fbpx
Connect with us

Ortigia Film Festival

Francesco Tavella e Matteo Vallicelli raccontano Cocoricò Tapes

Un viaggio negli anni Novanta con un film senza l'effetto nostalgia.

Pubblicato

il

Francesco Tavella

La 59esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema ha proiettato, in anteprima mondiale, il film Cocoricò Tapes, diretto da Francesco Tavella, musicato da Matteo Vallicelli e prodotto da La Furia Film e Sunset Produzione, con il contributo di Emilia – Romagna Film Commission.

Il documentario Cocoricò Tapes – che ci ha affascinato non poco – é in concorso a Ortigia Film Festival e verrá presentato Martedi 18 Luglio

Francesco Tavella: un film senza l’effetto nostalgia

Cocoricò Tapes è un film che ci porta alla scoperta della celebre discoteca di Riccione, che apre i battenti nel 1989, anno della caduta del muro di Berlino, evento che di fatto ha dato il via agli anni Novanta, un decennio ricco di mutamenti, promesse e ricerca di libertà. Il film diretto da Francesco Tavella e scritto insieme a Matteo Lolletti, restituisce quest’atmosfera, ma, come ama dire il regista, senza ricercare l’effetto nostalgia, piuttosto approfondendo il fenomeno Cocoricò con estrema libertà, abbattendo ogni luogo comune e valorizzando l’aspetto della musica, che ritrova la sua veste rituale, offrendo innumerevoli pretesti di condivisioni.

In occasione del Pesaro Film Festival abbiamo avuto modo di incontrare il regista Francesco Tavella, accompagnato dal musicista Matteo Valicelli.

La Mostra Internazionale del Nuovo Cinema è un evento fondamentale per la scena cinematografica italiana e non solo. Un festival giunto al suo 59esimo anno, con una sua tradizione. Cosa hai provato a presentare qui, con un grande successo, il tuo Cocoricò Tapes?

Francesco Tavella: Sono e siamo molto emozionati nell’essere qui a Pesaro. L’accoglienza è stata straordinaria sia prima che dopo la proiezione del film. Ringrazio il direttore artistico Pedro Armocida e l’intera città di Pesaro.

Ma soprattutto mi ha sorpreso la reazione del pubblico durante la proiezione di Cocoricò Tapes. Speravo in una piazza colma di gente; non mi aspettavo, però, che il pubblico partecipasse così attivamente alla proiezione. Ho sentito l’emozione delle persone, molte ridevano, piangevano, provano appunto emozione, vedendo le immagini sullo schermo. Sono stati in molti a ringraziarmi per il lavoro fatto. Abbiamo restituito un’emozione e questo è il primo grande successo del film.

Francesco Tavella: «Cocoricò Tapes e il mio viaggio nel tempo»

Gli anni Novanta

Cocoricò Tapes è dedicato alla celebre discoteca di Riccione, ma ha il merito di descrivere, con particolare effetto, la complessità degli anni Novanta. Riesci ad affrontare la tematica con occhio da sociologo e antropologo, restituendo l’atmosfera dell’epoca. Da dove nasce questa tua prassi di approfondimento e soprattutto come nasce il film?

Francesco Tavella: Il tutto è iniziato con il ritrovamento casuale, ma non troppo, di immagini amatoriali girate da Serafino Vaccino, un ragazzo che all’epoca era l’unica persona a poter entrare al Cocoricò con una videocamera.

Poi, abbiamo capito, fin da subito, che la linea da seguire non era quella biografica, ma che il film andava contaminato. In noi persisteva la necessità di dare voce a quella generazione, tramite le parole dette in quegli anni e da qui parte tutto. Avevamo la volontà di ricostruire il pensiero dell’epoca e ciò è stato possibile solo perché avevamo a disposizione interviste originali delle serate svolte al Cocoricò dal 1993 in poi.

Ciò ha permesso di raggiungere un grande risultato: realizzare un film senza effetto nostalgia. Questo era il nostro obiettivo e lo abbiamo raggiunto.

Cocoricò tapes", il tempio della trasgressione in un docufilm

Un film per chi ama il cinema

Per realizzare il documentario è stata fatta la scelta di utilizzare solo il materiale analogico, per cui è stato scartato tanto altro materiale esistente in digitale. Una scelta che si rifà al documentario tradizionale, ma poi in Cocoricò Tapes si incontra uno stile nella regia e un montaggio molto moderno, direi contemporaneo. Un tentativo di unire tradizione e innovazione?

Francesco Tavella: Assolutamente sì. Questo vale sia per quanto riguarda il montaggio, che le musiche. Eravamo intenzionati a restituire qualcosa del passato, come gli anni Novanta, ma allo stesso tempo c’era l’urgenza di utilizzare un linguaggio attuale, incalzante, soprattutto per attirare i più giovani, un pubblico che non ha vissuto il Cocoricò, estraneo al mondo delle discoteche.

Abbiamo, dunque, scelto uno stile di regia adatto a un pubblico più vasto possibile. Ci interessava far incuriosire, non solo le persone legate, ognuna a suo modo, al Cocoricò, ma gli amanti del documentario, del cinema in generale. Questa nostra intenzione, ovviamente, ha influenzato la scelta delle musiche, la regia e di montaggio.

