The Cord of Life è un film del 2022 di Sixue Qiao. Il lungometraggio sarà proiettato alla 21° edizione dell’Asian Film Festival di Roma, in programma dal 10 al 17 aprile 2024. Numerosi i riconoscimenti per l’opera prima della regista mongola classe 1990, vincitrice per la migliore sceneggiatura originale al Shanghai Film Critics Awards, miglior contributo artistico all’Hainan International Film Festival e nuova direttrice dell’anno al Weibo Awards Ceremony e al China Movie Channel Award.
Di cosa parla The Cord of Life
In The Cord of Life, Alus – interpretato dall’artista Yider – è un musicista elettronico della Mongolia, costretto a rientrare a casa per prendersi cura della madre Naranzug. Quest’ultima, infatti, presenta chiari segni di demenza senile, al punto che il figlio decide di trasferirsi con lei nella vecchia casa di famiglia in campagna. Il rapporto tra Alus e la madre – interpretata dall’attrice Badema – risulta assai complicato, con la donna che tenta più volte di allontanarsi e perdersi nelle lande desolate. Questa situazione porta Alus ad una decisione drastica, legando l’uno all’altra con una lunga corda in cuoio – da qui il titolo -, così da non perderla mai di vista.
La recensione
Quando si parla del rapporto tra genitori e figli, il rischio di risultare poco efficaci o banali è sempre dietro l’angolo. Non è il caso di The Cord of Life, dove la moderna quotidianità di Alus viene stravolta, riportata ad una dimensione dove prevale la calma, il controllo e la razionalità, caratteristiche necessarie per tenere la madre lontana da ogni pericolo. L’anziana, invece, pare aver compreso benissimo il suo destino – suggerito dalle ultime scene – e si lascia travolgere dalla connessione con la vita, la natura e i propri ricordi.
Nasce, anzi, rifiorisce un rapporto nuovo, caratterizzato da sfumature dolci e – allo stesso tempo – fortemente malinconiche. L’amore più puro, quello incondizionato e privo del freddo giudizio, trionfa simbolicamente scena dopo scena, senza quasi mai cadere in soluzioni forzate o banali. La potenza del film, infatti, non risiede nella dinamicità della trama, ma nella lenta e profonda comprensione che Alus sviluppa nei confronti di Naranzug, supportandola nei suoi ultimi sprazzi di genuina energia e felicità.
Attraverso questa storia, Sixue Qiao sottolinea come le proprie radici, spesso e volentieri, non siano dei semplici ricordi del passato, bensì una risorsa per vivere il presente sotto una nuova luce – nel caso di Alus, sia umana che musicale. Doveroso, inoltre, evidenziare l’attenzione che la regista dedica ai paesaggi della Mongolia, assoluta co-protagonista della pellicola con inquadrature ampie, profonde e capaci di trasmettere l’antico fascino della terra d’origine della Qiao, regista che farà sicuramente parlare di sé nell’universo cinematografico attuale e futuro.