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Biennale del Cinema di Venezia

‘Sempre’ Intervista a Luciana Fina

La regista ha parlato della sua volontà di omaggiare il cinema in quanto mezzo e dell'incontro privilegiato tra cinema e storia

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luciana fina

Luciana Fina approda in anteprima mondiale all’81a Mostra del cinema di Venezia, con il documentario intitolato Sempre. Un film presentato nella serata del 5 settembre, nell’ambito della rassegna autonoma Giornate degli autori, nella sezione “Notti Veneziane”.

La regista ci ha raccontato cosa ha significato per lei omaggiare il cinema come mezzo, attraverso questo film, ma non solo: garantire un incontro privilegiato tra storia e cinema, in uno spazio di riflessione collettiva. Nel contesto degli ultimi anni del regime salazarista in Portogallo, che cosa significa cercare le proprie libertà, di espressione, di ricerca di sé, di unità con l’altro da sé, nel segno dell’ideale della rivoluzione; al fine di costruire un futuro migliore, in quanto libero da qualsiasi forma di potere oppressivo.

luciana fina

Luciana Fina a Venezia 2024: l’intervista

Il film è a tutti gli effetti un omaggio al mezzo cinema. Questo lo si nota dai continui riferimenti ad esso, ai momenti di riflessione che il film offre. Ponendosi una domanda specifica: “Qual è la funzione sociale del cinema?”. Ho personalmente trovato queste scene di una forza straordinaria. Quanto è importante questo messaggio per lei, quest’occasione di riflessione, di cinema che riflette sul cinema, da inserire nel documentario?

La questione è assolutamente cruciale e prioritaria, perché più che celebrare un evento della Rivoluzione [la Rivoluzione dei Garofani, ndr], io volevo parlare di un processo. E soprattutto di come il cinema è stato capace di partecipare a questo processo. Questo non significa parlare di un solo cinema, quello che potrebbe pensarsi unicamente come un cinema militante. Assolutamente no. É un cinema che si arricchisce attraverso la differenza dei linguaggi; fatto di scelte, che sono cinema di ispirazione neorealista, un cinema militante, un cinema di radice antropologica. Diversi cinema, tutti quanti sotto un unico segno, quello di un cinema che partecipa e interferisce nella storia.

Sempre porta in scena l’idea di lotta. Si lotta per il dialogo, la democrazia, la crisi climatica, la liberazione da qualunque forma di potere oppressivo. Legato all’idea di lotta vi è un’altra idea, senza la quale la prima non potrebbe esistere: quella di unità. Quanto, in quali forme e con quali finalità, è stata attratta da quest’idea?

Assolutamente, anche citando il movimento per il cambiamento climatico, pensavo a questa distanza, a lotte che si rendono sistemiche, nel senso che affrontano una complessità del sistema, e non l’individualità o un problema colto nella sua specificità. É vero che in molti passaggi ho voluto valorizzare questo. Anche quando cito il boicottaggio delle lotte femministe, sto citando in fondo uno dei pochi slogan che ascolto al presente (quei suoni sono stati registrati l’8 marzo di quest’anno) e ne cito uno: “Lasciatemi passare, sono femminista e voglio cambiare il mondo”. Non una lotta di genere, bensì un coscienza dell’integrazione di un’emancipazione. Non ci si può emancipare da un problema, né coloniale, né femminista, senza che la società pensi, o che noi tutti pensiamo, all’emancipazione di un sistema nella sua complessità.

Questo film propone l’incontro tra storia e cinema, nel luogo privilegiato della riflessione collettiva. E pone lo spettatore di fronte a una domanda: qual è il ruolo della storia? Quella proposta nel documentario, tramite le immagini di vari fatti e varie occasioni di lotta, è una storia viva, che parla alle persone. Come è nata l’idea di un documentario interamente basato sulla ripresa e la possibilità di mostrare l’accadere storico nel suo farsi?

Non ci interessa l’evento, ma il processo. Parlare di un processo, per proporre l’idea della possibilità, e quindi non di un grande evento, ma di tutto il lavoro che c’è stato per mettere in atto quello stesso processo. Ricordiamo che il momento così singolare e complesso che è venuto dopo la rivoluzione si chiamava “Prec”: processo rivoluzionario in corso. Per me era fondamentale che avesse questa ricchezza, quest’idea che suggerisse l’impressione di forza, urgenza di un processo in atto.

Per la realizzazione di questo film, si è servita di immagini d’archivio: il ruolo di queste risulta fondamentale. Permettono di veicolare la vividezza degli eventi, che consente a sua volta allo spettatore di sentirsi coinvolto in ciò che vede. Con quali modalità ha proceduto nel lavoro di ricerca in archivio e di selezione delle immagini, poi inserite nel documentario?

L’invito della Cineteca [Cinemateca Portuguesa, ndr] è stata una carta bianca e una possibilità di esplorazione dell’archivio meravigliosa. In secondo luogo, ho richiesto alla Cineteca di poter utilizzare anche gli archivi della televisione [RTP – Rádio e Televisão de Portugal, ndr], perché all’epoca i cineasti si organizzavano in cooperative. In terza istanza, l’utilizzo degli archivi amatoriali, quell’impulso del filmare mentre si partecipa era anche molto importante per me. Materiale, quindi, complesso, in quanto molto diverso, da riunire in un unico discorso. Voglio citare anche il grande contributo delle archiviste, sia della Cineteca, che della televisione, con le quali ho dialogato: conversazioni profonde, che mi hanno dato la chiave di violino, il segno, che mi avrebbe portato poi al montaggio. La grossa sfida per me è stata veramente quella del montaggio; la ricerca, la scelta degli archivi, e soprattutto il montaggio.

Il cinema ha un potenziale enorme, metterci cioè in contatto con la storia in maniera estremamente espressiva e mi affido a materiali che hanno sempre un forte punto di vista, che vuole affermare qualcosa: ci possono davvero restituire un confronto. Dico sempre che le immagini dell’archivio reclamano la nostra presenza, e durante il montaggio ho sentito come non mai che era possibile pensare e montare. É un montaggio che è andato avanti come la costruzione di un pensiero.

Lei ha spiegato a proposito del film: “Cerco la tensione di un cinema riflessivo e contemporaneamente generativo, in modo da aprire l’incontro tra l’allora e l’adesso (…) Permettere a ciò che è accaduto di reinventarsi, reintroducendo così l’ipotesi, o il diritto oggi in pericolo, di immaginare il futuro”. Sempre, effettivamente, pare consegnare allo spettatore un interrogativo aperto: che eredità ha lasciato, nella società attuale, l’idea di lotta nel film rappresentata? É stata portata via dal vento, è esistita davvero, oppure – ancora – si è semplicemente trasformata?

Il vento è una figura che ho introdotto proprio per parlare di questo. Da una parte è fortemente allusivo del cambiamento, dall’altra è anche fortemente inquietante. Quest’interrogazione che rivolgo ho voluto sintetizzarla nella parola “sempre”, nelle scelte di montaggio, e anche evocarla in termini poetici con la figura del vento. Il vento sconvolge, porta cambiamento, però causa anche turbamento. In fondo credo a tutte queste potenzialità del vento. E nella storia e nella memoria credo che sia possibile mantenerlo attivo questo vento, poter aver fiducia nel nostro rapporto con la memoria. Viviamo producendo moltissime immagini che fermano istanti, il tempo, o tentano di restituirlo; in realtà stiamo ancora cercando di orientarci con il grosso patrimonio che è la nostra memoria.

luciana fina

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