Back to Black, biopic sulla vita personale e carriera artistica di Amy Winehouse, è prodotto da Universal Pictures e vede nel ruolo della protagonista l’attrice Marisa Abela. Centoventidue minuti per raccontare – o almeno tentare di farlo – l’ascesa e la caduta di una voce straordinaria. L’ultima, come sostiene la critica musicale, a fare la differenza nel mondo soul-jazz contemporaneo.
Il titolo del film fa riferimento ad una delle canzoni più celebri dell’artista inglese – scomparsa a soli 27 anni nel 2011 – che parla del suo amore per il marito Blake Fielder-Civil. Un ritorno all’oscurità, che non è altro che la parabola della vita di Amy. Si parte dal buio, con l’artista appena ragazzina che soffre per la separazione dei genitori e comincia a cantare (in verità lo fa da quando è una bambina), fino al tanto triste quanto noto epilogo.
Infanzia e dipendenza: due immagini che si compenetrano
Back to Black mostra, già nei suoi primi minuti, l’aspetto della dipendenza, che sia affettiva o da alcool, dell’artista. Agli albori del successo, che diventerà mondiale in pochi anni, Amy Winehouse non è serena. Diciotto anni, una voce straordinaria, ma un pericoloso temperamento rabbioso e distruttivo.
La linea narrativa appare chiara fin dal principio: Back to Black vuole fare convergere, in un ossimoro dall’effetto particolarmente intenso, due immagini specifiche, infanzia e dipendenza. Tale duplice compenetrazione, che è stata soprattutto personale per Amy, ha però un significato univoco. Infanzia come origine di vita, ed ancora come periodo di genesi della dipendenza.
Figura centrale in questa costruzione semantica realizzata dalla regia di Samuel Taylor-Johnson, è il padre di Amy, Mitch Winehouse. Il primo grande dolore di Amy, ancora bambina, è stato quello della separazione dei suoi genitori. L’amore comincia a cambiare aspetto: non è più qualcosa da inseguire con spensieratezza. Diventa, invece, una certezza da possedere, per evitare che volti le spalle e, da un giorno all’altro, sparisca. Nell’oscurità.
Back to Black: i momenti di “cortocircuito”
L’intento di Back to Black è quello di evidenziare ed isolare degli specifici attimi, che scavano a fondo nell’emotività di Amy, ancora ragazzina. Momenti, gesti, vuoti, palesatisi poi in veri e propri traumi, che negli anni a seguire avrebbero alimentato un lato del carattere particolarmente distruttivo dell’artista. In questo senso il film procede per scene specifiche: un abbraccio tra Amy e Mitch, prima che quest’ultimo si rifiuti di salire nella casa di famiglia, il funerale della nonna materna Cynthia a cui Amy era molto legata. Ancora, la difficoltà del doversi occupare, ancora troppo piccola, del malessere emotivo della madre, in assenza del padre. Sono profonde ferite emotive, che lo sguardo di Marisa Abela, con un’apparente smorfia di indifferenza, riesce perfettamente a trasmettere nelle sue sensazioni.
Amy si affida alla musica, per riuscire ad evadere da questi scomodi e profondi sentimenti contrastanti. Ma soprattutto per rimanere fedele a se stessa. Per Amy la musica è un’attitudine alla vita; è una scelta di esistenza, sempre in prima persona, pur con tutti i lividi che ne derivano, interiori ed esteriori.
“Dei soldi non m’importa, le devo vivere le canzoni. Io scrivo canzoni, non so cosa farei altrimenti. Devo tirare fuori qualcosa di buono dal male”
L’unico codice morale che Amy rispetta è la perfetta aderenza a se stessa, e con chi dentro di lei, sente di essere. Proprio per questo motivo è un esempio di vero anticonformismo. Non segue mode, regole, visioni: semplicemente è. Si tratta di una caratteristica peculiare dell’artista, che le ha consentito (ferma della sua passione per la musica oltre che dell’innegabile talento) di arrivare ad un successo mondiale, con soli due album realizzati in vita, Frank e Back to Black.
La voce di Marisa Abela illumina le scene, ma qualcosa non convince
A rendere Black to Black coinvolgente sono sicuramente le canzoni con la voce di Marisa Abela, che rinvigoriscono le scene. Le note jazz irrompono nel film ed il timbro dell’artista accuratamente interpretato invade lo schermo, arrivando dritto al cuore degli spettatori, per l’autenticità dei sentimenti e la schiettezza nell’espressione degli stessi. Un’esperienza di diretta connessione con il mondo interiore di Amy: a parlare, prima ancora dell’artista, sono i testi delle sue canzoni. É quello lo spazio di libertà da un mondo che spesso l’ha delusa, che Amy si ritaglia, e dona al suo pubblico di fan, prima, ed ai telespettatori al cinema, oggi.
Tears dry on their own, Back to Black, ed ancora Rehab: in sala sembra che Amy viva ancora, attraverso la sua musica. Un’esperienza per l’appunto coinvolgente, specie se la si vive – con una certa dose di inquietudine ed insieme gioia – in completa solitudine in sala.
É la musica, insieme ad Amy, la grande protagonista di Back to Black. Eppure, c’è qualcosa che non convince. Una biografia d’artista, si sa, non è cosa semplice: su cosa concentrarsi? Solo sull’aspetto della carriera, oppure anche su quello personale? Ed ancora, come raccontare, un altro mondo, sempre in riferimento al protagonista, ma vivente di leggi proprie, che è quello emotivo? L’impressione che il racconto della vita e carriera di Winehouse potesse essere trattato in maniera diversa, è forte. Anzitutto, il focus rimane esclusivamente sulle difficoltà emotive e dipendenze vissute dall’artista, negando tutta l’esistenza precedente, inclusi i primi anni di successo, caratterizzati invece da sobrietà, sogni e desideri.
Su tutti, la volontà di riuscire ad arrivare alle persone, che rimarrà una costante nella vita di Amy. L’insistenza sull’aspetto caratteriale della tendenza alla distruttività rischia di risultare limitante nella narrazione della storia di Amy Winehouse, soprattutto per chi non la conosce.
Il risultato è quello di non riuscire a godere appieno di una figura che, oltre a dolori e amori, è stata molto altro.
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