
Anno: 2012
Durata: 104′
Genere: Drammatico
Nazionalità: Svezia
Regia: Gabriela Pichler
Riflessivo esordio di una cineasta svedese di adozione, Eat Sleep Die è un’opera sul dramma della disoccupazione. Il racconto, imprescindibile dall’ambientazione, mostra una Svezia che, per quanto dimostri una tolleranza sopra la media europea, vacilla quando si tratta di garantire reali opportunità a gruppi di immigrati in via di inserimento.
Gabriela Pichler mette in scena, perciò, la storia di Raša, una giovane montenegrina di nascita, che da sempre vive nella campagna svedese: dall’età di 16 anni la ragazza opera nel settore ortofrutticolo, e nel suo lavoro dimostra una bravura inconsueta. Entusiasta, originale, di grande volontà, anche se sgraziata e impudente.
Quando i tagli del personale nell’azienda la investono lasciandola senza impiego, il padre è costretto a riprendere un lavoro lontano da casa che lo riduce fisicamente a pezzi, e la ragazza, ancora di più, sente gravare il senso di colpa. Il vivace rapporto col padre, l’unico rimasto della sua famiglia, in un contesto difficile, isolato e freddo, rende questa eroina amabile e divertente.

Contrastando i cieli uggiosi, le immagini patinate, le tonnellate di sigarette e il suo accento straniero, Raša cerca nelle proprie giornate una spensieratezza che non pare esserle dovuta: “La vita non è fatta per divertirsi; la vita deve essere vissuta e basta”, “Ma quello non è vivere, è aspettare la morte”.
Il linguaggio aspro della regista opta per una osservazione verista con tendenze documentaristiche, mostrando quei lavoratori che, avendo speso la propria vita per un umile salario, non sono pronti ad essere travolti dal licenziamento: Raša non conosce alcuno al di fuori dell’azienda, non sa fare altro oltre quello che ha sempre fatto, non ha la patente, non sa come relazionarsi col mondo del lavoro, e il suo tentativo di apparire sveglia fallisce, tradito dalle sue esperienze limitate. Quali prospettive per la sua volontà eccellente? A dispetto di tutto, il suo entusiasmo non viene mai meno, anzi contrasta egregiamente con i ritmi spenti scelti dalla regista; e questa brillante interpretazione risulta particolarmente inconsueta dal momento che l’attrice protagonista, Nermina Lukač, è un’esordiente.
Malgrado la lentezza dei dialoghi e la neutralità dell’immagine, i personaggi trasudano verità e non mancano di rimandarci trasversalmente all’universo di Umberto D.
Rita Andreetti