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Orizzonti

‘Familiar Touch’, un’esperienza sensoriale ai confini della memoria

L'esordiente Sarah Friedland, con 'Familiar Touch,' si aggiudica a Venezia81 ben 3 premi, tra cui il Leone del futuro. Una brillante e delicata opera prima, che pone l'attenzione su un tema importante: l'Alzheimer.

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familiar touch

 Familiar Touch si porta a casa ben 3 premi dalla Mostra Internazionale del cinema di Venezia: Leone del Futuro, Miglior Regia e Miglior attrice (Kathleen Chalfant) nella sezione Orizzonti. E non è difficile crederlo. Una sensibile opera prima che esplora in maniera originale il delicato mondo della demenza senile, attraverso le emozioni della protagonista.

Il lungometraggio è co prodotto da Rathaus Films e Go For Thurm. Nel cast principale Kathleen Chalfant, Carolyn Michelle, Andy McQueen, H. Jon Benjamin.

Familiar Touch: un ricordo che ci sfiora

Ruth, un’anziana signora di ottant’anni, riceve in casa il suo appuntamento galante: un uomo molto più giovane, un architetto di cui non ricorda bene il nome. Dopo un pranzo romantico, preparato da lei con estrema cura, lui le propone un piccolo viaggio a sorpresa. Arrivati all’hotel, però, la verità che emerge è ben diversa: Ruth soffre di Alzheimer, e quando lo staff le spiega che si prenderanno cura di lei da quel momento in poi, lei continua a non capire. Nemmeno quando il figlio, che l’ha accompagnata al centro di assistenza per anziani, le ricorda di essere sua madre.

Nelle periferie della memoria

Friedland, fin dalla prima scena, ci mette di fronte alla crudeltà della demenza senile. Ci sentiamo quasi in colpa quando capiamo, prima di Ruth, che per lei non ci sarà nessun viaggio romantico. Verrà ricoverata al Bella Vista, una piacevole residenza assistita per anziani, le cui stanze senza carattere sono lontanissime dalla sua accogliente casa di Los Angeles. Il figlio Steven (H. Jon Benjamin), quasi per rassicurare noi spettatori, le spiega che è stata lei stessa a scegliere quel posto, negando qualsiasi inganno. Eppure, nonostante la gentilezza dello staff e le numerose attività giornaliere, Ruth vive questa nuova avventura oscillando tra l’inquietudine e una frammentaria consapevolezza di sé.

Il filo narrativo segue fedelmente le emozioni di un qualsiasi neo-paziente avvolto nella nebbia dell’Alzheimer: all’inizio, Ruth ci appare come una donna forte e indipendente, che cerca di lottare contro la sua condizione. Vuole apparire il meno vulnerabile possibile agli occhi degli altri o, forse, convincere sé stessa di poter ancora farcela da sola. Come quando, durante la visita medica settimanale, elenca con tono affannato e perentorio al dottor Brian (Andy McQueen) una ricetta culinaria, sperando che questo possa dimostrare la sua lucidità. Questo terrore, però, svanisce nel momento in cui la memoria di Ruth viene dirottata nel passato: una mattina, si presenta nella cucina della struttura volenterosa e propositiva, come faceva da cuoca professionista nel ristorante in cui lavorava. È attraverso questi ricordi che riusciamo a delineare chi fosse Ruth, oltre la vertigine che oramai deve affrontare ogni giorno.

Ed in pochi, brevissimi momenti crediamo sia tornata nel presente con noi: “Steve, è mio figlio!“, esclama sotto la doccia, rivolgendosi al nulla. E in quell’attimo, tutto il timore per la sua fragilità sembra svanire. Ruth prende consapevolezza della sua nuova condizione e, con disarmante lucidità, afferma: “Non me lo ricorderò“.

Familiar Touch

Still from Familiar Touch

Una prospettiva diversa in Familiar Touch

Possiamo definire Familiar Touch come un racconto di tarda-formazione che mette in luce le difficoltà del “sé” di fronte a una malattia complessa come l’Alzheimer, risultando un’opera di grande valore nella selezione veneziana. Il lungometraggio scardina tutti i pregiudizi su tematiche come la perdita di memoria o la terza età, senza mai scivolare nella banalità o nel tragico. La regista ci allontana dai cliché sulla demenza senile, trattando l’intero film con un’intelligenza emotiva unica.

La centralità del personaggio di Ruth è cruciale, ed è strutturata in modo che tutto venga percepito attraverso di lei. Friedland ci fa comprendere che l’erosione linguistica causata dalla demenza senile non significa scomparire dalla realtà o smettere di esistere. Il corpo ha memoria, e attraverso di esso Ruth esprime i pochi ricordi che riesce ancora a mettere insieme. Non è immune a ciò che la circonda: tenta di riorganizzare gli stimoli esterni che riceve, seguendo una sua logica atemporale e disorientata.

Tuttavia, Ruth non è mai ritratta come una vittima o un corpo privo di volontà. Al contrario, c’è persino un sottotesto umoristico nel rappresentare l’invecchiamento e le piccole situazioni imbarazzanti che spesso accompagnano queste circostanze. Questo aspetto viene reso ancora più potente grazie alla straordinaria interpretazione di Chalfant, che, attraverso il suo corpo e il suo viso, esprime con precisione ogni stato di tensione e sollievo che attraversa la coscienza di Ruth, emozione dopo emozione, ricordo dopo ricordo.

Un corpo ha sempre una sua memoria

Le storie degli anziani sono periferiche nella nostra cultura, come se i desideri, i sogni e l’autonomia decisionale decadessero molto prima dei nostri corpi e delle nostre menti” afferma Friedland, consapevole di questa realtà. Infatti, l’ispirazione per la pellicola nasce dalla fusione di esperienze personali e di un percorso di formazione particolare. Per sei anni, la regista ha assistito artisti newyorkesi affetti da malattie neurodegenerative; a questa esperienza si unisce la sua formazione come coreografa. Questi due percorsi, apparentemente lontani, si intrecciano nel lungometraggio, dando vita a uno stile registico estremamente personale e distinguendosi con il suo lavoro. Gesti e movimenti sono di estrema rilevanza e intrisi di significato, empatizzando con le difficoltà intrinseche di questa condizione. Come quando Ruth, innamorata di Ben come una ventenne, cerca di riattivare i momenti di contatto avuti con il medico attraverso il ricordo sensoriale della sua mano.

Oppure nella crisi che precede una fuga dalla struttura. Ruth viene trovata dai due assistenti mentre cerca di ricordare i nomi di alcune verdure comprate al supermercato, e in un altro momento di lucidità fa capire a Vanessa (Carolyn Michelle) di sapere perfettamente che la residenza non è casa sua. La regista, poi, sposta l’attenzione su un altro aspetto: la difficoltà emotiva che affronta un’assistente in un rapporto che, inevitabilmente, raggiunge un livello di intimità emotiva unica.

Friedland ci offre una prospettiva estremamente rispettosa del tema. Tra gioie e dolori di una realtà che spaventa tutti, emergendo significativamente nel panorama del cinema indipendente contemporaneo.

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Familiar Touch

  • Anno: 2024
  • Durata: 91 min
  • Distribuzione: WOLF Consultants
  • Genere: Drammatico, Formazione
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Sarah Friedland