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Torino Film Festival

Intervista ad Andrea Gatopoulos, il regista che rivoluziona l’industria

La sua trilogia dal titolo UOMO-MACCHINA uscirà al cinema ad aprile

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Andrea Gatopoulos è un regista che sta lasciando importanti segnali al cinema. Ha concluso da poco la sua trilogia UOMO-MACCHINA che, come dichiara il regista a Taxi Drivers, raggiungerà le sale cinematografiche ad aprile.

I film sono i cortometraggi Happy New Year, Jim, entrato in selezione ufficiale al Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs,  Eschaton AD nato durante il Workshop Spring Academy al Festival di Locarno e il lungometraggio A Stranger Quest presentato in concorso al Torino Film Festival.

Cliccando qui si potrà leggere la recensione del film.

L’intervista

Seguo i tuoi lavori da molto tempo. Trovo che ci sia molta perseveranza nei confronti del cinema da parte tua nonostante le difficoltà che ci possono essere, soprattutto dal punto di vista sociale. Come è nata la passione per il cinema?

“Quando ero ragazzo, ero un appassionato videogiocatore. All’epoca non era una professione, ma un hobby, poiché non c’era ancora un’economia dietro. Ho partecipato a tornei e ho fatto parte della nazionale italiana di videogiochi. Giocavo a Halo, Overwatch e a molti altri videogame. Dopo un po’ ho smesso. I videogiochi ti consumano tutto, un po’ come lo sport. Tuttavia, ti consuma dal punto di vista psicologico e può diventare una dipendenza.

Eppure, è così che ho iniziato a fare cinema. Realizzavamo montaggi delle migliori azioni di gioco, che io registravo e poi montavo. Da bambino facevo i Lego e filmavo le mie costruzioni in modo molto naif. Mio padre aveva una telecamera che mi ha lasciato quando se n’è andato, ed è un cimelio per me.

Non pensavo che in futuro si potessero fare film all’interno dei videogiochi. Poi ho visto le opere di vari registi come i Total Refusal e ho capito che si poteva fare. Da lì è nato Happy New Year, Jim, che è stato un momento di rottura nel mio cinema perché ho iniziato a utilizzare un tipo di approccio diverso. Penso di essere una persona impaziente. Non ho mai voluto aspettare per fare un film, non ho mai aspettato bandi, produttori, l’approvazione di qualcuno. E quindi tuti i miei lavori finora sono stati prodotti da me.

Ho tutta la libertà del mondo ma, con pochissimi mezzi, è quasi come una sorta di “one man band”. Se prendi Happy New Year, Jim, ho fatto tutto, persino le voci di Jim e Morten. Il capitale serve ma è bene ricordare che il cinema è un’arte più potente del capitalismo. Questa è una cosa che molti cineasti e produttori non hanno capito. Il digitale e tutte le nuove tecnologie danno la possibilità di fare cinema e questa è la base del mio workshop Nouvelle Bug che partirà a breve.”

Oggi l’industria del cinema ci insegna che bisogna sacrificare buona parte di sé. Spesso non c’è l’opportunità di esprimersi a 360°. Le scuole di cinema e le accademie sembra abbiano la stessa metodologia. Cosa ne pensi di tutto ciò, ovvero di questo tipo di insegnamento?

“Dipende molto dalle persone e dalla personalità che uno ha. Dipende anche dal tipo di cinema che ti piace. Io non ho mai frequentato una scuola di cinema, parlo un po’ da esterno. Tuttavia, ricevo molti lavori dalle scuole di cinema essendo distributore della società Gargantua. Noto che le accademie sono un contesto sociale ed è normale che le cose che accadono all’interno siano simili. In Russia ad esempio c’è Sokurov, che è stato il padre putativo di molti autori come Kantemir Balagov e Kira Kovalenko.

Lui ha fondato una scuola di cinema d’autore. Il suo discorso era diverso e spingeva i ragazzi a parlare del proprio mondo.”

