Possono essere utilizzate tante parole altisonanti per parlare di Si Dice di Me, di Isabella Mari, che insegue con la camera Marina Rippa e il suo lavoro laboratoriale con le donne di Napoli. Eppure banalizzerebbero e appiattirebbero questo resoconto su una fidelizzazione accademica dalla quale la stessa regista e Rippa vogliono discostarsi. Sarebbe facile aprire una parentesi sul teatro sociale, ma che vuol dire teatro sociale? La vita vera non ha definizione, come difficile risulta per tutte le donne del progetto di Rippa trovare una definizione a loro stesse, che forse nella vita, affaccendate nelle proprie fatiche, non hanno mai trovato il tempo di chiederselo.
Il teatro sociale
Il teatro sociale fa capo a una storia laboratoriale in cui vengono coinvolte persone non professioniste dell’ambito teatrale che, tramite i conduttori culturali, riescono a costruire un progetto teatrale allo stesso tempo facendone emergere verità, contraddizione, dolore e, infine, cura. Cura come accudimento dell’altro. Le persone coinvolte nel teatro sociale ne utilizzano le tecniche per prendere consapevolezza di sé, del proprio corpo, degli spazi propri e degli altri, riscoprendosi infine nuove, diverse da ciò che credevano di essere (o che erano state obbligate a pensare di essere).
Si dice di me: La scena delle donne, lo spazio laboratoriale a “Piazza Forcella”
Nel film di Isabella Mari non sentiamo mai parlare di teatro sociale, non si utilizzano termini divisivi che richiamano un certo tipo di teatro. Marina Rippa ci dice che il teatro è quello che vediamo: il risultato di un percorso che impiega mesi o anni ma i cui risultati implicano, sempre, una trasformazione. Nello spazio comunale Piazza Forcella dal 2013, ogni lunedì si riuniscono le protagoniste dello spazio laboratoriale La scena delle donne. Nel film di Mari impariamo a conoscerne alcune, ne possiamo assaggiare la personalità e le fragilità, sfioriamo con delicatezza le storie che decidono di raccontare.
Marina Rippa viene ripresa mentre sfoglia cataloghi dei progetti teatrali raccolti nella sua libreria: più di trent’anni di storie che raccontano cinquecento donne. “Che fine faranno questi documenti quando io non ci sarò più?” chiede dopo aver mostrato le fotografie di alcune donne di cui ricorda perfettamente i nomi. “Con le prime che sono venute lavoravamo da sedute perché non erano abituate a utilizzare il corpo”. Questa è la portata del lavoro di Rippa, questa è la volontà di Mari di non lasciar che prenda la polvere. Perché, se pure quei progetti sembrano aver fatto il loro tempo, continuano a vivere nelle speranze di un’eredità che continua a tramandarsi e di cui Rippa, nel suo piccolo, eppure grandissimo, contributo, è protagonista.
Si Dice di Me: Isabella Mari e la volontà di restituire il reale
Le storie delle donne raccontate da Mari sono difficilissime e mica perché sono donne che si piangono addosso, anzi. Isabella Mari le rappresenta con l’incredibile dignità, con l’aura di rispetto e vitalità che le caratterizza. La regista restituisce verità alla performance: le donne di Napoli si raccontano con tutti i loro drammi, melodrammi e traumi e rimangono bellissime e fedeli a se stesse, sopravvissute a una vita durissima che le ha private di qualcosa, che poi sono riuscite a ritrovare nel teatro di Marina. Si percepiscono l’affetto, l’amore, la sorellanza che condividono, ma anche il sentimento di rispetto verso Marina che da salvatrice diventa amica, poi sorella, infine figlia quando lei stessa diventa qualcuno di cui prendersi cura.
Nel documentario Si Dice di Me non c’è spazio per le sdolcinatezze. Attraverso i racconti difficilissimi delle sue protagoniste si dirama uno schema, che parla di donne che hanno dovuto ritagliarsi qualcosa per sé per non morire, per non soccombere a una società difficile, una società che non prometteva nessuna via di fuga. Eppure Marina Rippa l’ha creata, ha scavato il solco perché il ruscello potesse scorrere e non importa quanto tempo passerà. Quello che fanno Marina Rippa e tutte le donne che partecipano ai suoi laboratori costituisce un’eredità storica di inestimabile valore, a cui possiamo solo dire grazie.
Si dice di me è presentato alla Festa del Cinema di Roma 2024.
Editing Sandra Orlando.