Il pluripremiato corto Ultraveloci di Davide Morando e Paolo Bonfadini in concorso al Sentiero Film Factory, segue le vicende di Dodo, un uomo di mezza età affetto da paralisi parziale chiamato a difendere l’officina di famiglia da due rapinatori.
La monotona routine di Dodo viene sconvolta quando è costretto a difendersi da due rapinatori, sfruttando la sua abilità di pensiero, la sua passione per gli intricati labirinti e tanto coraggio sfrecciando poi a bordo di un furgone, coronando così il suo sogno di una vita: sfrecciare a gran velocità sfuggendo alla ripetitività della sua esistenza.

Abbiamo parlato del corto con Davide Morando, co-regista del corto.
Da dove nasce l’idea per il progetto “Ultraveloci”
“Il soggetto l’avevo inizialmente scritto anni fa, prende ispirazione da una storia vera, quella di mio zio Stefano. Tuttavia, avevo finito con l’accantonarla, poi c’è stato l’incontro con Paolo Bonfadini, co-regista del corto, e dopo aver partecipato a diversi progetti con lui abbiamo deciso di riprenderla in mano, abbiamo rivisto il soggetto e rielaborato la sceneggiatura. Ciò a cui personalmente tenevamo di più era che il ruolo del protagonista fosse interpretato da mio zio, il personaggio è infatti cucito appositamente per lui, nonostante non abbia esperienza di recitazione e sia stata per lui la prima volta su un set. Questo ci ha causato diversi problemi con alcune produzioni, sia per via dell’inesperienza come attore che per via della sua disabilità. Ci hanno proposto diversi attori professionisti che avrebbero potuto interpretare il ruolo ma noi abbiamo preferito rifiutare. Un’altra scelta coraggiosa è stata quella di girare il corto in dialetto tortonese, la storia infatti si svolge a Tortona, nel basso Piemontese. Questa decisione è stata dettata sia dal semplificare la lettura e la recitazione del copione a mio zio sia per restituire maggiore verismo alla narrazione e ritratte con autenticità lo spazio e il territorio in cui i personaggi si muovono. L’attore che interpreta il padre di Dodo, Tino Fiori, che purtroppo è venuto a mancare di recente, era un attore di Tortona, molto famoso nella zona per i suoi spettacoli teatrali interamente in dialetto, ci è sembrato la scelta più azzeccata per il ruolo.
La figura del topo si ripresenta a più riprese nel coso del corto, potresti spiegarmi cosa significa e in che modo è legato al personaggio di Dodo?
“L’idea che ci eravamo fatti nel corso del processo di scrittura è che il padre, nonostante protegga il figlio tenendolo in un “recinto sicuro”, l’officina, gli impartisca delle lezioni di vita. Fra queste lezioni c’è anche quella del come catturare i topi; tuttavia, nonostante la buona volontà dei suoi intenti finisce per cadere vittima di alcuni preconcetti sbagliati. Il padre sostiene infatti che i topi siano animali svelti ma stupidi, cosa che in realtà non è vera. Questi preconcetti, così come vengono applicati erroneamente dal padre per quanto riguarda i topi, lo sono anche per il figlio, che nella sua visione è incapace di badare a sé stesso e va a tutti i costi protetto, isolandolo in uno spazio chiuso. Il topo appare sempre nell’officina, il luogo in cui Dodo è rimasto per tutta la sua vita, oltre ad essere collegato a livello letterario alla figura del labirinto, grande passione del protagonista. Nel corso del suo percorso di crescita Dodo dimostrerà invece di essere capace di guadagnarsi la sua indipendenza, riuscendo a mettere a frutto le sue abilità.”
In che modo si innesta il desiderio di velocità in una vita lenta e ripetitiva come quella di Dodo?
“Dodo è un uomo che per tutta la vita ha vissuto in officina, la casa in cui è cresciuto e vissuto è sempre quella. All’interno del suo mondo ha sempre un affaccio sul mondo della velocità, in officina vede infatti macchine che vengono montate e rimontate, da casa vede la strada statale, su cui sfrecciano velocissimo macchine, camion, furgoni e mezzi di ogni sorta. La velocità è tuttavia qualcosa che sembra non competergli, infatti a causa della sua disabilità non può guidare, è una velocità che non può raggiungere ma a cui ambisce. Noi lo seguiamo nella sua routine, ripetitiva e lenta, ed entriamo nei suoi sogni, che sono invece fantasie di velocità, desiderio di poter sfrecciare e guidare via dalla sua quotidianità. Le riprese che Dodo vede in sogno girate in super8 e sono state fatte dalla mia famiglia, all’inizio non erano presenti in sceneggiatura, ma in fase di montaggio ho scoperto che mio nonno aveva queste bobine, così le abbiamo fatte sviluppare e ci siamo rimesse a guardarle. E’ stato un bel momento di riscoperta e condivisione di vecchi ricordi.”
Nella scena della rapina Dodo passa da essere preda dei rapinatori, a “predatore”, in che modo riesce a rovesciare la situazione? Si tratta della chiusura di quella struttura circolare iniziata con l’uccisone del topo nella prima parte del corto?
“L’idea da cui eravamo partiti è che Dodo non credesse di riuscire a farcela. All’inizio fugge per nascondersi, è spaventato. Ma poi si rende conto che il posto in cui si trova è un labirinto, un ambiente stretto, in cui la velocità non conta, capisce quindi di star giocando ad armi pari coi rapinatori. Attraverso gli oggetti già mostrati nel corso del corto, il portachiavi a forma di labirinto, il bastone, la cordicella dell’allarme, Dodo riesce a trovare una via d’uscita. Si tratta di una rivalutazione della sua quotidianità, che improvvisamente diventa cruciale affinché riesca a farcela, gli oggetti che usa sono oggetti che conosce bene, che vive ogni giorno. Alla fine, quando i ruoli si ribaltano definitivamente Dodo decide di risparmiare il rapinatore. In fase di scrittura avevamo pensato che Dodo potesse schiacciare una gamba al rapinatore, ma poi mentre montavamo ci siamo resi conto che non funzionava. Dodo non avrebbe mai usato la sua intelligenza in quel modo, la violenza avrebbe snaturato il personaggio ed il suo personale processo di crescita. Dodo decide infatti di andarsene, sfrecciando via, a bordo del furgone, dall’officina.”

