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Lucca Film Festival

Valerio Mieli – Il tempo del cinema

Regista dalla cifra stilistica e autoriale intimista e unica nella cinematografia italiana contemporanea, Valerio Mieli, è stato uno dei giurati all'ultima edizione del Lucca Film Festival

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Valerio Mieli, giuria al Lucca Film Festival

Segue l’evolversi del tempo, delle storie, d’amore e di vita, che rispecchiano e riflettono quelle di ciascuno di noi. Del nostro rapportarsi agli altri, e a noi stessi. Al nostro modo di vivere, pensare, sperimentare, e ricordare. E lo fa, Valerio Mieli, con un occhio sempre intimo, sempre ricercato, sempre delicato, da Dieci Inverni a Ricordi?, dalla scrittura dei suoi romanzi e racconti, alcuni in uscita ad anno nuovo. Così come osservando e guardando i film e le opere altrui. Come, ad esempio, ha fatto, in giuria con Lidia Vitale e Guido Iculano, al Lucca Film Festival.

I film in concorso al Lucca Film Festival erano tutti film molto diversi tra di loro, non solo nelle argomentazioni e storie trattate, ma nel linguaggio visivo applicato. Come ti sei approcciato, in giuria, alla visione e alla scelta del film vincitore, Rei, che è un film su una storia d’amore, ma anche sull’arte, sulla ricerca di un’identità e di una propria strada?

Insieme agli altri giurati, da spettatori, li abbiamo visti con interesse e piacere. Alla fine, quando vedi un film da giurato cerchi di vederlo con gli stessi occhi, se mi annoia o interessa: è un qualcosa di istintivo. Nella short list, dei tre o quattro film che ci sono sembrati migliori, con più interesse eravamo tutti d’accordo su Rei, anche se c’erano film più perfetti. Però, questo, ci è sembrato più vitale, più originale, più storto, in senso positivo. Che mi ha sorpreso di più. Rispetto ad altri film altrettanto buoni, fatti in maniera più canonica, ci sono anche parti più lunghe, scelte di montaggio meno eterodosse. Poi è un film, Rei, fatto da un’unica persona che ha scritto, interpretato e montato. Ci ha emozionato.

Rei è anche un’opera prima, come molti dei lungometraggi in concorso al Lucca Film Festival. Ripensando alla tua, di opera prima, Dieci Inverni, all’approccio che hai avuto alla scrittura, alla macchina da presa, come trovi, invece, l’approccio degli artisti emergenti?

Le cose in comune sono di più delle cose cambiate, lo vedo soprattutto con gli allievi del Csc. Ma nei fatti il cuore della questione, esordire e trovare chi te lo fa fare e qualcosa da dire che segna un primo miglio da cui partire, tracciando la strada da seguire, è universale tra un periodo e un altro e un paese e un altro. Poi ci sono le contingenze economiche: questo momento preciso non è facile, a me è capitato quando ero ancora al Centro Sperimentale e la Rai voleva investire su un’opera prima. Ma il succo della questione, l’esordio, mi sembra che sia lo stesso.

Il tempo nel cinema di Valerio Mieli

Nel tuo cinema il tempo è un elemento portante. E il cinema è forse il mezzo più adatto a rappresentare il tempo della vita, perché è un tempo che si dilata, torna indietro, salta in avanti, interseca i diversi piani della vita e restituisce le sue sfaccettature e come ciascuno di noi le sperimenta, interiormente, le ricorda, le vive, al di là di un tempo che nel pensiero comune è cronologico. E i tuoi film, da Dieci Inverni, in cui il tempo è quello della narrazione, in cui si racconta una storia anno per anno, a Ricordi? in cui invece il tempo è quello della memoria, quello interiore, sembrano fare proprio questo. Con un filo conduttore, quello del tempo, che diventa anche protagonista, insieme ai personaggi, dei tuoi film.
Quanto è stato ed è naturale per te raccontare storie di questo tipo, con questa struttura temporale, e quanto invece è stato anche difficile lavorarlo, a livello di scrittura e di scelte registiche?