La scelta di usare solo materiale analogico, poi, ha avuto anche una motivazione più pratica. Solo così, infatti, è stato possibile darci un limite, altrimenti sarebbe stato molto più facile trovare tanto altro materiale, ma questo ci avrebbe restituito una narrazione molto più sfilacciata e confusa.

Tutto ciò ha influenzato anche l’inizio del film. Le immagini del muro di Berlino, che vediamo nei primi minuti, sono state utilizzate per evocare una nuova forma di libertà. Quelle immagini, poi,  si completano con il finale, dove, invece appare l’attacco al Word Trade Center. Quest’ultima immagine sta ad indicare che quella forma di libertà è crollata di nuovo e non è più possibile. Tutti elementi politici che fanno capire quali siano le nostre idee e i nostri ricordi.

Cocoricò Tapes', quel sogno anni '90 oggi impensabile – .

“Non esiste più la voglia di diversificarsi”

Hai appena ricordato l’inizio e la fine del tuo film. Questo mi suggerisce che hai seguito un andamento circolare nella tua narrazione?

Francesco Tavella: Non so se il film ha una narrazione circolare; diciamo che ho seguito una successione di fatti che mi sembrava giusta. Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, inizia un’epoca di promesse per una generazione che finalmente poteva aprirsi al mondo intero, si poteva finalmente viaggiare, sembrava che il futuro avesse un solo sinonimo: successo. Molto presto, purtroppo, si è compreso che non era così e con l’attentato alle Torri Gemelle è finito tutto.

Al di là del Cocoricò, nel decennio tra gli anni Ottanta e Novanta, avevamo un estro straordinario. Basti pensare al modo in cui la gente si vestiva. Dagli anni Duemila in poi, invece, è arrivato il concetto del maschio urbano, che ha omologato tutto, non esiste più la voglia di diversificarsi. Inoltre, senza dubbio è aumentato il timore del giudizio altrui, un paradosso figlio dell’epoca che viviamo.

 Cocoricò Tapes è costruito sull’immagini d’archivio. Come hai utilizzato queste preziose testimonianze per evocare quell’epoca?

 Francesco Tavella: Il tentativo di raggruppare gli anni Novanta in un film era un’impresa abbastanza complessa da affrontare. Qualsiasi archivio ti racconta delle cose e ha sempre avuto la funzione di portare, contemporaneamente, alla realtà di quel momento ed evocare i ricordi che si accompagno a quel momento, come persone, situazioni ed eventi.  L’archivio, dunque, è anche uno stimolo ad aprire il proprio archivio personale, fatto di memoria e con questo bagaglio memoriale si completa il film.

Una scatola Magica

A un certo punto del film, un ragazzo intervistato paragona il Cocoricò al teatro settecentesco; poi vengono raccontate varie situazioni vissute all’interno della discoteca, come mostre, performance e anche iniziative politiche. Dunque, cosa è stato davvero il Cocoricò?

Francesco Tavella: Il Cococricò, almeno quello di Loris Riccardi, storico Art Director, ha avuto la stessa funzione di una scatola magica. Da qui, ogni sei mesi, usciva un’ispirazione diversa, un modo di comportarsi diverso e un confrontarsi in maniera diversa. Il Cocoricò ha fatto cultura, portando artisti. Sì, è appropriato paragonarlo al teatro del Settecento, dove si faceva più casino in assoluto, però in maniera costruttiva.

Loris Riccardi spesso diceva che quello che è stato fatto era un contaminarsi a vicenda, per confrontarsi, per tirare fuori idee nuove, fatte per gli altri.

Il rito della musica

Arte, cultura, ma nel film emerge anche una forma antropologica che approfondisce l’aspetto musicale come rito e questo ci riporta a un’epoca ancestrale, dove l’uomo si riuniva con altri suoi simili per dare vita alle tribù. Queste si riunivano per portare a termine dei riti, attraverso la musica, ma anche attraverso sostanze stupefacenti, che quasi sempre vengono collegate al mondo delle discoteche. É stato difficile affrontare questo tema, tanto spinoso, quanto fondamentale?

Francesco Tavella: Abbiamo affrontato il discorso sulle droghe cercando di essere più sinceri possibili. Loris Riccardi, che per alcuni aspetti è il protagonista del film, ci racconta, onestamente, la sua esperienza e questo ci fa capire come si può evitare il giudizio. Ognuno vive la propria vita, a volte fa bene, altre fa male, ma non è dagli errori o dalle vittorie che vanno giudicate le persone.

Il discorso droga è strettamente legato al discorso uomo. È da sempre che l’essere umano cerca di acquistare la facoltà di osservare se stesso da fuori, cercando, appunto determinate sostanze, ma lo stesso effetto lo si ottiene con la musica. Le tribù, appunto, che si radunavano attorno a un tamburo davano vita a un rito collettivo e, più di ogni altra musica, quella tecno è riuscita a creare delle frequenze capaci di entrare dentro le persone. Da qui è nato il concetto del ritrovarsi e tutto il resto. È la musica ad avere il potere di sbattersi su di noi!

