L’Eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto il 24 marzo 1944, è stata una delle pagine più scure e feroci della storia italiana del Novecento. Un efferato massacro, attuato dai nazisti con la complicità dei fascisti, in cui furono uccisi ben 335 civili. Una vile e abietta rappresaglia in risposta all’attentato di via Rasella, occorso il 23 marzo, in cui perirono 33 soldati tedeschi del reggimento Bozen.
È un sanguinoso fatto di storia ricordato e commemorato annualmente, ma sovente con fastidio da parte di politici delle destre. Seppellire, tramite una personale riscrittura della storia, quella ignominiosa pagina di guerra.
Uno degli ultimi eclatanti esempi, che ben evidenzia il tipo di revisionismo applicato da molti esponenti politici, è stata la dichiarazione del Presidente del Senato Ignazio La Russa:
“Via Rasella è stata una pagina tutt’altro che nobile della resistenza, quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e non”.
(31 marzo 2023)
Un’inqualificabile affermazione. Per di più da parte di un’alta carica dello Stato (che ha giurato sulla Costituzione anti-fascista). Non solo getta le basi per una riscrittura storica ad uso degli ignari ascoltatori, ma che tende a minimizzare l’accaduto.
Ma questa indecente asserzione si somma a quella precedente, e altrettanto revisionista, della Presidente Giorgia Meloni. Nel giorno della commemorazione dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine, inviò questo messaggio (scritto, quindi vagliato e calcolato):
“Oggi l’Italia onora le vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Settantanove anni fa 335 italiani sono stati barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia dell’attacco partigiano di via Rasella. Una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani. Spetta a tutti noi – Istituzioni, società civile, scuola e mondo dell’informazione – ricordare quei martiri e raccontare in particolare alle giovani generazioni cosa è successo in quel terribile 24 marzo 1944. La memoria non sia mai un puro esercizio di stile ma un dovere civico da esercitare ogni giorno”.
Ecco, quell’ultima frase, diviene nelle dichiarazioni di certi personaggi soltanto un esercizio di stile oratorio. La citata e omaggiata memoria per loro è uno scomodo orpello. In particolar modo per certi fatti che possono far ricordare le loro radici politiche e morali.
Fortunatamente Gianfranco Pagliarulo (Presidente dell’ANPI) ha prontamente risposto a quella gravosa asserzione, precisando come sono andate effettivamente le cose:
“La presidente del Consiglio ha affermato che i 335 martiri delle Fosse Ardeatine sono stati uccisi ‘solo perché italiani’. È opportuno precisare che, certo, erano italiani, ma furono scelti in base a una selezione che colpiva gli antifascisti, i resistenti, gli oppositori politici, gli ebrei. È doveroso aggiungere che la lista di una parte di coloro che, come ha affermato Giorgia Meloni, sono stati ‘barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste’, è stata compilata con la complicità del questore Pietro Caruso, del Ministro dell’Interno della Repubblica di Salò Guido Buffarini Guidi, del criminale di guerra Pietro Koch, tutti fascisti”.
Carnefici principali di questo massacro: Albert Kesserling (1885-1960), ideatore del rapporto 10 italiani per ogni tedesco; Herbert Kappler (1907-1978) autore della lista dei 335 uomini da uccidere; Erich Priebke (1913-2013) uno dei principali esecutori materiali delle uccisioni; Karl Haas (1912-2004), pianificatore del massacro.
Benché l’Eccidio delle Fosse Ardeatine sia stato uno degli atti più violenti della recente storia italiana e la sua tragicità svoltasi in tre atti (via Rasella, il rastrellamento e l’eccidio finale) si prestasse alla narrazione cinematografica, la vicenda è stata trattata direttamente (e superficialmente) soltanto in due pellicole: Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella) (1962) di Walter Filippo Ratti e in Rappresaglia (1973) di George Pan Cosmatos.
Mentre è differente il caso del documentario Giorni di gloria (1945). Realizzato da Giuseppe De Santis, Luchino Visconti, Mario Serandrei e Marcello Pagliero, è un documentario che ingloba alcune vicende storiche e resistenziali che portarono alla liberazione di Roma.
