L’attore pratese Luca Calvani esordisce alla regia con la commedia Il cacio con le pere. Per farlo torna nella sua Prato che diventa il set di una storia tra fratelli che devono convivere per usufruire di una ricca eredità. Riusciranno a trovare un accordo? Per entrare meglio nell’atmosfera de Il cacio con le pere abbiamo fatto qualche domanda al regista e attore protagonista Luca Calvani.
Il film è stato al cinema grazie a IOK – 1 Production e Gate 99 Films.
Luca Calvani e la genesi de Il cacio con le pere
Com’è nata l’idea di questo film? Ho visto che sei anche uno degli sceneggiatori insieme all’altro protagonista, Francesco Ciampi.
Il film è nato da un incontro estivo proprio con Francesco Ciampi che conosco dall’adolescenza. La nostra idea era quella di portare il cinema a Prato. Volevamo far incontrare questi due mondi: la storia della nostra gente e la comicità tipica delle nostre zone. A me, per esempio, che ho spesso lavorato all’estero dicevano sempre “ma sei un comico”. Credo faccia parte dell’essere pratese: abbiamo una cifra comica specifica. E con Ciampi questa cosa viene fuori nel film.

C’era la voglia di raccontare e portare questa nostra comicità e le nostre storie, ma anche importare il cinema a Prato e costruire un set in città. Per me era importante portarci fisicamente il cinema. Restituiamo il film alla città: è un momento anche molto personale.
Lo è, in parte, anche per tutti i pratesi.
Sì, perché poi, oltre al legame con la città, il film è un inno alla vita, alla rinascita, a quel senso di ritrovare radici. Per esempio, come detto, io che ho lavorato quasi sempre all’estero, lontano non solo da Prato, ma anche dall’Italia ho messo in pratica questo fatto tornando alla base. Un po’ come fa Fred (il protagonista, ndr).
L’esperienza all’estero
Hai anticipato la mia prossima domanda perché volevo chiederti proprio com’è stato tornare a casa considerando che hai lavorato molto all’estero nel corso della tua carriera.
Ho lavorato con vari registi che hanno sperimentato. Per esempio posso citare Guy Ritchie che era entusiasta di provare cose nuove con gli attori: proprio nel momento in cui dovevamo girare voleva provare a sperimentare e questo credo sia un input bello e importante che ho voluto provare a fare anche io.
Per me è bellissimo fare un po’ il coach per i miei attori, come sui ring con l’allenatore che, con l’asciugamano addosso, massaggia e sprona il proprio atleta. Ho studiato in America e ho scoperto che tutto questo è un bellissimo gioco. L’attore che porti in scena si diverte perché dà vita a quella parte e si immagina quel ruolo. Quindi bisogna risaltare quel processo creativo. Poi è tutto una scoperta. Tante volte ci siamo meravigliati.

Per esempio immaginare una scena con Geppi Cucciari (una delle attrici del film, ndr) significa essere sempre pronti a un minimo di improvvisazione perché, anche se non improvvisa nelle battute, magari ci sono delle pause che fa che sono pazzesche e creano dei vuoti che non ti aspetti.
Ma anche lavorare con un’attrice come Anna Safroncik, precisa e preparata, che si è dovuta confrontare con una banda di matti è stato divertente ed è servito al film.
Si sono incontrate la bellezza elegante, ma anche un po’ algida e l’estemporaneità di Geppi Cucciari.
Com’è stato essere sia attore che regista? E come stato dirigersi?
Bellissimo, ma anche frustrante. Quando vuoi fare il regista vuoi fare solo quello. Non mi aspettavo in maniera così prepotente questa voglia di stare lì e costruire la storia. Mi piace l’idea di poter creare qualcosa avendo a disposizione tutte le manopole in mano. Quindi è stato un po’ frustrante doversi alzare ogni tanto, andare al trucco ed entrare in scena.
Le scene che mi sono rimaste più impresse sicuramente sono quelle dove ho potuto fare io la regia.
La Prato di Luca Calvani ne Il cacio con le pere
Tornando a parlare della location e di Prato (ma non solo), come hai selezionato i luoghi protagonisti?
In parte si è trattato di una questione di comodità. I luoghi del centro storico sono stati in qualche modo vincolati perché la maggior parte della storia è ambientata ad Artimino, dove abbiamo ambientato il paese nel quale vivono i due fratelli. La piazza del centro storico è stata una seconda scelta perché ci siamo accorti, a livello produttivo, che non ci potevamo spostare troppo: Artimino non ci dava modo di spostarci come volevamo. Piazza del comune è stata una scommessa perché se da una parte fa perdere i contorni del piccolo paesino, dall’altra ci ha restituito l’affetto del pubblico accorso numerosissimo oltre le transenne anche solo per guardare.

Però non c’è solo Prato e soprattutto non c’è solo la Prato dei luoghi che si vedono. Viene citata nei dialoghi, viene mostrata con delle belle riprese dall’alto ed è protagonista nei modi di parlare e nel titolo stesso. Può essere considerata la terza sorella Ruspanti.
Volevamo raccontare Prato in tutto e per tutto. Anche tra noi e da noi. Conosco Ciampi e conosco la sua comicità a memoria, una comicità che per me è emblematica per Prato. E, nonostante questo, penso di aver tirato fuori una drammaticità incredibile da lui. Volevo che tutta la sua vita emotiva straripasse fuori a un certo punto. Spero che questo lo apprezzino sia i pratesi che i toscani in generale.
La rottura della quarta parete
Adesso, invece, una domanda più tecnica. Mi ha colpito molto, a un certo punto (senza fare spoiler), la decisione di rompere la cosiddetta quarta parete. Come hai avuto questa idea?
Quella era forse una mia insicurezza. Forse soffro un po’ del complesso del fratello bruttino, cioè quello costretto a lavorare fuori, chiamato fuori dall’Italia perché in Italia non venivo chiamato per il cinema. Credo, se si parla di attori italiani, di non rientrare completamente nella categoria: sono eclettico, non faccio solo l’attore.
Con questo film volevo poter dare il via libera a una mano artistica per quanto riguarda le immagini e le musiche (per esempio il testo della canzone è mio).
C’è spesso l’idea che quando fai cinema, soprattutto da regista, devi nobilitarlo. Io, invece, ho pensato di prendermi un po’ in giro. E questo mi ha dato l’opportunità di dare una sterzata al film: dal punto di vista narrativo in realtà ci stava. La depressione e la rabbia possono portare a quel tipo di epilogo e io mi sento uno di quelli a cui la vita ha dato molto, ma ha anche tolto molto: ho avuto grandi dolori da giovane. Questo probabilmente è stato un mio modo di esorcizzarlo.

Prima di quello stacco pensavo di chiederti qualcosa su tematiche che vanno oltre la commedia, poi sono rimasta spiazzata.
Tutti quando vedono quella scena rimangono basiti. Anche perché è una cosa che inizialmente non era prevista, l’ho aggiunta io dopo. Perché, guardando il film, ho pensato di mettere un mio commento.
Luca o Fred?
Quanto c’è di Fred in Luca Calvani e quanto di Luca Calvani in Fred?
Quando Geppi ha letto il film mi ha detto “è geniale come ti sei preso in giro bene”. E io sono rimasto interdetto (ride, ndr).
Credo comunque di essere un po’ in tutti i personaggi.
Fred è sicuramente quella parte piaciona più ovvia, il personaggio che accendo quando qualcuno mi riconosce al supermercato: è proprio una mia modalità. Fred è un sognatore, un emotivo; penso di avere tanti elementi in comune con Fred.
Ma quando scrivi un film ti accorgi che tutti i personaggi parlano di te. Tutti parlano come te o sono un’espressione tua perché l’hai scritto te.
Progetti futuri?
Mi sono rimesso a scrivere da poco. Avevo un soggetto che avevo scritto due anni fa, ma poi con la pandemia mi ero scoraggiato. Adesso l’ho ripreso.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli