’entità mostruosa, madre di parto e di voler matrigna, una compagna fedele di vita, un’oscura macchiolina all’orizzonte, o ancora un’amica a cui affidarsi nell’ascolto delle proprie inconsolabili pene e affanni?
La natura in Manu. A visual album è tutto ciò, e ancora di più. Il montaggio di Cuesta riesce a sintetizzare una tradizione lunga secoli e offrire uno sguardo nuovo, un orizzonte diverso, attraverso l’aggiunta dello strumento cinepresa: la natura diviene mezzo di scoperta delle interiorità dei personaggi filmati. La macchina da presa si annida in religioso silenzio tra le frasche degli alberi, a pelo d’acqua del fiume e tra le rocce, per mostrare e mostrarsi. Disegna l’umano, con il fine di rendere partecipe lo spettatore di quei movimenti interiori, dell’evoluzione personale e delle umane emozioni, che diventano così universali.
Immagini intime, immagine antiche
Manu. A visual album è un film che fissa la sua essenza, anche comunicativa, attraverso immagini precise, che risultano montate al “momento giusto” e nella corretta posizione temporale. Se ogni film è fatto per immagini, Manu. A visual album va oltre, e mostra la deriva poetica delle immagini, unite alla loro singolare forza. Non ci può essere racconto senza immagini e non ci può essere neppure una qualunque forma di testimonianza, priva di queste.
Il documentario di Cuesta, consapevole di ciò, non sembra tanto impegnato nel resoconto fedele e costante della vita di una popolazione indigena del Sudamerica; la possibilità di mostrare tali persone, pare invece un mezzo. Per raccontare altro. È la natura che emerge e si racconta attraverso l’umano. Quest’ultimo, infatti, è presente in forma minore rispetto alla prima, che invece occupa tutto lo spazio, fin dalla prima inquadratura.
Immagini di donne, bambini, uomini e anziani. Famiglie, volti e le loro espressioni. Quasi sempre di spalle, con lo sguardo diretto verso la natura; loro – la popolazione indigena – che ancora può guardare la natura, ché la vede integra, specie nella sua dignità di personaggio millenario. La musica di Senti, così profondamente intima, riesce perfettamente nell’intento di evocare pensieri, ricordi, emozioni, e soprattutto sensazioni circa un mondo primitivo, che sembra ormai esserci precluso nella sua bellezza e ricchezza immacolata.
Il ruolo della natura e il fantasma del cambiamento climatico
La natura in Manu. A visual album è atto di resistenza di fronte al trauma del cambiamento climatico che imperversa nel mondo. Di fronte al colore e alla luce della natura, allora è impossibile non notare le sue ombre, che nel documentario si traducono nell’uso del bianco e nero, simbolo di una ferita profonda nell’anima del mondo.
Si è perso – con un celato riferimento e insieme monito alle popolazioni europee – il sacro legame con la natura, che è divenuta mera materia da plasmare e da sfruttare. È allora impossibile vedersi, specchiarsi in questo tipo di natura, che rimane così esclusa da qualsiasi possibilità di condivisione del sentire umano, riferito soprattutto alla vita di una collettività.
Eppure, un’immagine resta, e consegna il testimone di speranza, dal documentario allo spettatore. Un fiore rosso, che spazza via il bianco e nero, e si erge nella natura, in tutta la forza del suo colore. Segno inconfondibile di rinascita e coraggio.
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