Per il tempo è vero, si presta molto il cinema, ma ha anche dei limiti. Il tempo, ad esempio, è diverso nel romanzo, che permette l’elasticità di andare indietro e avanti mentre in un film può risultare pesante. In più ci sono difficoltà tecniche nei passaggi di tempo nel cinema, con gli attori che invecchiano e cambiano. Ricordi? è stato un film sperimentale per questo, trattarlo in letteratura invece sarebbe stato normale. Mi affascinano i film dal tempo lungo, ma mi piacerebbe fare l’esperimento opposto: raccontare storie in un tempo limitato.
Ad esempio i racconti che sto scrivendo sono tutti invece su momenti. Io vengo dalla fotografia che è cogliere momenti e questo mi incuriosisce. Perché la potenza nel raccontare una storia nel tempo, anche banale, su una vita meno interessante, ha di per sé una sua drammaticità e potenza, perché una persona nel corso della sua vita ha sogni, amori delusi, andati bene o male, lutti. È insito nel tempo che passa la narratività che ti permette di raccontare storie straordinarie, mentre per storie nel tempo ristretto devi avere e trovare un senso e modo di ragionare nel singolo innesco.
Il romanzo che uscirà ad anno nuovo, ad esempio, ha un intreccio che si sviluppa su tanti anni ed è probabile che sarà simile ai film. È interessante come ognuno abbia un suo terreno in cui si trova a suo agio, che magari è disagevole per un altro, una zona di comfort, ed è lì che ha qualcosa da dire. Ma ogni tanto penso anche ad una spinta a fare qualcosa di diverso che non somigli a qualcosa di già fatto: è una curiosità. Ho fatto delle cose a teatro e mi sono accorto che c’è un altro modo di vedere, che si apre quando esci dal racconto concentrato su tanti anni.

La necessità di un punto di vista

A proposito di modo di ragionare, e di girare, il tuo, di rappresentare e raccontare, come accade ad esempio in Ricordi?, forse ancor più della storia narrata in sé, rappresenta il fulcro del tuo cinema. Uno sguardo, un punto di vista ben definito. Ed è lì che sta proprio la bellezza dei tuoi film.

Il fatto di riassumere e sintetizzare tanti anni in un tempo limitato di minuti ti obbliga ad un punto di vista. Cosa scelgo? Raccontare solo la memoria? Questo ti obbliga ad una selezione che è un punto di vista che diventa più importante delle storie. Che spero siano comunque interessanti, ma che sono simili a chiunque si innamori o si lasci. Io ho avuto una vita piuttosto banale, non ho vissuto grandi eventi sconvolgenti e trovo interessante provare a raccontare esperienze simili a quelle degli altri: il tempo che passa, gli innamoramenti e le relazioni. Cosa posso dire io su quella cosa che hanno vissuto tutti quanti? E da lì cerco di darne un punto di vista.
Come si sono dipinte Madonne col bambino per secoli ma ciascuno a modo suo, faccio vedere come io vivo il passaggio del tempo e lo sguardo personale su qualche cosa di ordinario e universale. È dove punti la torcia, quali dettagli selezioni. È un procedimento, tra cose che in sé sono fuori dal comune e racconti in maniera non dritta e invece altre che sono sotto gli occhi di tutti. La Divina Commedia, ad esempio, è una storia eccezionale, Mrs Dalloway una ordinaria. Ma è il come e cosa puoi tirare fuori da un caleidoscopio di una signora che esce di casa.

Ricordi?, su Mubi e RaiPlay

Nelle scelte delle storie da raccontare, nei film come nei romanzi e nei racconti, quanto metti delle tue storie personali?

