Vedere o rivedere oggi sul grande schermo Persepolis (2007) di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud (in sala dal 4 marzo) non lascia indifferenti, per la freschezza ancora intatta dell’animazione artigianale, per la coscienza storica maturata dalla primavera araba alle più recenti manifestazioni civili in Iran, ma anche per la statura di classicità che Persepolis ha conquistato tra tanti consensi negli anni, segnando non solo il cinema d’animazione, fin dal riconoscimento a Cannes 2007 con il Premio della Giuria.
Grazie alla benemerita Cineteca di Bologna che lo propone in una nuova edizione 4K curata dalla stessa regista, rifulge una pellicola amorevole e dirompente, che carica sulle sue spalle minute ma combattive autobiografia e sensibilità collettiva, umorismo e saggezza, ricercatezza visiva e semplicità di racconto. E sulle macerie delle crudeltà del passato schiude una crepuscolare luce di speranza sul nostro presente.
Sinossi
Teheran, 1979. La piccola, vivace e arguta Marjane cresce prima sotto la rivoluzione islamica contro lo scià, poi durante la guerra tra Iran e Iraq. Grazie all’educazione di due genitori progressisti, a uno zio comunista e a una nonna ‘illuminata’, Marjane sviluppa insofferenza e atti di contestazione sotto il nuovo regime di Khomeini, inducendo la sua famiglia a proteggerla e a iscriverla nel 1984 in un liceo francese a Vienna.
Nella capitale austriaca la ragazza vive un’adolescenza grigia, all’ombra dello sradicamento: abbattuta e sconfitta dai pregiudizi altrui verso le sue origini e da una deludente storia d’amore, la ragazza torna a Teheran, sentendosi, da iraniana occidentalizzata, una straniera anche in patria.
Tra nuove esperienze sentimentali e l’avvio di studi accademici, Marjane sperimenta in Iran le ennesime contraddizioni del suo paese, le restrizioni integraliste (il sessismo, la repressione culturale e la persecuzione nel sangue contro i dissidenti), intraprendendo, alla fine, una scelta di addio alla sua famiglia e alla sua città, ma con la conquista definitiva della massima impartita dalla nonna: “sii sempre integra e coerente con te stessa”.

Note di regia
Il film nasce come adattamento dell’omonima autobiografia a fumetti di Marjane Satrapi (1969), pubblicata nel 2000 in Francia, diventata in tutto il mondo un long seller ed edita in Italia da Rizzoli. Studentessa di Arte a Teheran trasferitasi a Parigi nel 1994, Satrapi è stata illustratrice e autrice di libri per bambini; con la graphic novel Persepolis ha raccontato la sua giovinezza inquieta tra l’Europa e l’Iran, traducendo il suo romanzo in un lungometraggio d’animazione grazie alla Sony. Con Vincent Paronnaud ha poi firmato la regia di Pollo alle prugne (presentato alla Mostra di Venezia) e da sola The Voices, Radioactive, tutti film in live action.
Vincent Paronnaud (1970) è uno dei maggiori fumettisti francesi indipendenti, finalista in tanti festival del fumetto e autore di corti d’animazione.
Idee e influenze: una texture persiana
Graphic novel e cartoon, saga famigliare e reportage, fotografia neorealista e stilizzazione arabeggiante, deformazioni pop e micro-filosofia marxista, sprazzi punk-rock e petali di fiori, l’anarchia di Bakunin e Rocky. Senza lasciti tardo-postmodernisti, Persepolis compendia e fa dialogare linguaggi e iconografie in una naturalezza di stile che non nasconde sottile intelligenza, per dipanare quanto di più complicato possa descriversi al cinema: l’adattamento e l’emancipazione dell’essere donna.
Non c’è baricentro nel percorso di formazione di una piccola iraniana istruita, né il civilizzato Occidente capitalistico (Vienna e Parigi), né soprattutto un regime fondamentalista, con il gravoso bagaglio esistenziale della perenne e irreversibile condizione dell’esule. Senza intaccare però l’aura magica del film con slogan programmatici, ideologie sbandierate, automatismi di denuncia. A prevalere, invece, è la disincanta ironia, la tragica bellezza della Resistenza, l’elogio dell’errore, la riscrittura briosa di un vissuto sofferto, il riscatto sociale tramite la cultura, la malinconia finale che al cinismo sostituisce la consapevolezza di sé.

