Dopo il passaggio a Venezia, arriva anche a Firenze, e più precisamente in occasione della 17esima edizione di France Odeon, il nuovo film di Olivier Assayas, Il mago del Cremlino.
Proprio al festival francese abbiamo fatto alcune domande a Olivier Assayas a proposito del suo Il mago del Cremlino.
Il mago del Cremlino di Olivier Assayas: dal libro al film
Come sei entrato in contatto con il libro di Da Empoli?
È una lunga storia, lunga, complicata e paradossale. Avevo sentito parlare di un giornalista che si chiamava Giuliano Da Empoli, che aveva la casa in Toscana vicino alla mia, perché aveva lo stesso idraulico, ma non sapevo che scriveva dei romanzi. Lo conoscevo solo di nome. Allo stesso modo penso che anche lui sapesse di me, o meglio sapesse di un regista che aveva fatto dei film e che aveva la casa vicino alla sua, nei pressi di Castiglione Fiorentino. Poi si è trasferito, ha venduto la casa in Toscana ed è venuto ad abitare a Parigi. Adesso vive lì con la moglie e la bambina.
E lì ha scritto Il mago del Cremlino, che è stato pubblicato da Gallimard, un famosissimo editore francese. Una volta scritto io ero il solo nella lista dei registi consigliati da Da Empoli all’editore per un eventuale adattamento. Di solito quando uno pubblica un libro, lo manda prima ai giornalisti che conosce ed eventualmente anche a dei registi, se per caso fossero interessati. Quindi mi ha mandato il libro con una dedica del tipo dal tuo vicino, e me lo sono portato in Italia per l’estate. Non avevo ancora iniziato a leggerlo che mi telefona un amico produttore e mi chiede di questo romanzo che gli sembrava interessante. A quel punto l’ho letto anche io e l’ho trovato molto affascinante, ma difficilissimo da adattare. Ho avuto delle discussioni, ci ho pensato e ripensato, un giorno ero deciso e il giorno dopo non più. Arrivato a un certo punto mi sono reso conto che comunque quello che avevo letto si era sedimentato in me e più o meno quelli che mi sembravano dei problemi (la complessità, l’ambizione dell’analisi politica…) erano semplicemente delle questioni, delle domande che in termini di cinema contemporaneo potevano essere importanti e anche stimolanti.

Foto di Carole Bethuel
Poi era molto diverso da qualsiasi altro film che avevo fatto, quindi c’era spazio per fare qualcosa di nuovo, che toccasse la trasformazione della politica contemporanea e dunque per me era utile e importante partire per questo viaggio, ma al tempo stesso sapevo che sarebbe stata un’avventura complicata, complessa e piena di sorprese.
Il romanzo e la sua struttura possono anche essere complessi, ma tu, attraverso il cinema e la trasposizione che hai realizzato, lo hai reso semplice, nel senso di comprensibile a tutti.
Sì, ho l’impressione che, un passo dopo l’altro, abbiamo trovato, insieme a Emmanuel Carrère, scrittore e amico che mi ha aiutato nella stesura della sceneggiatura, la strada giusta e l’equilibrio giusto.
La struttura del film
È come se ci fosse una struttura lineare della storia dove c’è il cattivo, comunque sfaccettato perché lo hai reso un personaggio vero e reale. Oggi più che mai si cercano delle risposte a degli eventi che spesso non hanno risposte (o comunque non hanno risposte sensate). Con questo film non dai risposte o spiegazioni, ma capiamo, anche se in maniera cinematografica e romanzata, da cosa nasce tutto questo.
Per me era una questione importantissima quella di fare un film che in un certo modo facesse una fotografia che rappresentava l’evoluzione moderna della società e specificamente l’evoluzione contemporanea della politica perché non è un soggetto minore o complesso. La politica è sempre allo stesso tempo complicata e semplice: è semplicissima perché in termini di buono o di cattivo si capisce presto da che parte siamo, ma poi le modalità, il funzionamento dell’evoluzione politica è un soggetto complesso che deve essere analizzato in modo complesso, non si deve avere paura della complessità perché le interrogazioni che sono connesse a queste modalità della politica sono qualcosa che condividiamo tutti. Tutti vedono e capiscono che il mondo nel quale viviamo si sta trasformando in modo profondissimo e molto complesso e tutto che può aiutare a capire anche un pezzo di questa realtà moderna è importante.
Una riflessione sul poter
Infatti è vero che Il mago del Cremlino parla della Russia e di Putin, però è un po’ come se la Russia fosse lo specchio di tutto il resto. Quello che succede in Russia è quello che succede nel mondo in termini di dinamiche, scontri, guerre, etc. Infatti Il mago del Cremlino sembra essere un film sul potere, su come raggiungerlo, su come esso può cambiare non solo il mondo, ma prima di tutto anche solo una persona (in questo caso Putin che, non a caso, diventa protagonista in un secondo momento del film).
Per me il film ha l’ambizione di avere un certo valore internazionale e universale. Chiaramente si tratta di Putin in un mondo molto specifico perché il libro di Giuliano Da Empoli analizza in modo molto interessante questa specificità del potere russo del periodo moderno.

Ho l’impressione che non avrebbe avuto senso questo film se fosse stato solo determinato dalla personalità di Vladimir Putin. Io non sono interessato alla personalità specifica di Vladimir Putin, quello che mi interessa è come i russi hanno capito prima di altri – prima di tutti, in un certo modo – come si può trasformare internet in un’arma di guerra. Quello che è interessante nel libro di Giuliano Da Empoli è che cattura questo momento, in un mondo dove c’è una trasformazione profonda dei valori e del funzionamento della politica contemporanea che riguarda tutti i paesi e ha un valore universale.
In questo aiuta anche il fatto di non aver raccontato la classica storia dal punto di vista di Putin, quasi come fosse un biopic, o comunque con lui come protagonista. Il mago del Cremlino è raccontato dall’interno e Putin arriva anche in un secondo momento.
Sì perché la persona che lavora con Putin può dire la verità ed è un personaggio che rappresenta il potere. Come Putin non dice mai la verità, allo stesso modo il potere non si analizza, il potere si esercita, quindi il lavoro di consigliere del potere permette di avere anche una prospettiva diversa e di guardare da un punto di vista globale l’evoluzione politica in cui un personaggio come Baranov è anche un protagonista. Quello che mi interessava molto nel libro di Giuliano Da Empoli era questa posizione molto specifica e autobiografica perché sicuramente lui si è ispirato anche alla sua posizione vicina a Matteo Renzi (era consigliere di un politico importante nel senso che non solo in Italia, ma anche in Europa aveva una visione globalizzata).
Paure e timori di Olivier Assayas per Il mago del Cremlino
Hai temuto di dover cambiare qualcosa nel corso della preparazione a causa di quello che stava succedendo nel mondo?
Ci sono delle cose che ho cambiato: una, per esempio, è la fine del film. Purtroppo non posso dire molto perché sarebbe uno spoiler, ma diciamo che, con l’andare avanti del film, ho capito che non potevo farlo finire all’opposto di come ho deciso di farlo terminare. Non era una fine possibile per un personaggio del genere.
Per quanto riguarda poi altri temi e altri aspetti della storia moderna all’interno del film avevo dei dubbi e un po’ di paura che sarebbe potuto accadere qualcosa che avesse reso il film assolutamente anacronistico. E in effetti sono accadute tante cose, ma, per fortuna, l’essenziale non è cambiato, è solo peggiorato rispetto alle modalità immaginate da Giuliano. In questo senso è stata una sorpresa quando abbiamo finito il film.
I personaggi
Volevo poi chiederti dei personaggi. Una cosa che ho apprezzato è il fatto che i personaggi che hai realizzato non sono troppo aderenti alla realtà, nel senso che anche l’interpretazione di Jude Law per esempio non è caricaturale, non è una macchietta, ma è quella di un personaggio vero e reale che in questo senso è identico a Putin ma è un Putin diverso. Come hai lavorato?
Sapevo fin dall’inizio che sarebbe stata una grande difficoltà adattare questo film, e soprattutto trovare un Putin giusto che non fosse una figura assurda o caricaturale. All’inizio volevo trovare un buon attore che fosse fisicamente vicino a Vladimir Putin con il quale si poteva fare un’illusione, ma poi, lavorando sul film, mi sono reso conto che il personaggio di Putin era multidimensionale, complesso e contraddittorio e non si poteva lavorare con un attore sconosciuto, dovevamo trovare un grande attore che aveva una certa presenza. Mi sono ricordato che conoscevo un po’ Jude Law (ci siamo conosciuti in un festival di cinema, in giuria) e ho subito pensato a lui. Perché lui ha sia un’aura particolare perfetta per il cinema e sia la voglia di trasformarsi e reinventarsi fisicamente. Ho subito pensato che sarebbe stato qualcosa che avrebbe potuto interessarlo, gli ho mandato la sceneggiatura, ci siamo parlati e abbiamo avuto fin da subito la sensazione di parlare lo stesso linguaggio cinematografico. Lui è stato molto generoso, mi ha detto che era molto interessato al film e per me era un elemento essenziale, perché era importante reinventare Vladimir Putin non dall’esterno, ma dall’interno e questa è una cosa che Jude ha capito benissimo.

Foto di Carole Bethuel
La collaborazione con Carrère
Com’è stato lavorare con Emmanuel Carrère alla sceneggiatura e come avete lavorato sulla scelta, per esempio, di usare la lingua inglese?
Se il primo problema era la rappresentazione di Vladimir Putin, il secondo problema era la lingua, anche perché io non ho mai fatto un film come questo, nel senso che io sono sempre stato molto esigente in termini di linguaggio. Quando ho realizzato Carlos ho utilizzato un attore libanese per un personaggio libanese, ho utilizzato un personaggio siriano per un personaggio siriano e tutti questi personaggi parlano o arabo o inglese o spagnolo o giapponese. Si parlava 8 o 9 lingue nel film e mi sembrava una cosa essenziale in termini di realismo, di verità perché il linguaggio è una dimensione importantissima.
In questo film la situazione era molto diversa perché in russo non si poteva fare. La mia prima scelta sarebbe stata di farlo in russo, ma non si trovano gli attori perché se lavorano su un film come questo non lavoreranno mai più in Russia e anche perché non si finanzia un film come questo in russo. Dunque si doveva fare in inglese perché l’alternativa era non farlo. E poi l’inglese adesso, in termini di cinema, è più un linguaggio universale e si accetta un po’ più di più. Poi Carlos era molto più vicino ai fatti, questo film è anche una riflessione sul potere, è una rivoluzione universale sul potere e per questa universalità l’inglese aiuta.
Sul lavoro con Emmanuel devo dire che dopo aver scritto due lunghe e complesse sceneggiature da solo (perché mi piace lavorare da solo), mi sono stufato della solitudine della scrittura e mi sono detto perché non lavorare con un amico?. Anche perché noi due siamo stati amici da ragazzi, con Emmanuel ci conosciamo veramente da sempre e oltretutto lui parla la lingua e dunque ha una conoscenza della Russia moderna molto più precisa e completa della mia (io conoscevo la politica russa moderna). Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a esplorare queste zone, a capire anche come ha funzionato, come funzionava la mente post sovietica.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli