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Marjane Satrapi. La filmografia della grande regista iraniana

Ripercorriamo brevemente la carriera cinematografica della regista e fumettista iraniana Marjane Satrapi, autrice del film cult 'Persepolis'

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È stata una gioventù senz’altro travagliata, quella di Marjane Satrapi.

Figlia di un’agiata famiglia iraniana dalle idee progressiste, la futura regista trascorre la sua infanzia a Teheran, sino a che, in seguito alla rivoluzione islamica e alla susseguente guerra con l’Iraq, i genitori, preoccupati per la situazione interna al Paese, non decidono, nel 1983, di mandarla a studiare a Vienna. Qui la giovane Marjane rimane sino ai diciannove anni, allorquando, nel 1988,  non stabilisce di tornare in Iran per intraprendere gli studi universitari. Quella di far rientro nella sua terra d’origine si rivela, tuttavia, una scelta poco felice a causa del clima particolarmente oppressivo nei confronti delle donne. Ed è così che, dopo un matrimonio fallito, la Satrapi decide di espatriare definitivamente nel 1994, stabilendosi prima a Strasburgo e poi a Parigi, dove tuttora vive.

La difficile gioventù di Marjane Satrapi e il suo esordio artistico con le graphic novel

Le vicende personali di Marjane costituiranno la diretta fonte d’ispirazione di un percorso artistico iniziato, prima ancora che col cinema, con il fumetto e le illustrazioni grafiche. È infatti la graphic novel Persepolis – autobiografia che ripercorre la sua personale odissea giovanile – ad imporre a inizio millennio la talentuosa autrice mediorientale all’attenzione di pubblico e critica internazionali. Un successo, questo, a cui seguiranno altri romanzi a fumetti come Taglia e cuci (2003) e Pollo alle prugne (2004).

Il passaggio al mondo della settima arte: le trasposizioni cinematografiche di Persepolis e Pollo alle prugne.

Il talento di Marjane Satrapi non lascia indifferente il mondo della settima arte, il quale nel 2007 dà alla giovane iraniana la possibilità di passare dietro la macchina da presa per trasporre in pellicola il suo Persepolis. L’opera prima cinematografica, co-diretta assieme al fumettista francese Vincent Paronnaud e realizzata ricorrendo alla tecnica dell’animazione, ripete il successo dell’omonimo romanzo grafico, venendo acclamata dalla critica mondiale. Persepolis, infatti, finisce per fare incetta di riconoscimenti, ottenendo, tra gli altri, la nomination agli Oscar 2008 come miglior film d’animazione e il Premio della Giuria al Festival di Cannes 2007.

Persepolis e i migliori film d’animazione per adulti

 

Quattro anni dopo il dirompente esordio cinematografico, per Marjane Satrapi arriva il momento di confermare le sue doti autoriali. Ed è così che viene chiamata a realizzare – ancora una volta assieme a Vincent Paronnaud – un nuovo lungometraggio tratto da un’altra sua graphic novel. Parliamo di Pollo alle prugne (2011), film presentato alla 68esima Mostra del Cinema di Venezia, di cui tratteremo approfonditamente più avanti.

La digressione dal cinema impegnato con La bande de Jotas

L’anno successivo – il 2012 – segna per la Satrapi una piccola rivoluzione artistica. È allora, infatti, che, terminata la collaborazione con Paronnaud, si trova a dirigere per la prima volta un film in solitaria. Si tratta di La bande de Jotas (2012), spassosa commedia dalle venature thriller che, ricorrendo alla struttura del road movie e partendo dal classico espediente dello scambio di valigie, racconta le vicende di due tranquilli giocatori di badminton, Nils (Mattias Ripa) e Didier (Stéphane Roche), i quali vengono loro malgrado coinvolti da una misteriosa donna (Marjane Satrapi) in una sfida all’ultimo sangue contro una gang mafiosa.

Con questo film ambientato nella Spagna meridionale, l’autrice iraniana si allontana decisamente dalla poetica e dalle tematiche proposte nelle sue opere precedenti – perlopiù legate alla sua terra d’origine e all’universo femminile – realizzando un racconto che null’altro chiede, se non d’essere un momento di pura libertà espressiva. Ed è in tal senso che La bande de Jotas rappresenta una divertente e divertita digressione della regista/fumettista dalla figura di intellettuale impegnata in cui era già stata conchiusa. Un’autoironica fuga da sé attraverso cui la stessa Satrapi – qui anche nei panni della protagonista – sembra voler garbatamente manifestare il suo rifiuto per etichette o ruoli predefiniti.

Gang of the Jotas (2012) | MUBI

Gang of the Jotas (2012) | MUBI

Il primo film di Marjane Satrapi in lingua inglese: The Voices

Il quarto lungometraggio dell’autrice iraniana rappresenta anche il suo primo film in lingua inglese. Parliamo di The Voices (2014), black (anzi “blackissima”) comedy che, sconfinando nell’horror/splatter, racconta le vicende di Jerry (Ryan Reynolds), operaio affetto da problemi psichici, il quale parla con i suoi animali domestici (il perfido gatto Mr. Whiskers e il dolce cane Bosco) ed è innamorato della collega Fiona (Gemma Arterton). Dopo aver ucciso incidentalmente quest’ultima, il giovane protagonista – già confuso nel distinguere realtà e fantasia a causa del suo rifiuto di assumere farmaci – viene risucchiato nel gorgo violento delle sue allucinazioni che lo portano a dover decidere se assumere o meno le vesti di un serial killer.

Affrontando il tema della malattia mentale attraverso l’esperienza sensoriale disturbata di Jerry, il film – girato in Germania e presentato al Sundance Festival del 2014 – non si ferma alla pur lodevole narrazione delle ricadute socio-individuali della malattia psichiatrica, ma utilizza quest’ultima come metafora attraverso cui porre in risalto quel conflitto tra volontà del bene e pulsione al male da sempre alla base delle dinamiche umane.

È tuttavia il senso di solitudine a prevalere in un racconto che, unendo fragilità a incomunicabilità, mette in risalto quel bisogno d’amore di cui nessuno può fare a meno.

The Voices

Radioactive: ritratto della scienziata Marie Curie, donna libera e determinata

L’ultimo lungometraggio ad oggi realizzato dalla Satrapi è Radioactive (2019), biopic su Marie Curie (interpretata da Rosamund Pike) tratto dalla graphic novel Radioactive. Marie & Pierre Curie: A Tale of Love and Fallout di Lauren Redniss.

Narrato in un lungo flash-back, il film ripercorre la vita della scienziata di origini polacche partendo dall’incontro col futuro marito Pierre Curie (Sam Riley). Da qui si dipana una storia che, procedendo per salti temporali, racconta dei successi professionali (la scoperta della radioattività, i due premi Nobel) e delle scelte affettive di una donna disposta ad affrontare il pubblico scandalo pur di affermare la propria libertà.

Marjane Satrapi mette in scena il ritratto di una figura femminile alla ricerca della propria emancipazione. Di Marie le interessa non soltanto la rilevanza scientifica – pur sottolineata dall’evidenziazione delle ricadute delle sue scoperte –, ma anche, se non soprattutto, l’aspetto personale. La scienziata è una persona forte e volitiva, una sorta di proto-femminista chiamata a lottare per la propria affermazione in un contesto ancora dominato dalla cultura maschilista. Il rimando alla condizione femminile nel Paese d’origine della regista è inevitabile. Tornano alla mente le donne iraniane raccontate in Persepolis, il loro urlo soffocato di libertà. Ed è in tal senso che Radioactive rappresenta per la Satrapi un chiaro ritorno a quelle radici tematiche da cui ha avuto origine il suo percorso artistico. Un percorso che ad oggi vede l’autrice impegnata come illustratrice di libri per bambini.

Dopo questo breve excursus sulla filmografia della regista iraniana, vi lasciamo alla recensione del suo lungometraggio Pollo di prugne.

Radioactive: la storia di Marie Curie raccontata da Marjane Satrapi

Radioactive, la storia di Marie Curie nel film di Mariane Satrapi | taxidrivers

Radioactive

Pollo alle prugne: trama e recensione

Nella Teheran del 1958, il talentuoso violinista Nasser Ali Khan (Mathieu Amalric) decide di lasciarsi morire dopo che la moglie Faranguisse (Maria de Medeiros) ha volontariamente distrutto l’adorato violino regalatogli dal suo maestro. L’uomo, perciò, trascorrerà otto giorni sdraiato sul letto rifiutando ogni sorta di cibo. Otto lunghi giorni durante i quali, attendendo la fine, ripenserà alla propria vita, segnata dalla passione per la musica, dal matrimonio infelice impostogli dalla madre Parvine (Isabella Rossellini) e dal rimpianto per bella Irane (Golshifteh Farahani), suo unico vero, grande amore.

Dopo il clamoroso successo del film d’esordio Persepolis (2007), la coppia di registi/fumettisti formata dall’iraniana Marjane Satrapi e dal francese Vincent Paronnaud torna nelle sale cinematografiche con un’opera seconda che si allontana decisamente dalle scelte formali e narrative della pellicola precedente: non più il racconto d’animazione ma il live action; non più il registro realistico ma una mise-en-scène virata su toni favolistici.

Con Pollo alle prugne, i due autori scelgono di giocare sulla commistione di generi finendo per realizzare una commedia agrodolce e onirica che all’iniziale gusto per il comico/grottesco va via via sostituendo un sapore melò e malinconico. Il tutto all’interno di una storia che rifiuta la linearità narrativa preferendo la frammentazione in otto flash-back e flash-forward in cui si spazia dalla sit-com agli inserti d’animazione.

Si tratta di una serie di ricordi e aneddoti che tracciano il percorso umano di Nasser Ali e rivelano gradualmente le ragioni della sua feroce disperazione. Perché quello fatto a pezzi non è soltanto uno strumento musicale, ma anche l’estremo punto di connessione tra il protagonista e il suo (bi)sogno d’amore.

Ed è in tal senso che Pollo alle prugne, pur dipanandosi sullo sfondo della morte, in realtà celebra la vita. Una vita da vivere appieno, dando voce a quelle emozioni e quei sentimenti che l’arte può aiutare ad esprimere “facendo esplodere la luce dalle tenebre”.

Ma Pollo alle prugne è anche altro. Perché, pur conservando una prevalente matrice lirica e intimista, la pellicola non manca di porre in evidenza una sua connotazione strettamente politica – seppur meno marcata e diretta rispetto alla denuncia frontale di Persepolis – con la quale la coppia di registi, dopo aver disseminato tracce della millenaria cultura persiana (tra tutte, la citazione del poeta Hafez), torna ad affrontare il tema della condizione della donna nella società iraniana attraverso le vicende di Irane, costretta a rinunciare all’amore di/per Nasser Ali a causa dell’opposizione del padre.

Un evento, questo, che prenderà sempre più piede andando a costituire il nucleo centrale di una storia che trova nell’impianto visivo un supporto decisivo. E che, anche grazie alla ricercata scenografia antinaturalista e alla fotografia giocata in accordo con gli stati d’animo dei protagonisti, non può che condurre lo spettatore ad una profonda riflessione sull’esistenza: cosa resta di noi se chiudiamo le porte all’amore, se non apriamo un varco al soffio della vita? La risposta sta tutta nel cupio dissolvi di Nasser Ali.

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