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Interviews

Valeria Bullo. Diversity, Equity & Inclusion

Intervista alla vincitrice del premio Diversity & Inclusion Consultant, founder di Cinemamas e Presidente di Reclaim the Frame

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L’idea di una mamma lavoratrice, nel 2024, è ormai parte integrante della quotidianità. Prendersi cura dei figli e avere un lavoro di successo non sono cose che si escludono a vicenda, e non devono farlo. Valeria Bullo è un esempio vivente di tutto questo. Il suo lavoro e il suo contributo nell’ambito del Diversity, Equity & Inclusion e Mental Health dimostrano quanto siano importanti questi argomenti in ogni settore. Soprattutto in quelli nei quali ancora non se ne parla, o quasi.

Essere madri nel settore cinematografico

Italiana, nata e cresciuta in Irlanda, Valeria Bullo ha studiato all’estero e si è trasferita a Londra in cerca di una carriera nel cinema. Ad oggi questa è ben delineata, tanto che proprio ai  Production Guild of Great Britain Awards (PGGB) di quest’anno, 2024, ha ricevuto il premio Diversity & Inclusion Champion of the Year. L’evento si è tenuto vicino a Londra e il premio da lei vinto è stato sponsorizzato da EON Productions. Questa la motivazione alla consegna del premio:

Per il suo instancabile lavoro nel rendere l’industria un luogo più gentile, inclusivo e sano per tutti. Il suo impegno a favore del supporto per la salute mentale, del sostegno tra colleghi e della lotta contro lo stigma del settore è stato trasformativo e incrollabile, sia all’interno delle aziende che come consulente.

Per portare avanti questi suoi progetti di Diversity, Equity & Inclusion, Human Resources, Education, and Mental Health (diversità, equità e inclusione, risorse umane, istruzione e salute mentale) anche in Italia farà un workshop al MIA Market, a Roma il prossimo ottobre.

Abbiamo avuto l’occasione di intervistarla, non solo sul premio ma su tutta la sua carriera passata e futura.

Cosa significano per te eguaglianza di genere e produzioni “mentalmente sane”?

Su questo argomento, purtroppo, c’è, inoltre, anche poco interesse. Nel linguaggio utilizzato soprattutto, perché invece di chiamarla “salute mentale”, sarebbe meglio utilizzare “benessere sul set”.

Inoltre, le produzioni in cui esiste una completa parità tra uomini e donne, tra i sessi, sono davvero poche o nulle. In particolare, questa disuguaglianza è evidente quando si tratta di retribuzione e di ruoli, come in quelli tecnici (che di solito sono a prevalenza maschile): i reparti tecnici come la macchina da presa o le luci.

Arrivare ad avere davvero un luogo di lavoro inclusivo vorrebbe dire avere una normalizzazione dei bisogni assistenziali o delle responsabilità assistenziali, dei bisogni di salute mentale e di quelli di accesso.

E poi, ovviamente, quando si parla di stato socioeconomico, o razza, di età, etnia, colore, disabilità, religione, cultura, genere, orientamento sessuale o identità di genere si arriva al punto in cui le persone sono tutte trattate allo stesso modo e ci si allontana quindi dallo stereotipo di questa industria audiovisiva bianca, borghese, maschile, eterosessuale e neurotipica.

Secondo te, come sono e come cambieranno il ruolo e la presenza della donna all’interno dei set cinematografici?

Alla Berlinale del 2024 è stato presentato un report, che trattava appunto della situazione, soprattutto per quanto riguarda il gender pay gap (divario retributivo di genere) nel settore audiovisivo europeo. E proprio riguardo a questo c’è molto lavoro da fare, sia a livello di presenza che di paga. Nel 2024 è quasi scioccante vedere queste statistiche.

Con Cinemamas, che è il gruppo che io ho creato e che dà supporto non soltanto alle mamme, ma principalmente alle donne nel mondo del film e della televisione, abbiamo collaborato con diverse associazioni. Una di queste è un’associazione qui in Inghilterra che si chiama Women Behind the Camera, proprio per portare avanti queste iniziative di normalizzare questo bisogno, questa urgenza di dare una parità completa, sia a livello finanziario che a livello fisico.

Come è nata invece l’idea di Cinemamas?

Cinemamas è nata perché nel 2019, dopo 17 anni sui set, sono diventata mamma e non avendo una famiglia, un support network qui, mi chiedevo come si facesse a sopravvivere come genitore nel settore. Cioè, come si fa a fare gli orari dalle 5 del mattino alle 11 di sera quando magari i childcare providers (servizi per l’infanzia come babysitter), i nidi, gli asili sono aperti dalle 9 del mattino alle 17?. Come si fa a creare un supporto per noi stessi quando come freelancer non abbiamo nessun diritto, non abbiamo indennità di maternità? Alla fine è tutto su noi stessi, sulle nostre spalle.

Da un bisogno si è poi creato un network, che è cresciuto sempre di più, dove si scambiano consigli e idee. Portiamo avanti delle iniziative, come quella del job sharing, quindi del lavorare in modo flessibile. Questi sono concetti ancora molto nuovi per il settore, ma funzionano. Non sono neanche solamente per genitori, ma sono anche per chi vuole avere un bilancio più sano tra vita e lavoro: chi magari vuole avere un hobby, chi ha delle esigenze particolari (magari famigliari, un genitore anziano) o semplicemente per motivi di salute. Oltre a creare una comunità dove si crea un senso di sorellanza.

Quali sono i problemi di una madre all’interno dell’ambiente cinematografico?

Sicuramente il problema più grande è quello di avere paura di lasciare il lavoro per andare a dare priorità alla famiglia. Quella cinematografica è un’industria reattiva nella quale bisogna e si vuole essere attivi 24 ore al giorno.

Abbiamo la tendenza al renderci le cose difficili e a sacrificarci completamente in funzione dei nostri lavori. Essere una madre, invece, significa che le tue priorità sono cambiate. Uno dei problemi più importanti è quello di avere il coraggio di impostare le tue priorità, in questo caso su tuo figlio/tua figlia o sulla famiglia.

Tutti i problemi confluiscono nella mancanza di flessibilità. Ci troviamo in un’industria che ha sempre lavorato in modo molto specifico e non siamo abituati a permettere che le persone cambino priorità.

Bisognerebbe creare un ambiente lavorativo psicologicamente sicuro, dove c’è fiducia. Purtroppo, però, esistono dei bias che andrebbero sdoganati, come quelli che le madri, o i genitori più in generale, non riescono a fare determinate cose. Se invece si vuole continuare a portare o mantenerle, all’interno di questo settore, persone competenti bisogna anche pensare che, qualora decidessero di diventare genitori, serva della flessibilità. Bisognerebbe cambiare un po’ il sistema in generale.

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Intervista a Valeria Bullo