La scena finale, in cui Dodo può finalmente sfrecciare libero possiede un’autenticità che va oltre la recitazione, sfociando nel vissuto personale. Potresti darmi una lettura di quella sequenza e chiarire il significato che ha nel processo di crescita di Dodo?
“A livello narrativo si tratta dell’unica scena in cui vediamo Dodo fuori dal cortile assieme alla sequenza del sogno. Qui però sfreccia effettivamente nella realtà, portando alla vita le sue fantasie, concludendo il suo percorso. È stata l’ultima inquadratura che abbiamo girato del film. Dato che non potevamo girarla in strada, mio zio infatti non può guidare, l’abbiamo registrata senza far muovere il furgone, simulando lo spostamento grazie a dei giochi di luce. In un certo senso è stata anche una scena comica, il direttore della fotografia ha iniziato a correre intorno al furgone con le luci, abbiamo dovuto girarla diverse volte. Un’altra particolarità della scena è senza dubbio la sua autenticità, abbiamo dato completamente carta bianca allo zio, chiedendogli di improvvisare, ha subito percepito come una liberazione, una liberazione di anni di vita. Non nascondo che, quando abbiamo visto la scena in playback è scesa qualche lacrima, si poteva percepire molto bene quanto vera fosse l’interpretazione di Stefano in quella scena. “
Da cosa è dettata la scelta di riprese in così stretta prossimità dei personaggi, si tratta di una scelta stilistica o ha un qualche significato più profondo?
“Si è trattata sicuramente di una scelta stilistica ma anche di una esplicita volontà di entrare nell’intimità dei personaggi. Volevamo che i movimenti di camera fossero precisi e decisi, all’Americana, affinché generassero tensione, ma allo stesso tempo informati di emotività e sentimento grazie alla vicinanza con gli attori. L’idea era quello di puntare su di un set up più lungo grazie a cui sarebbe stato possibile conoscere i personaggi. La tensione che abbiamo creato nel corso del corto si percepisce infatti non solo con le scelte registiche ma anche e soprattutto per via del legame che si è costruito coi personaggi coinvolti, non vogliamo che a loro capiti qualcosa e questo tiene lo spettatore sulle spine. A tal proposito la scena col padre, un intimo dialogo sul divano davanti alla tv, serve per costruire una relazione di empatia, per far sì che il pubblico si leghi a Dodo, così che durante la scena di rapina tema per lui e per la sua incolumità.”

Come si è trovato tuo zio nei panni per lui inediti di attore?
“Lo zio si è divertito molto a recitare, all’inizio era un po’ preoccupato, lui infatti è una persona schiva, ci siamo tenuti il dubbio fino alla fine. Poi però ci siamo resi conto di come si stesse divertendo, vivendo il set come giorni di lavoro. La parte che gli è piaciuta di più è stata quella del trucco e parrucco, non era abituato ad avere qualcuno che lo pettinasse e lo truccasse. Quando mesi dopo abbiamo girato un’altra scena ci ha subito chiesto “dov’è il trucco e parrucco?”.