Ho notato nella scrittura dei racconti che sono storie molto lontane da me, personaggi, di età, di mondi, lontani. All’inizio pensavo di non farci nulla, nemmeno pubblicarli. E questo mi sembra un momento di passaggio, in cui credo di aver esaurito il racconto di storie nel tempo e cose più strettamente legate alla mia vita. Soprattutto ad un’epoca, della mia vita, che è quella della fine dell’adolescenza. Comincia invece ad incuriosirmi di più portare lo sguardo fuori, su personaggi altri, sempre magari ordinari, però storie diverse da quelle che ho vissuto io. Questo è quello che sta succedendo nel mio percorso e succederà nel mio cinema.

L’aspetto produttivo

Il tuo è un modo di vedere e restituire, con una cifra stilistica e autoriale che in pochi hanno, a mio avviso, nel cinema italiano contemporaneo. Ma è anche un punto di vista che, in qualche modo, si inserisce in maniera esterna alle logiche produttive. Secondo te è più difficile produrre film difficili, e che vie si prospettano, vista la situazione attuale sui fondi pubblici, per le produzioni, soprattutto indipendenti?

Non ho ancora capito bene su che criteri si fanno i film, non credo ci sia una formula per cui i film più complicati siano difficili da produrre. Quello che posso dire è che rispetto a decenni fa il genere intimista e sperimentale, centrale nell’idea del cinema d’autore, è passato di moda. È anche un fattore di moda: a volte è più facile produrre un certo tipo di cinema e in altri periodi altri. Quello che sento dire, da chi ne sa più di me, è che la situazione è pessima e speriamo che venga raddrizzata, perché non credo convenga a nessuno. Credo che i film siano finanziati dappertutto in parte dallo Stato, regione ed enti pubblici e non è mai facile regolamentare queste cose. In teoria l’obiettivo sarebbe rendere efficiente il sistema, ma non mi sembra che si stia migliorando, ma semmai peggiorando.
Ed è un peccato perché il cinema europeo ed italiano produce tutto quello che di interessante sta uscendo da un po’ di tempo. Il cinema di Ostlund, ad esempio, è un tipo di cinema che è originale e chiaramente d’autore e allo stesso tempo un cinema che influenza anche la società. O il caso di Vermiglio: non avrebbe mai potuto essere fatto senza il sostengo pubblico. Il problema si vede anche con i vincoli delle piattaforme, con investitori privati che permettono la libertà creativa a grandi opere che poi rimangono. Ma questo succede con autori affermati, come è successo con Roma. Autori che sono diventati quello che sono perché sostenuti da tutta la comunità e dall’interesse a investire in cinema di qualità. Altrimenti il cinema si perde, e sarebbe un peccato.

I progetti

Ad anno nuovo usciranno un romanzo e una raccolta di racconti. Che tipo di storie sono? Hai in mente un adattamento?

Sto avendo dei contatti con Wildside, Fremantle per farne una serie o un film. Il romanzo, lungo, ha una struttura forte come i due film e la stessa idea di meccanismo, ma più ampio. Non parla solo di amore, perché la mia vita si è evoluta: ho vissuto dei lutti, ho una figlia. I personaggi e l’idea di meccanismo e di gioco è come in Dieci Inverni e Ricordi?. Ci sto da parecchio tempo e non mi sono stufato.
I racconti invece sono nati in modo diverso, tutti brevi e diversi, e sono più secchi e duri rispetto alle cose che faccio di solito. Saltano fuori quando sto in giro. Ora, ad esempio, a Lucca, ne ho scritti due, perché chiacchierando ho avuto delle idee e solitamente scrivo di getto. Mentre il romanzo ha una struttura più elaborata che viene dalla scrittura per cinema e serialità. C’è la vaga idea di adattare anche quelli, anche se capire come metterli insieme è più complicato. L’ottica, per il futuro, è di pensare a strutture alternative. Vedere che succede e rimettermi a ragionare su film diversi, con un ritmo meno simile ai precedenti. Mi è venuta voglia e bisogno di farlo.

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