A ciò si aggiungono la reminiscenza in Roma città Aperta (1945) di Roberto Rossellini; la cronaca en passant in Benito Mussolini – Anatomia di un dittatore (1962) di Mino Loy; la rievocazione simbolica in Giù la testa (1971) di Sergio Leone; la rappresentazione teatrale Radio clandestina – Memoria delle Fosse ardeatine (2005) di Ascanio Celestini e il biopic televisivo La buona battaglia – Don Pietro Pappagallo (2006) di Gianfranco Albano; Tante facce nella memoria (2023) di Cristina Comencini.
Giorni di gloria
1944: L’attentato di Via Rasella e la seguente Rappresaglia nazi-fascista
23 marzo 1944. Verso le 15:50 in via Rasella, i GAP (Gruppi di Azione Patriottica) compirono un’azione di resistenza contro un reparto di soldati tedeschi. L’11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen”. Alla preparazione e all’attuazione resistenziale parteciparono 17 partigiani.
Il gappista Bentivegna “Paolo”, travestito da spazzino, si posizionò con il carretto della spazzatura contenente l’ordigno esplosivo in via Rasella e, dopo il convenuto segnale di Piero Calamandrei che lo avvertiva dell’avvicinamento del reparto tedesco, Bentivegna accese la miccia lunga 50 centimetri.
La deflagrazione dell’ordigno, alimentata dall’esplosione delle bombe a mano del reparto tedesco, provocò la morte di 33 soldati: 26 perirono nell’immediato, 6 successivamente e il trentatreesimo dopo la pubblicazione dell’ordine di rappresaglia voluta da Kappler, comandante delle SS.
L’attentato, purtroppo, provocò anche l’uccisione di 6 civili italiani: 2 per l’esplosione della bomba, gli altri 4 dagli spari dei soldati della Bozen come reazione.
La risposta nazista non si fece attendere. Giunti sul luogo dell’attentato, accompagnati dal questore fascista Pietro Caruso e constatata l’entità dell’attacco tramite le dichiarazioni dei soldati superstiti, iniziarono gli spietati rastrellamenti. Comunicata la notizia ad Adolf Hitler, il Fuhrer infuriato voleva addirittura far saltare l’intero quartiere e poi pretese come vendetta la fucilazione di 50 ostaggi e la deportazione di ben 1000 uomini per ogni soldato rimasto ucciso nell’attentato.
Poi accettò la proposta di Albert Kesserling, che propose l’uccisione di 10 italiani per ogni tedesco.
Questa rappresaglia fu velocemente organizzata ed è completamente falso che i nazisti inizialmente avrebbero trasmesso un comunicato in cui chiedevano i nomi degli attentatori.
“La ricerca degli attentatori non costituì l’attività prima del comando di polizia tedesca, ma fu effettuata in maniera blanda come azione marginale e successiva alla preparazione degli atti di rappresaglia”.
(Sentenza del Tribunale territoriale di Roma n. 631 del 20 luglio 1948)
Estratto della deposizione di Priebke, raccolta l’8 agosto 1946 nel campo di prigionia 209, presso Afragola:
Quella sera il Tenente Colonnello Keppler tornò presto in ufficio e chiamò tutti gli ufficiali ed i soldati. Ci parlò dell’incidente dicendoci che sarebbe stata effettuata una rappresaglia contro gli italiani nel rapporto di un tedesco contro dieci italiani.
La prima lista comprendeva 320 italiani, ma l’eccidio finale fu di 335. I 10 in più (che portarono a 330 le vittime) furono per il 33º soldato morto a lista completata. Mentre i restanti 5 furono inseriti per puro sadismo. Queste ultime 15 inclusioni furono volute da Kappler.
Deportati nelle fosse ardeatine, antiche cave di pozzolana situate in via Ardeatina, i 335 innocenti furono tutti uccisi tramite un colpo di pistola alla nuca. Una sommaria esecuzione che evidenzia maggiormente la viltà della rappresaglia. Completata la vendetta, per occultare il massacro i soldati tedeschi fecero esplodere tutte le entrate delle cave.
