A Killer Paradox di Lee Chang-hee è la nuova serie thriller di Netflix, scritta da Kim Da-min (FAQ) e tratta dal webtoon di Kkomabi A Killer Paradox.
La serie è composta da otto episodi ed interpretata da Choi Woo-sik (Parasite, Our beloved summer, The Policeman’s lineage, Train to Busan), Son Suk-Ku (D.P., My liberation notes, The Roundup) e Lee Hee-jun (L’uomo accanto, Mouse).
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Coinvolgente e spiazzante fino al quarto episodio, nella seconda metà si perde in cerca di bulimia di genere, quasi del tutto fallita.
Choi Woo-shik è Lee Tang in A Killer Paradox Cr. SONG KYOUNG SUB/Netflix © 2023
A Killer Paradox, la trama
Lee Tang (Choi Woo-sik) è uno studente universitario appena congedato dal servizio militare; non ha un’idea chiara del proprio futuro e neanche gli strumenti per programmarne uno. Sconsolato e stressato dalla situazione, si trova coinvolto accidentalmente in una discussione con uno sconosciuto, che degenera. Tang lo uccide e, per una serie ridicola di circostanze, non rimane traccia del suo passaggio.
Sfinito dai sensi di colpa, presto scopre che la sua vittima era in realtà un serial killer. A questo assassinio ne fanno seguito altri, quasi dettati da un fato inesplicabile e sempre miracolosamente occultati, di personaggi tutt’altro che innocenti. Suo malgrado, Tang si trova coinvolto in una squadra di giustizieri, mentre alle sue calcagna continua ad indagare il meticoloso e paziente detective Jang Nan-gam (Son Suk-Ku). Ma la caccia all’assassino finisce presto per estendersi e reindirizzarsi verso un altro criminale, un diavolo implacabile con le stesse mire di giustizia inappagate.
Son Suk-ku è Jang Nan-gam in A Killer Paradox Cr. SONG KYOUNG SUB/Netflix © 2023
Il paradosso è anche registico
A Killer Paradox è una serie che per i primi quattro episodi offre cinema di gustoso intrattenimento visivo. Con uno stile di regia vagamente vintage tra zoom, panoramiche a schiaffo e inserti visionari, il thriller ha un profumo quasi andersoniano. Anche il montaggio gioca con il linguaggio, sfacciato e baldanzoso, di piani narrativi inverosimili che si combinano con delizia del pubblico. E il montaggio rimane una costante di pregio in tutta la serie.
Choi Min-sik si rivela completamente a suo agio in questo ruolo dove combina la sua innocenza ad un lato ben più aggressivo, ma emotivamente vacillante.
Non capivo se eri buono o cattivo.
E il personaggio di Son Suk-ku, qui diffidente e drogato di gomme da masticare, pare essere l’unico a non lasciarsi convincere e continua a battere nuove piste, sempre alle calcagna di un ignaro Lee Tang, che pensa ancora di essere il peggior nemico di sé stesso.
La storia subisce una evoluzione interessante, quasi i ruoli si ribaltano, ma chiaramente non senza un’epica e grottesca alternativa.
È mescolanza o uno zibaldone?
Tuttavia, nella seconda metà, si inietta violenza a dosi massicce e la storia dell’imbranato raccontata con linguaggio dissacrante, prende tutt’altra piega: con questo twist in sceneggiatura si perde un po’ la spensieratezza dell’inizio. A Killer Paradox diventa un thriller più crudele, che suggella la fine del delirio impacciato e scanzonato della prima porzione.
E per affermare la fallibilità dell’essere umano, l’ultimo episodio si rivela come un film a sé stante. Con un finale di immancabile banalità, per dare il via ad ogni possibile seconda stagione.
Non ha fatto niente di male. Ha solo eliminato la spazzatura.
Choi Woo-shik è Lee Tang, Son Suk-ku è Jang Nan-gam in A Killer Paradox Cr. SONG KYOUNG SUB/Netflix © 2023
La giustizia, questa ridondante presenza
Per quella fame di giustizia da appagare, lo sfortunato incappato in un disegno “divino” diventa l’idolo della rivincita, il giustiziere fortunato che scende pure a compromessi con i sensi di colpa, perché tanto pare che così colpevole poi non sia.
Niente di nuovo sotto il sole del Paese del Calmo Mattino: questo è un grande classico tra i temi della cinematografia coreana, dove i giochi creativi sul filo sottile che separa giustizia e colpa ci hanno regalato opere d’autore epiche. Eppure, la trasposizione del webtoon di Kkomabi arriva in ritardo su di un altro prodotto che traccia la stessa storia di un Cavaliere Oscuro di discutibile giustezza. Così come è stato per il Vigilante di Disney+, anche Netflix ha creato il suo combattente dell’ombra, anche se la soluzione ironico-grottesca di Choi Woo-sik è ben più goffa del prestante poliziotto interpretato da Nam Joo-hyuk.
Si fatica a non paragonare le due produzioni, uscite a così pochi mesi di distanza, che si evolvono esattamente nella stessa direzione. I due giustizieri (quello che lavora dentro i confini del sistema, e quello che si muove fuori) congiungono le forze per combattere un terzo nemico che si va definendo solo nella seconda metà della serie. E, per questo, è difficile non vedere i limiti della serie Netflix, che aveva iniziato con una proposta registicamente coraggiosa e fuori dalle righe, banalizzata dalla necessità di imbottire di ripieno acre le ultime puntate.
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