Dal 6 settembre torna in sala l'universo di The Conjuring con il sequel dello spin-off The Nun, grandissimo successo al box office nel 2018. Nonostante l'apparente sconfitta del demone suor-vestito Valak nel precedente capitolo, in questa nuova avventura Suor Irene dovrà tornare in azione per impedire all'entità di portare a termine la sua personale apocalisse.
Arriva in sala The Nun IIil seguito del fortunato The Nun (2018), ed è prodotto ancora una volta dalla celebre horror factory Atomic Monster di James Wan, già creatrice di tutta la saga di The Conjuring ed Insidious. Il film ha un budget stimato di circa 30 milioni dollari e proverà a eguagliare l’incasso record del primo capitolo di 365,5 milioni di dollari.
La trama di The Nun II
1956. Cinque anni dopo i terribili fatti accaduti nell’abbazia romena di San Carta, il demone-suora Valak (Bonnie Aarons) torna a seminare morte e terrore in Europa servendosi del corpo di Maurice Theriault (Jonas Bloquet), mite tuttofare posseduto nel primo film. La sua scia di sangue sembra suggerire un disegno preciso, e sulle sue tracce si metteranno l’indomita Suor Irene (Taissa Farmiga) e la fidata Suor Debra (la new entry Storm Reid). Tutte le strade porteranno al convento-collegio francese in cui si è trasferito Maurice (assieme alla parassitaria e malevola entità suoriforme), luogo che sembra avere estrema importanza per il mostro…
Una durata non giustificata.
A cinque anni di distanza dal primo capitolo, ritroviamo la mostruosa suora, guadagnatasi sul campo (appariva nel secondo capitolo del franchise The Conjuring) una saga dedicata come era accaduto per la malefica bambola Annabelle. Il primo film, per chi scrive, era piuttosto debole e si reggeva quasi completamente su un convincente setting molto tattile (l’abbazia oscura e decrepita) e un mostro carismatico, mostrando però i fianchi a un pigro congegno orrorifico basato sui soliti jumpscare. Un’operazione ben confezionata, quindi, ma priva di particolare interesse e spessore se non quello di dimostrare la facilità del produttore James Wan di far fiorire nuovi franchise con estrema cura editoriale. Il cambio alla regia, che passa da Corin Hardy (The Hallows) a Micheal Chaves (LaLlorona, The Conjuring – Per ordine del diavolo), sembrava preludere a un possibile cambio di passo, ma non è andata proprio così. Il raggio d’azione si espande, con il mostro che si aggira per mezza Europa (in particolare in Francia), seguendo un piano che potrebbe rovesciare le fondamenta della Chiesa. Questo incremento della posta in gioco non è, però, supportato da un congruo sforzo di scrittura. In moltissime occasioni, infatti, si percepisce come il film sia una composizione generica di scene spaventose tirate per le lunghe in modo quasi irritante. Chiaramente non si pretende chissà che raffinatezza di scrittura in queste opere di respiro popolare, ma sicuramente non è nemmeno utile trascinarsi fino ai 110 minuti senza giustificazione né il giusto ritmo.
Taissa Farmiga in una scena del film.
La fisiologica stanchezza dopo dieci anni di franchise
Sul piano del mero intrattenimento il film funziona con il contagocce ed è palpabile la stanchezza nel concepire e costruire la paura, strizzando per tutto il tempo la tonaca di Valak per distillare ogni rimanente goccia di terrore. In questo film, infatti, si pretenderanno gli straordinari dal demone, che comparirà in tutte le possibili versioni e salse, persino sotto forma di mosaico giornalistico (come si vede nel trailer). Anche tra il cast si percepisce molta fatica nello spaventarsi, con personaggi che sembrano confrontarsi con l’orrore più indicibile senza particolare effetto (vedi la piccola Sophie, Katelyn Rose Downey). Solo Taissa Farmiga riesce a calarsi bene nel ruolo, ripresentando la fede incrollabile della minuta ma determinata Suor Irene. Inoltre, graficamente è sempre funzionante il confronto fisico tra il suo corpo esile ma tenace e l’imponenza solo apparente di Valak, il “Marchese dei serpenti”. Come nel primo film, infatti, si ripresenta lo scontro anche fisico tra forze del bene e del male, dove il secondo mostra una forza ipertrofica solo percepita a differenza della fierezza concreta del primo. L’ostinazione della vera credente contro un nemico ingannevole e multiforme. Il film, quindi, si regge su una confezione efficace, ancora un marketing brillante e un villain iconicissimo, che difficilmente sarà ignorato dal suo pubblico, ma che, d’altra parte, non fa nulla per nascondere una fisiologica stanchezza per una saga cinematografica iniziata esattamente dieci anni fa con The Conjuring. Bisogna prendere atto, comunque, che almeno questa volta si è cercato un pur minimo investimento narrativo e non si ha la sensazione di vedere lo showcase di una propria intellettuale mostruosa da presentare al pubblico.
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