Al Lucca Film Festival arriva Rei (2024), film di debutto del regista giapponese Toshihiko Tanaka. Il film è in anteprima italiana ed è la decima opera in concorso della kermesse.
Vincitore all’International Film Festival di Rotterdam 2024 per la sezione Tiger Competition, Tanaka ha lavorato anche alla sceneggiatura, al montaggio e alla direzione della fotografia del film. Inoltre, è anche interprete di uno dei personaggi principali.
Di cosa parla Rei
“Rei”, in giapponese, è un sostantivo senza genere e il suo carattere (o kanji) da solo non ha nessun significato, può averlo soltanto se in coppia con un altro kanji. Il titolo di questa ambiziosa esplorazione delle relazioni umane di Tanaka rappresenta, di fatto, lo stesso approccio polisemico del film stesso. La natura di questo termine si mostra come il simbolo perfetto per ritrarre il personaggio principale, ovvero la trentenne e impiegata d’azienda Matsushita Hikari (Takara Suzuki). La sua vita è stabile e apparentemente priva di preoccupazioni, a differenza di chi la circonda. Ma è attraverso i propri problemi che le persone trovano la loro controparte nella vita, qualcuno o qualcosa che doni loro un equilibrio vitale. A Hikari questo non succede, non riesce a trovare il senso di una vita così tranquilla e “priva di colori”, come lei stessa la definisce.
Nel tentativo di trovare il proprio posto nel mondo, si lega a due uomini. Uno è un attore nella compagnia teatrale che frequenta, simbolo della Tokyo contemporanea, l’altro è un fotografo non udente che vive isolato nelle montagne dell’Hokkaido. Grazie in particolare a quest’ultimo, Masato (interpretato dal regista), Hikari intraprende un viaggio che trasformerà il suo senso dell’essere e la sua connessione con il mondo.
Questa sorta di triangolo, sconnesso e confusionario, dà forma a una costruzione narrativa intensa focalizzata sui rapporti di simmetrie o specularità dei personaggi coinvolti. Specularità, inoltre, con il termine “rei”, perché è proprio grazie alle loro unioni che i personaggi cercano e, forse, trovano un senso alla realtà e sé stessi.
Un viaggio introspettivo sull’idealizzazione e la co-dipendenza
Come già detto, il carattere ‘rei’ non ha nessun significato da solo, lo acquista solo quando associato ad altri. Attraverso questo aspetto linguistico si svela la base concettuale della storia: qualcosa che esiste solo se e quando connessa ad altra. Di fatto, il titolo originale significa “coppia di rei.”
La scoperta di sé in relazione ad altri, ad ogni modo, non segue la linea del “nessun uomo è un’isola”, ma affronta i rischi della co-dipendenza e dell’estrema idealizzazione delle persone a noi vicine. Hikari idealizza gli uomini con cui si lega, perché li vive come espedienti per il proprio sviluppo personale. D’altro canto, è co-dipendente dalla sua migliore amica Asami (Maeko Oyama), il suo opposto, da cui ricerca conforto per non aver ancora trovato il suo posto nel mondo. Asami è una donna apparentemente riuscita: ha una famiglia e un marito. Eppure soffre di stress perché il figlio è disabile, e si sente sola perché sospetta che il marito la tradisca. Ma sono proprio queste problematiche ad attrarre Hikari agli altri: lei vorrebbe una vita più ricca, non importa se fatta di sofferenze e ostacoli.
Per questo motivo Hikari vive d’arte. Frequenta il teatro, si innamora del talento fotografico di Masato. Cerca costantemente un appiglio a una vita romanticizzata e idealizzata, perché il pensiero di continuare a vivere una vita blanda la distrugge. Nella costante ricerca di stimoli e poeticità, però, Hikari non si rende conto di star distruggendo anche chi le è più caro. Diventa così ancora più sottile la linea che divide l’Io dal mondo, i sentimenti reali da quelli performativi.
Una prima opera matura e intensa
Per questa prima opera, il regista ha lavorato con un cast e una troupe composti per la maggior parte da non professionisti e studenti. Questo trasforma Rei in un impressionante debutto alla regia per Tanaka.
Il film si distingue per un ritmo misurato, con la giusta aggiunta di melodramma, in sintonia con i cambiamenti emotivi (e non solo) di Hikari. Nel far ciò, Tanaka accompagna l’intensità emotiva della storia con una fotografia d’eccezione, grazie ai paesaggi tipici di una Hokkaido innevata. Grazie all’aspetto estetico e tecnico, Rei riesce a sviscerare con gran facilità le emozioni umane e il nostro approccio verso la solitudine e la co-dipendenza.
In poco più di tre ore di film, Tanaka dà forma ad un intero universo di relazioni umane, divise tra il caotico e nevrotico isolamento delle metropoli e quello esistenzialista e naturale della montagna. In uno spazio così ampio, dove nessuno ha senso senza l’altro, l’aspetto comunicativo diventa centrale, specialmente nel rapporto tra Hikari e Masato. La loro intesa è capace di andare oltre le parole o la scrittura di ciò che si vogliono dire grazie a un quaderno che Hikari porta con sé. Per loro due contano gli sguardi e la sintonia fisica e mentale che li lega. Allo stesso tempo, proprio l’approccio comunicativo causa separazioni, unioni e problematiche all’interno del loro rapporto.
Non solo, ma il senso dell’opera si basa sulla rappresentazione contorta della relazione, soprattutto conflittuale, tra narrazione verbale e visiva dell’arte (in particolare teatro, fotografia e cinema) e della vita stessa. I due personaggi maschili rappresentano due mondi sociali agli antipodi, nonché due forme artistiche diverse. Da qui l’attrazione della donna per entrambi i mondi; personali, passionali e professionali. Ed è qui che l’opera prima di Tanaka si dimostra matura nonostante sia un debutto cinematografico. Il regista non solo esplora l’aspetto umanizzante, ma porta anche in scena un mondo multidimensionale ed esistenzialista, dove l’introspezione non si ferma ai sentimenti personali amorosi, ma verso qualcosa di più ampio e significativo.