Il 28 dicembre 1961 la procura militare di Roma chiese l’archiviazione del procedimento contro i 12 ufficiali tedeschi “imputati di concorso in violenza con omicidio commessa da militari nemici in danno ai cittadini italiani: delitto commesso il 24 marzo 1944 in Roma presso le cave Ardeatine”.
Sebbene si conoscessero nomi e cognomi dei colpevoli e si conoscesse anche l’indirizzo dove vivevano (Priebke era in Argentina, Kappler in Germania), si decise di non procedere. E leggendo le motivazioni di questa decisione, risalta una grottesca ma soprattutto tragica frase:
[…] per ragioni di opportunità, non sembrando conveniente, anche in considerazione delle scarse possibilità di una pratica realizzazione della pretesa punitiva, turbare ancora una volta l’opinione pubblica, riportando alla ribalta il triste episodio dell’eccidio delle Fosse Ardeatine […]
Scenda l’oblio, proprio come è beffardamente intitolato il 16º episodio de I mostri (1963) di Dino Risi.
1994-2004: L’armadio della vergogna
La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.
(Karl Marx)
Cinquant’anni dopo, ecco che giunge una scoperta che ha del grottesco. Nel maggio del 1994, in uno sgabuzzino del palazzo Gesi-Gaddi, sito in Roma e sede della cancelleria della procura militare, il procuratore Antonino Intelisano, che sta svolgendo le indagini sull’ex SS Priebke, scova un armadio.
Questo armadio aveva le ante rivolte contro il muro, per decenni era rimasto così. Girato e setacciato, al suo interno conteneva ben 695 dossier e un Registro Generale con 2274 notizie di reato. In 415 di questi fascicoli, erano riportati i nomi dei colpevoli.
Nel registro, il primo dossier era proprio quello riguardante l’Eccidio delle Fosse Ardeatine, con i nomi dei colpevoli: Dollman, Kappler, e Priebke (erroneamente scritto come Priek) e Schulz.
La definizione di “Armadio della vergogna” fu coniata dal settimanale L’Espresso nel 1996 dai giornalisti Franco Giustolisi e Antonio De Feo, che riportarono il ritrovamento di questa vergognosa vicenda.
Franco Giustolisi, nell’aprile del 2004, pubblicò poi il libro L’armadio della vergogna, in cui riportava dettagliatamente il contenuto di questi dossier, ricostruendo con altro materiale d’archivio, l’iter dei massacri e dei delitti riportati nei fascicoli. E aggiungendovi le indagini scaturiste da questa improvvisa scoperta “giuridico-archeologica”.
24 marzo 2024: 80 anni dall’Eccidio delle Fosse Ardeatine. La lista dei film che hanno trattato la tragica vicenda
Tra i filoni più rinomati della produzione italiana, c’è quello del cinema d’impegno. Molti autori hanno contribuito con le loro opere cinematografiche a portare avanti la memoria di vicende anche poco note.
La Trilogia resistenziale a firma di Roberto Rossellini ne è un fulgido esempio, ma come valido modello c’è anche tutto quel cinema politico e di denuncia prodotto negli anni ’60 e negli anni ’70.
È per questo motivo che ci si domanda come mai l’Eccidio delle Fosse Ardeatine, tragico evento storico anche nei successivi sviluppi (il rinvenimento dell’armadio della vergogna) sia stato trattato pochissime volte. E soprattutto in maniera molto blanda, con delle ricostruzioni storiche non sempre esatte.
Roma città aperta (1945)
Riguardo il film di Rossellini, primo tassello della Trilogia della resistenza, a cui seguirono Paisà (1946) e Germania anno zero (1947), si è scritto molto. Un’opera essenziale nella cinematografica nazionale e mondiale, che va oltre la classificazione di cinema neorealista.
Un istant movie girato con grosse difficoltà produttive, che condensa gli ultimi giorni dell’occupazione nazista a Roma. Una storia quasi corale, nel quale i fittizi personaggi rappresentano figure realmente esistite.
Tra questi Don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi), che incorpora in sé (nel nome e nel modo in cui viene ucciso) due preti che si sacrificarono per la resistenza.