Perché in Italia non c’è questo tipo insegnamento?

“Secondo me non c’è perché in Italia abbiamo un grosso problema produttivo. I produttori corrono molti rischi e per rimanere in vita devono ridurre questi pericoli al minimo. I film non vengono finanziati dai privati, quindi in realtà devi convincere delle commissioni. Queste non vengono convinte dall’innovazione, ma dai processi imitativi. E a causa di ciò c’è un’ondata di conformismo.

Ma oggi la situazione in Italia sta cambiando. Ci sono nuovi autori che dialogano con l’estero. Penso a Zoppis, Righi, Parroni, Santambrogio. Se osserviamo bene questi film, vediamo che la componente principale è quella per cui alcuni dialogano con la cinematografia estera.

Re Granchio è girato all’estero, esattamente in Argentina ed è tratto dal libro La leggenda del Santo Bevitore. Il film di Tommaso Santambrogio è girato a Cuba e si appoggia ad un altro stato e continente e quindi c’è un altro sistema economico in cui con pochi soldi riesci a fare comunque un ottimo lavoro. Quello di Parroni è un esordio innovativo: ha fatto un film senza sceneggiatura convincendo un vecchio sistema industriale cinematografico e soprattutto Wim Wenders. Per distruggere questo “muro” bisogna rompere molti schemi e Alain ce l’ha fatta.

La scuola di cinema ti insegna come cavartela, ti insegna più a non morire che a vivere. È una skill, ma non una skill che può dare la possibilità a te di diventare un autore.”

Dicevi prima che i videogiochi ti hanno consumato. Come ha fatto il cinema a entrare nel tuo mondo?

“Il mio interesse per il cinema è partito sia da un punto di vista tecnologico che artistico. Fino ai miei 20 anni, non avevo mai visto un film d’autore e non sapevo nemmeno cosa fossero. Ho studiato letteratura all’università e abbiamo anche seguito un corso di cinema. Da lì ho capito che c’era qualcosa di interessante che mi offriva una prospettiva diversa rispetto al percorso comune.

Sono ossessionato dal mantenere vive le alternative. Tutti i miei processi creativi, dall’ideazione dei miei cortometraggi fino alla scelta del personaggio per A Stranger Quest, mi parlano quando mi dimostrano che esiste un’alternativa a un percorso prestabilito e che questa alternativa può portare gioia e, soprattutto, libertà. Il cinema, oltre ad essere un’arte complessa, ha questa doppia natura: può entrare in contatto con molte persone, ma mantiene la sua straordinaria opportunità creativa. È un’arte di grande condivisione con le persone, al contrario della ceramica che è un’arte da bottega, qualcosa che si fa da soli.”

Fai sceneggiatura, regia, curi il montaggio, l’aspetto grafico e lavori anche a progetti di altre persone. In più, hai la tua società di distribuzione Gargantua e quella di produzione Il Varco. Il tuo impegno è ammirevole. Quando incontri momenti di scoraggiamento, come reagisci?

“Non riesco a dirti esattamente perché, ma sento di essere una persona felice e realizzata non per i premi che ho vinto. Come tutti i registi, mi aspetto certe cose che poi non accadono e questo mi dispiace, ma poi c’è sempre il futuro e il tempo per fare altre cose. Comunque, ci sono i miei film. Gli ultimi che ho realizzato mi piacciono, quindi quando li guardo mi consolano.

Il mondo del cinema si può dividere in due parti: ci sono coloro che provengono da famiglie abbienti, che ti supportano, pagano l’affitto e ti permettono di avere una tranquillità economica per concentrarti esclusivamente sul tuo lavoro. E poi ci sono persone che, provenendo da situazioni diverse, devono lavorare, pagare l’affitto, fare fronte a queste spese. Io appartengo a questa seconda categoria. Il motivo per cui mi occupo di Gargantua, di grafica e altro non è solo per il piacere personale, ma anche per necessità economica. Mi serve per pagare questa casa, per sopravvivere.