L’immateriale diventa materiale

A proposito della musica. Cocoricò Tapes ha una colonna sonora potente, che a volte completa l’immagine, altre, invece, sembra assumere una forma autonoma. Un ruolo, a ogni modo, fondamentale nell’economia del racconto, ma si ha la sensazione che  tutto sia avvenuto in maniera naturale. Sbaglio?

Matteo Vallicelli: Sì, l’operazione musicale è avvenuta in maniera naturale. Abbiamo provato diverse strade, tra cui quella della sincronia tra suono e narrazione, che procede per immagini, prendendo spunto non solo dalla musica, ma anche dai suoni dell’epoca, come la sigla dei telegiornali e delle serie tv.

Un’altra strada percorsa è stata quella di offrire una sensazione fisica e mentale e in questo caso abbiamo scelto una musica più psichedelica per ottenere una forma di immersione.

Tutta la traccia musicale ha comunque avuto un mixaggio, con le tecniche del dolby atmos, una procedura all’avanguardia che consente di ricreare una certa spazialità all’interno della sala, rendendo fisica anche la colonna sonora. Un’operazione, che in un certo senso ha consentito di rendere materiale ciò che in partenza era immateriale, una sorta di magia.

Francesco Tavella: L’aspetto musicale è stato molto stimolante, come il confronto che abbiamo avuto. Ci sono stati interi pomeriggi trascorsi ascoltando musica, facendo prove, spesso sbagliando. Il contributo di Matteo è stato comunque fondamentale per il risultato finale.

La trasgressione non appartiene al mio vocabolario

Dopo la proiezione di Cocoricò Tapes, molti lo hanno definito un esperimento di libertà e trasgressione. Giusto?

Francesco Tavella: Assolutamente sì, ma forse sull’utilizzo del termine trasgressione non mi trovo tanto d’accordo. Come dice un ragazzo nel film, non mi piace questa parola e non appartiene al mio vocabolario. La nostra è una formula di libertà e se si vede la trasgressione è perché si hanno in mente i confini nelle cose e la libertà si impoverisce.

Al Cocoricò c’era libertà. Le persone in quel luogo cambiavano, ma conservavano la loro componente genuina, caratteristica tipicamente giovanile.

È questa la chiave di tutto, come le testimonianze di Loris in cui emerge la sua onesta, il suo modo di essere. Ha trasformato le proprie criticità, come la malattia, in una forza da usare a suo vantaggio e così emerge il suo essere geniale.

Loris, un uomo comune

Un eroe, ma anche un uomo comune?

Francesco Tavella: Assolutamente vero. Soprattutto un uomo comune, perché non si è mai sentito un eroe, nonostante fosse considerato da molti come un mito. Loris non ha mai voluto apparire, è sempre stato dietro le quinte e questo è stato fondamentale per lui.

Matteo Vallicelli: In lui non c’era ego, come non c’era ego nelle persone che frequentavano il Cocoricò. Non c’era voglia di apparire, ma tanta voglia di stare bene e sentirsi se stessi, liberi e insieme.

Nella società di oggi come sarebbe il Cocoricò di Loris Riccardi?

Francesco Tavella: Oggi si ha la possibilità di divertirsi sempre al punto che non ci si diverte mai. Siamo più concentrati a mostrare agli altri l’idea di divertimento.

È raro, ormai, trovare persone che guardano con i propri occhi e un’esperienza come quella del Cocoricò degli anni Novanta sarebbe difficile realizzarla oggi.

Matteo Vallicelli: Come musicista mi capita spesso di viaggiare e non mi è mai capitato di trovare qualcosa di simile al Cocoricò. Oggi assistiamo a delle situazioni molto più istituzionalizzate, dove il dj, osannato dalla folla, impartisce degli ordini e la gente risponde senza essere consapevole. Certo nella fruizione di questi eventi c’è ancora la componente ritualistica della musica, ma è un rito ormai costruito, non più genuino, libero e naturale. Lavorando al film ho percepito la differenza tra ieri e oggi, dove si va in discoteca solo per il gusto di mostrarlo, rinunciando a vivere tale esperienza.

Alle domande proposte nel film i ragazzi rispondono in maniera arguta. Oggi se andassimo a fare le stesse domande penso che sarei terrorizzato dalle risposte. C’è stato un grande appiattimento culturale, a mio parere, dovuto all’evento dei social, attraverso cui viviamo la realtà e stiamo perdendo il valore dello stare insieme. Il nostro film è un contributo per stimolare almeno un’idea di cambiamento, soprattutto nei giovani, per fare cultura e uscire dal nostro iper – individualismo.

Un film educativo

Cocoricò Tapes può essere considerato un film per tutti?

Francesco Tavella: Sì. I genitori dovrebbero vederlo insieme ai figli e forse le scuole dovrebbero farlo vedere. C’è dentro tutto un mondo, fatto di cose brutte e di cose vincenti e di errori. Però, tutto questo può essere una buona linea da seguire per suggerire come affrontare la vita. Potrebbe essere addirittura un film educativo, se trattato e commentato dalle persone giuste.

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers