Disponibile dal 5 settembre su Netflix, The Perfect Couple è un crime drama in sei episodi diretto da Susanne Bier, ideato da Jenna Lamia e tratto da un romanzo di Elin Hilderbrand, un prodotto di genere che tenta di replicare il successo internazionale di The Undoing – Le verità non dette (reperibile su Now TV), a firma della stessa regista danese e sempre con protagonista Nicole Kidman nel ruolo di una moglie tradita e smarrita in una ragnatela di menzogne. In un cast corale emergono anche Liev Schreiber nei panni del marito della protagonista, Dakota Fanning in quelli della nuora e Isabelle Adjani nelle vesti di un’amica francese.
Ancora una volta, un giallo domestico squarcia il velo di Maya per svelare la messinscena abbagliante e mendace di una famiglia che è metafora di un sistema di voracità capitalistica e mediatica, allegoria dell’ipocrisia capillare di una società sempre più improntata sull’immagine e sull’individualismo. Ma a differenza di The Undoing, ambientato nella Manhattan più lussuosa e classista, che sopperiva la sua inverosimiglianza con cadenzati e avvincenti colpi di scena e rovesciamenti di prospettiva, in The Perfect Couple il rodaggio dei meccanismi di genere si inceppa nella bidimensionalità dei personaggi e nella conseguente prevedibilità delle loro azioni in un intrigo di maniera.
Crimini e misfatti in pieno sole
Amelia Sacks (Eve Hewson) è in procinto di sposarsi con Benji Winbury (Billy Howle), rampollo di una famiglia altolocata, mantenuta dai fiorenti proventi e dalle conoscenze influenti della madre Greer (Nicole Kidman), una giallista da best seller. Ma alla mattina della cerimonia, nella grande villa affacciata sul mare nei pressi di capo Cod, il ritrovamento del cadavere di una delle invitate, un’avvenente amica della sposa, annulla il grande evento, con l’avvio delle indagini della polizia che porteranno alla luce i segreti e le bugie di molti membri della famiglia, tra cui la doppia vita di un coniuge e il mistero tragico di un’insegnante privata.
Le aporie di un racconto dove il thriller si disperde
Esistono prodotti thriller e mystery in cui l’atmosfera e i personaggi contano più del plot o dove l’impianto tradizionale di genere è un paratesto per affondare lo sguardo in altro, per scandagliare rivolti oscuri e inquietanti dell’animo umano, di una società corrotta, di una casta sociale subdola. The Perfect Couple sfugge però a entrambi le potenzialità del genere, sia nella sua ambientazione soleggiante di fastosità che troppo bene si abbina allo stucchevole egoismo dei personaggi, sia nella definizione di uomini e donne così stereotipati, granitici e privi di ambiguità accattivanti da non poter conquistare l’empatia degli spettatori.
Soprattutto devia da esiti felici, e magari al contempo posticci come era stato per The Undoing, per aver voluto scegliere un bersaglio moraleggiante troppo facile, la cui traiettoria rettilinea non conosce le sfumature tra bene e male, non sa estrarre con intelligenza e nera ironia il grottesco della pochezza dei ceti esclusivi. Quello che emerge in questa miniserie è piuttosto la piattezza di un parassitismo apatico, che genera scostante antipatia e non riflessiva e partecipe condanna.
Dove quindi si orienta la sceneggiatura di The Perfect Couple, che fin dal titolo antifrastico declama un intento dissacratore perseguito su binari fin troppo lineari, dove colpa e incolumità per ricchezza si equivalgono senza affondo indagatore? Come esercitare una critica di disvelamento senza una profondità di sguardo, imbastendo un teatro di luoghi comuni e passaggi a vuoto, tra colpi di scena fin dall’inizio prenotati e soluzioni finali sbrigative? Una scrittura seriale scevra di conflitti costruttivi, dove il delitto è assurto a incidente di percorso da quasi tutti i personaggi, e costruita in modo paradigmatico su giustapposizioni di momenti topici che procedono con meccanicità, senza il dubbio interrogativo del pubblico e con un fievole senso della suspense.
Stelle che stanno solo a guardare
Il languore smorto di imperfezione della serie, pur laccata di interni wasp e orizzonti stilizzati, non viene riscattato neppure dalla scelta del cast, intrappolato in ruoli e dialoghi che sacrificano l’arricchimento potenziale di autorevoli talenti. Nicole Kidman calamita l’occhio del pubblico grazie al suo charme divistico, alla sua postura naturalmente elegante che svetta in un magma di benessere immeritato o e bidimensionale, ma soprattutto grazie ai lampi inquietanti di ambivalenza che sa distillare con sguardi penetranti e inafferrabili.
Una sacrificata interpretazione di mestiere che non trova sincronia con quella di Liev Schreiber, nel ruolo di un consorte lestofante ai limiti del macchiettismo, e neppure con quella di un’altra nota attrice come Dakota Fanning, che sfrutta la sua fisionomia sfuggente e sospetta senza la possibilità di sviluppare il suo personaggio. Ma in particolare, non rifulge, seppur in un ruolo di contorno, la stella d’autore europea di Isabelle Adjani, qui convocata a rispondere al cliché di matura seduttrice francese snob, senza ispirazione alcuna di (auto)ironia.
Inquadrare il vuoto senza impalcature
The Perfect Couple non è quindi un prodotto di genere tradizionale ma sufficientemente disciplinato da essere godibile e intrigante; neppure riesce a inoltrarsi con slanci di libertà espressiva oltre quei margini di praticabile differenziazione che pure qua e là la sceneggiatura parrebbe offrire, dalla figura di una detective priva di ordinario thrilling appeal, che però diventa presto opaca e monocorde, alla dimensione ‘meta’ suggerita dalla professione di giallista del personaggio di Nicole Kidman, che potrebbe aprire uno slittamento del racconto su un piano duplice o fascinosamente allusivo.
Rinunciando anche all’analisi psicologica delle dinamiche di potere, compromessi e sottomissione economica della coppia di facciata, riproduzione in scala ridotta di un quid sociologico sbandierato ma non chiarito dalla serie, Susanne Bier firma una miniserie non corrosiva che può aspirare a essere, modestamente, solo un affresco con ridotta prospettiva sull’infamia e sull’ipocrisia di protetti, egoici e viziati wasp, senza introspezione né autocritica da parte dello spettatore in quanto troppo respingenti. Perché qui, senza un barlume di ombrosa tragicità, senza caduta antieroistica che dispieghi valori alternativi, non vige neppure la banalità del male, ma solo l’apatia del nulla morale.