Don Pietro Pappagallo (1888-1944), tra le 335 vittime delle Fosse Ardeatine, e Don Giuseppe Morosini (1913-1944), ferocemente torturato prima e poi fucilato il 3 aprile 1944 a Forte Bravetta.
Ma la vicinanza di Roma città aperta con l’Eccidio delle Fosse Ardeatine è anche a livello toponomastico. Alcune scene del film sono state girate in un ex sala da gioco sita in via degli Avignonesi, a pochissimi metri da Via Rasella.
Giorni di gloria (1945)
A firma di Giuseppe De Santis, Luchino Visconti, Mario Serandrei e Marcello Pagliero, questo documentario di montaggio realizzato a ridosso della fine della seconda guerra mondiale è da considerarsi come un cinegiornale.
Un documento cinematografico, prodotto da Fulvio Ricci per la Titanus e dall’AMPI, realizzato nell’immediato per fornire agli spettatori, ossia i cittadini, notizie riguardanti alcuni fatti tragici avvenuti durante la guerra che portarono alla liberazione di Roma.
Di scarsa visibilità quando uscì, per molti anni fu invisibile. Il Found Footage utilizzato per comporre questo dossier filmico era quello requisito ai nazisti e ai fascisti dagli alleati, e da filmati realizzati in maniera clandestina dai partigiani.
Il segmento riguardante le Fosse Ardeatine, che mostra l’apertura delle medesime e i macabri riconoscimenti delle salme, è opera di Marcello Pagliero, attore in Roma città aperta, nel ruolo dell’Ingegnere Manfredi, e regista di Roma città libera (1946).
Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella) (1962)
Come espone il titolo, il film racconta l’attentato di Via Rasella e la conseguente rappresaglia tedesca. La pellicola s’inserisce in quel breve, quanto intenso, revival resistenziale che si sviluppò tra il 1959 e il 1964, con alterni risultati.
Un nuovo interesse nei confronti della Resistenza e delle lotto partigiane non nato e alimentato da etiche questioni politiche e memorialistiche, ma dal grande successo che ottennero, ex aequo al Festival di Venezia del 1959, Il generale della Rovere di Roberto Rossellini e La grande guerra di Mario Monicelli.
Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella) fu distribuito nel gennaio del 1962. Praticamente a ridosso dell’archiviazione del procedimento contro i 12 ufficiali tedeschi rei dell’eccidio (28 dicembre 1961).
È una pellicola sostanzialmente blanda, rispetto a più proficui e nobili esempi di cinema memorialistico e d’impegno. Ma è comunque un film degno di nota, perché tutto sommato riesce a mantenere toni narrativi asciutti e fornire un minimo di nozione storica.
Una lode anche perché il regista Walter Filippo Ratti è stato usualmente un artigiano di mediocri film di genere (commedie, erotici, horror) e questo Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella) può essere considerato la sua opera più riuscita.
Benito Mussolini – Anatomia di un dittatore (1962)
Biopic documentaristico che ricostruisce, tramite materiale d’archivio, l’ascesa e la caduta del Duce e alcuni fatti avvenuti durante il ventennio. È un tentativo di analisi giornalistica e da anatomopatologo per spiegare la figura di Mussolini.
Tra le molte vicende storiche avvenute durante il ventennio, brevissimamente è menzionato anche l’Eccidio delle Fosse Ardeatine. In questo caso il materiale utilizzato (i soldati tedeschi alle cave ardeatine) è desunto da Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella).
Giù la testa (1971)
È il secondo tassello della Trilogia del Tempo, che comprende C’era una volta il West (1968) e C’era una volta in America (1984). La produzione di Giù la testa fu alquanto travagliata. Inizialmente Sam Peckinpah fu scelto come regista. Poi fu ingaggiato Peter Bogdanovich, infine Giancarlo Santi.
Scontento dalla visione cinematografica dei primi due registi e accolte le rimostranze di Rod Steiger per la scelta dell’esordiente e sconosciuto Santi (che rimase come aiuto regista), Leone decise di realizzare lui stesso il film.
Rispetto alle sue precedenti pellicole, Giù la testa è uno pseudo-western, sia per ambientazione geografica (il Messico) e sia per ambientazione storica (la rivoluzione zapatista). Su questo sfondo, Leone, Luciano Vincenzoni e Sergio Donati, inserirono alcuni aspetti storici desunti dalla resistenza italiana.
Il Colonnello Gutierrez/ Günther Reza (Antoine Saint-John) nella postura e nella divisa militare ricorda i nazisti. Ma soprattutto nel massacro perpetuato nelle grotte, in cui periscono anche i figli di Juan (Rod Steiger). Mentre la cinepresa inquadra i corpi uccisi, le immagini sono commentate dal rumore delle mitragliatrici. Un chiaro rimando all’Eccidio.
E questa disumana carneficina sarà lo sprone che spingerà Juan ad abbracciare la rivoluzione (ossia la resistenza).
Rappresaglia (1973)
Prende spunto dal libro Morte a Roma – Il massacro delle Fosse Ardeatine (1967) di Robert Katz, che già conteneva delle inesattezze storiche. Come riporta il titolo della sceneggiatura conservata presso la Biblioteca Chiarini (CSC), originariamente il film s’intitolava Via Rasella (dieci italiani per un tedesco).
È una produzione ad uso e consumo per un pubblico internazionale, come attesta anche il variegato cast di altisonanti nomi, tra cui Marcello Mastroianni. L’esatta ricostruzione storica è secondaria rispetto all’esigenza di mettere in evidenza le salienti situazioni drammatiche che scandirono i giorni del 23 e 24 marzo 1944.
L’unico merito storico che si può concedere a George Pan Cosmatos, è quello di riportare, durante i titoli di coda, i nomi, la professione e le date di nascita di tutte le 335 vittime.
Radio clandestina – Memoria delle Fosse Ardeatine (2005)
È uno spettacolo teatrale tra i più intensi e fortunati di Ascanio Celestini. L’autore romano, sempre vicino a tematiche storiche e/o sociali, anche in questo caso usa l’oralità per raccontare una delle vicende più feroci della storia italiana.
Un metodo di rappresentazione che accentua il concetto di riportare alla memoria, ovvero il tramandare ricordi e fatti, di stampo popolare. Radio clandestina – Memoria delle Fosse Ardeatine è un monologo in cui Celestini riferisce tutti i fatti che sono avvenuti prima del 23 marzo 1944 (Via Rasella) fino dopo quel 24 marzo (Fosse Ardeatine).
Il fortunato esito dello spettacolo ha originato anche un package editoriale: libro + dvd.
La buona battaglia – Don Pietro Pappagallo (2006)
Don Pietro Pappagallo, come scritto in precedenza, fu preso come modello per il prete interpretato da Aldo Fabrizi in Roma città aperta. Biopic televisivo diretto da Gianfranco Albano, è una miniserie composta da due episodi e liberamente tratta dalla biografia Martiri delle Fosse Ardeatine: Don Pietro Pappagallo – Un santo un eroe (1963) scritta da Antonio Lisi.
Trasmessa la prima volta il 23 e il 24 aprile 2006 su Rai 1, per quanto sia una miniserie meritoria che rievoca una figura emblematica della resistenza romana, resta un prodotto marcatamente televisivo. Una ricostruzione che fa leva principalmente sugli aspetti melodrammatici.
Tante facce nella memoria (2023)
Come il già citato spettacolo di Ascanio Celestini, anche quest’opera nasce come messa in scena teatrale, e la rimembranza dell’Eccidio è demandato al racconto orale.
In questo caso, sul palco, ammantato con una scenografia nera, ci sono 6 attrici, di differente età, che incarnano mogli, madri o figlie di alcuni di quei 335 uomini barbaramente uccisi. Le sei interpreti scelte, riportano a voce le testimonianze di quelle donne raccolte, tra il 1997 e il 1999, da Alessandro Portelli.
La Comencini, che ha curato la versione teatrale assieme a Mia Benedetti, con quest’approccio da anche una visione femminile di quella lontana, e mai emarginata, tragedia. E per dar modo che queste 6 memorie possano restare, ne ha realizzato una versione filmica, che fu presentata alla Festa del cinema di Roma 2023.