Katika Bluu, nel concorso internazionale di Alice nella città, è uno sguardo su una tragica realtà a non tutti nota. Il CTO di Goma è un centro d’accoglienza e transito che recupera bambini e ragazzi che facevano parte dei gruppi armati. Una rieducazione che si basa sulla comunità, sull’interscambio, l’autodeterminazione e, soprattutto, sulla non violenza.
Per sapere qualcosa in più su questo notevole documentario, abbiamo intervistato i due registi belgi, Stéphane Xhroüet e Stéphane Vuillet.
L’intervista
Come è nata l’idea di realizzare Katika Bluu, documentario su questa realtà poco conosciuta?
Stéphane Xhroüet: Ero in Congo, nella città di Goma, per aprire una scuola di cinema. L’Unicef mi propose di aprire un laboratorio di cinema per i bambini rinchiusi nel CTO (Centres de Transit et d’Orientation). Inoltre, mi propose anche di realizzare un cortometraggio, che raccontasse questa realtà.
Ho chiamato Stéphane per proporglielo, e ci siamo confrontati. Mentre lavoravamo, il progetto ha preso delle dimensioni che non immaginavamo, e quindi è diventato un vero e proprio film di finzione.
Stéphane Vuillet: Gli ho detto che avrei accettato di farlo soltanto se avremmo realizzato un lungometraggio, perché questo era il mio obiettivo. Siamo stati là tre settimane per realizzarlo, ed era un’esperienza che anche io volevo fare.
Katika Bluu è intepretato da ragazzi e bambini che hanno realmente vissuto l’esperienza dei gruppi armati. Questa realtà ha modificato la vostra idea di partenza?
Stéphane Vuillet: Quando abbiamo deciso di fare il lungometraggio, Stéphane era già lì, mentre io ero a Bruxelles. Avevamo stabilito di raccogliere tutte le testimonianze dei protagonisti, e dopo averle raccolte, su quelle memorie, costruire il film.
I ragazzi hanno raccontato tutto a Stéphane, di questo centro d’accoglienza, di questa donna tutrice, che ha anche un ruolo nel film… e attraverso questo materiale, abbiamo lavorato congiuntamente per strutturare questi racconti e trasformali in un film compatto.
Stéphane Xhroüet: La storia che raccontiamo è emblematica. È la storia di un ragazzo che esce dalla foresta…
Stéphane Vuillet: bisogna specificare che la foresta, in questo caso, è l’equivalente dei gruppi armati.
Come avete lavorato in coppia? Come si svolgeva il lavoro registico? Vi dividevate le mansioni in Katika bluu?
Stéphane Xhroüet: Per me era la prima volta lavorare a due su un film. Ed è stato un grande piacere condividere questo progetto e questa avventura con Stéphane.
Lui ha l’abitudine di lavorare molto velocemente, e questo è stato utilissimo perché, avendo pochissimo tempo, dovevamo girare rapidamente. Quindi in due era più facile girare. A me interessava particolarmente dare un tocco documentaristico alla narrazione cinematografica.
Stéphane Vuillet: Stéphane era la memoria, perché lui è da un anno che osserva e vive con questi ragazzi, mentre io ero il braccio armato. Giravo tutti i giorni attraverso lo sguardo di Stéphane, perché lui vedeva quelle vicende in maniera diversa, conoscendo già quei fatti. Quindi queste due esperienze diverse si sono ben fuse assieme.