Se devo garantirmi uno stipendio ogni mese, voglio che provenga dal cinema. A volte invidio altri registi che sono meno “bulimici” di me, che fanno qualcosa e la fanno per molti anni e poi raccolgono i frutti di un lavoro meticoloso. Mi piacerebbe trovarmi in una situazione del genere, ma a causa della mia storia personale non riesco a raggiungere questa tranquillità e quindi ho bisogno di lavorare per mantenermi e per questo ho creato i miei film e le mie società.”

Nel film A Stranger Quest, non c’è mai l’uso del primo piano. Perché questa scelta? E quali sono state le tue ispirazioni che hanno guidato la messa in scena del film? 

“Il film non è ispirato al cinema, questa è una costante nei miei lavori. È raro che io usi delle reference cinematografiche. Il film è ispirato alla cartografia e lo abbiamo girato in 16mm con un grandangolo e una lente. L’obiettivo che abbiamo avuto era di creare un “film atlante”, che somigliasse a una sequenza di mappe e abbiamo voluto capire come l’immagine cinematografica potesse avvicinarsi il più possibile alla mappa. Non volevo fare un biopic e avevo bisogno che il film fosse qualcosa di più grande del protagonista.

Il film non è su David Rumsey, ma sul senso dello scopo. Alcune persone mi hanno detto che non sono entrate nel film, io ho risposto che non dovevano entrare nel film. Il punto non era quello di far entrare in empatia il pubblico con il personaggio, altrimenti avrei girato con i primi piani.”

Come si è prestato David Rumsey per il documentario?

“David ha imparato velocemente cosa fosse il film e cosa stessimo cercando di fare. Si è messo a disposizione della mia visione perché ha capito che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Nessuna scena o inquadratura è stata ripetuta, nemmeno il monologo finale, che David ha improvvisato al microfono; non era previsto nella sceneggiatura.”

Ci sono dei punti in cui si ha l’impressione che la sceneggiatura sia scritta, oppure era tutto improvvisato?

“Tutto è stato improvvisato. L’unica cosa scritta da me erano le parti del navigatore, le quali sono state aggiunte in seguito. Quello che esce dalla bocca di David è tutto spontaneo ed è una persona che ha una grande proprietà del linguaggio. È stata una fortuna aver trovato un “personaggio” del genere.”

Potresti darmi altre informazioni riguardo ai tuoi progetti, tra cui il corto con la collaborazione del regista vincitore della Palma d’Oro, Apichatpong Weerasethakul? 

“Ad agosto ho partecipato a un workshop con Apichatpong, e sto montando il film, ma mi sta richiedendo un po’ di tempo. Ora voglio fermarmi un po’ e cominciare a sviluppare nuove idee. In questo momento, mi piacerebbe realizzare un’opera più tradizionale, con una troupe e un budget. Da un lato, tutti questi film fatti in casa mi hanno dato la possibilità di emanciparmi, ma ora sto pensando che è qualcosa che ho imparato a fare e quindi una scorciatoia.

In realtà, mi piacerebbe fare qualcosa di più grosso e ambizioso. Credo che il prossimo film richiederà ancora del tempo. Tra poco uscirà un libro che sarà un diario di viaggio e parlerà della mia opera cinematografica A Stranger Quest. Racconteremo cosa significa fare questo lavoro e vivere il paesaggio americano.

Sarà un confronto con questa cultura e includerà anche delle foto di Antonio Morra (DOP del film) che ha fatto il viaggio e ci sarà quindi una metà tra libro fotografico e diario di viaggio che stiamo finendo adesso. In più sto scrivendo un romanzo frammentario e picaresco ambientato a Roma.”

Cosa è l’intelligenza artificiale?