Persepolis, l’unicità dello stile
Con il contrappunto dell’ironia, le licenze immaginifiche, la potenza allusiva del disegno animato (contrasti chiaroscurali, giochi di ombre), ma anche la delicata raffinatezza figurativa, Marjane Satrapi ci ricorda i lutti di una rivoluzione e di una guerra, i sacrifici degli oppositori, le coercizioni misogine di una dittatura, il razzismo dell’Europa borghese, incastonandoli in un viaggio interiore doloroso e leggiadro, alla ricerca di una propria identità di cittadina del mondo e di donna. Con il raro merito di non relegare la Storia a contesto di fondo, ma di integrare privato e universale in un dialogo complementare e indissolubile. Spiega oggi Satrapi in occasione del restauro della pellicola:
“Oggi quella ragazza sarebbe scesa in strada, avrebbe combattuto, forse avrebbe perso un occhio. All’epoca, noi eravamo così terrorizzati che non ci azzardavamo a parlare. Ma questa nuova generazione non è spaventata, quel muro di paura è stato abbattuto, ormai è distrutto”.
Il grande cinema è qui
In suggestioni quasi impalpabili si respira la Storia del cinema in Persepolis, senza stucchevole cinefilia né goliardico citazionismo. Neorealismo italiano ed espressionismo tedesco sono stati il patrimonio estetico da cui hanno attinto ispirazione e tecniche visive Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, come ha dichiarato in un’intervista la stessa regista riguardo all’adozione del bianco e nero:
“In entrambe queste due scuole trovi quel tipo di speranza di chi ha vissuto una guerra e una grande disperazione, io stessa vengo da una scuola postbellica, avendo vissuto gli otto anni del conflitto tra Iran e Iraq”.
Nominando anche tre le proprie influenze Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsese (per il ritmo infallibile del montaggio), La morte corre sul fiume (1955) di Charles Laughton e L’infernale Quinlan (1958) di Orson Welles, Satrapi e Paronnaud svelano il retroterra dell’universo autoctono del film, che a sua volta segna una tappa nella storia del cinema d’animazione europeo.
Realizzato con la tecnica tradizionale del disegno animato (quasi del tutto surclassato in Francia già nel 2007), Persepolis senza l’uso del digitale mette in scena seicento personaggi, con ottantamila disegni realizzati a mano da Satrapi e da altri animatori che hanno conferito fluidità ai movimenti, verità ai volti, infine il respiro di una grande forma romanzesca. Un cinema d’animazione reso necessario rispetto all’opzione di un cinema dal vero, come spiega ancora l’autrice:
“L’azione dal vivo non avrebbe avuto lo stesso carattere di universalità: sarebbe diventata una storia di persone che vivono lontane e non ci somigliano affatto, sarebbe stata una storia esotica e, nel peggiore del casi, da ‘terzo mondo’. I libri sono stati un successo in tutto il mondo perché i disegni erano astratti, in bianco e nero”.

Persepolis: la rivoluzione è donna (e diva)
A fianco dell’ascendenza di pietre miliari in celluloide e del personale contributo all’evoluzione di una tecnica, scorre anche un’altra tenera, elegante storia del cinema tra fiori di gelsomino e romantico allure parigino: nella versione originale non è casuale la scelta di Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve e Danielle Darrieux come doppiatrici, rispettivamente nei ruoli di Marjane, sua madre e la sua moderna nonna (nella versione italiana invece troviamo Paola Cortellesi, Licia Maglietta, Miranda Bonansea).
Al legame di sangue tra le prime due iconiche attrici, notoriamente madre e figlia anche nella vita reale, si aggiunge la presenza vocale di Danielle Darrieux, interprete di longeva carriera e, sullo schermo, madre di Catherine Denevue nei film di Jacques Démy, André Techiné e François Ozon. Un filo rosa cipria di tradizione ed eredità artistica con cui Satrapi e Paronnaud celebrano con un immaginario divistico il valore del sodalizio femminile che è l’anima più candida e struggente di Persepolis.
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