“Il capolavoro del capitalismo. L’ultimo stadio di quella trasformazione della società che il capitalismo tecnologico sta operando porta con sé alcune conseguenze drammatiche che cambieranno la società in maniera radicale, non si sa se per il meglio o per il peggio. Se ci pensi, l’intelligenza artificiale realizza il sogno dell’imprenditore capitalista, ossia la totale sostituibilità del lavoratore e questo vuol dire disinvestire sul capitale umano e sull’individuo, ed è un sogno macabro per il capitalismo.

Per quanto riguarda l’arte in generale, ho il sospetto che il cinema industriale utilizzerà l’intelligenza artificiale per compiti che in precedenza coinvolgevano più persone. Oggi, l’IA raccoglie fondamentalmente le reazioni delle persone. Quindi, se milioni di persone pensano che una certa cosa sia bella, l’IA si accorge di questo e ti propone qualcosa di simile che, logicamente, dovresti trovare bello.

Tuttavia, la bellezza non è retroattiva, mentre l’IA lo è. Pensa a una banalità: le aragoste, che nel 1800 venivano date ai carcerati, erano il cibo più comune e facevano schifo a tutti. Oggi un’aragosta costa 60 euro al chilo e ce ne sono di meno, quindi non le mangi mai. Probabilmente, se le mangiassi tutti i giorni, ad un certo punto ti farebbero schifo.

Se hai un’immagine di paesaggio che ti sembra perfetta, l’IA potrebbe suggerirtene altre simili, ma nel momento in cui saranno ovunque non saranno più belle e quindi questa prepotenza che l’IA ha di riprodurre il bello è una contraddizione in termini perché l’essere umano non sa cosa sia il bello, come il senso della vita.”

Trilogia UOMO-MACCHINA

Mi potresti parlare di più della tua trilogia composta da Happy New Year, Jim, Eschaton AD e A Stranger Quest?

“A Stranger Quest uscirà ad aprile come parte di una trilogia composta anche dai miei corti Happy New Year, Jim, Eschaton AD.

Questi tre film esplorano il rapporto tra l’uomo e la macchina, concentrandosi sul tema delle emozioni e sulla riproduzione delle stesse da parte delle macchine. In particolare, Happy New Year, Jim esplora il tema della solitudine e della ricerca dell’altro, mentre Eschaton AD affronta questa tematica attraverso una sorta di pubblicità in cui l’intelligenza artificiale si presenta come in grado di permettere alle persone di creare immagini e diventare artisti, con un’implicita sfida a superare gli altri. A Stranger Quest invece è una “macchina” che guarda un uomo confessandogli di non capire perchè lui per 30 anni colleziona mappe che non interessano a nessuno.”

Come è nata la trilogia?

“In realtà, questa idea è nata a posteriori. Mi sono reso conto che stavo seguendo un percorso circolare, o meglio triangolare. All’inizio, ho realizzato il cortometraggio Happy New Year, Jim come esperimento, ma in seguito ho capito che il film mi rappresentava al 100%. Successivamente, ho partecipato alla Locarno Film Academy per Eschaton AD e mentre ero lì già stavo realizzando A Stranger Quest. È stato in quel momento che ho realizzato di essere immerso in un grande cerchio riguardante il rapporto tra l’uomo e le macchine. Questo mi ha anche spinto a cercare di creare un evento innovativo per distribuire il film insieme ai due cortometraggi.”

Come avverrà la distribuzione della trilogia nelle sale ?

“La distribuzione nelle sale avverrà attraverso una serie di eventi a Roma, altri previsti a Milano, Bologna, Pescara e stiamo anche valutando l’opportunità di includere Palermo e altre città, seguendo la community di persone con cui ho costruito un rapporto in questi anni.”

Ci sarà un possibile quarto film per poter parlare di una quadrilogia?

“Non credo che sarà il caso. Sento che abbiamo esplorato tutto quello che c’era da esplorare, e non desidero andare oltre. Con il finale di A Stranger Quest, si conclude il discorso.”

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