Open the door di Chang Hang-jun, in concorso nella sezione Korean cinema al Busan International Film Festival 2022, è una produzione CONTENTSLAB VIVO e racconta una storia perfettamente a metà tra la cultura coreana e quella americana.
Nei cinque capitoli della storia, almeno tre sono le porte dietro le quali si nascondono terribili rivelazioni.
Un omaggio al cinema classico hollywoodiano che beneficia dell’energia della scuola di recitazione coreana.
Open the door, la trama
Malgrado i numerosi tentativi, Moon-suk (Lee Soon-won) non riesce a prevenire lo smembramento della famiglia, incapace di uscire da una situazione di indigenza economica nell’America del sogno, infranto e calpestato.
Il film inizia come un kammerspiel tra due cognati, Moon suk e Chi Hoon (Seo Young ju). Immigrati negli stati Uniti, in una serata di bevute spinte, ripercorrono la loro vita. La stanza è finemente illuminata e altrettanto precise si rivelano le espressioni nei primi piani degli attori. Ovviamente, più lo scambio avanza più ci si rende conto che non si tratta solo di due ragazzi con un passato di alti e bassi, successi e fallimenti, ma c’è un omicidio in mezzo.
E sotto gli effetti dell’alcool, ecco che si scopre la verità sul delitto. O almeno così ci è lasciato intendere fino alla fine.

Un esercizio di stile, un incontro tra culture
Open the door nel complesso è un esercizio di stile quasi tradizionale, un omaggio alla cinematografia classica del genere thriller psicologico. Quindi c’è tutto quell’Hitchcock da cui abbiamo imparato a tremare di paura e a tendere i muscoli nella stressante attesa. Piuttosto che altro cinema manierista della Hollywood classica come Preminger, tra i maestri. Meno piacevole la colonna sonora che vive vagamente di cliché.
Chang Hang-jun non nasconde quindi di aver attinto a piene mani dalla tradizione hollywoodiana e visivamente il film si inscrive più in quel filone, che nel visuale coreano. La storia sembra tra l’altro offrire caratteristiche autobiografiche, quanto meno nelle relazioni tra le persone che, lontane dal proprio paese, fanno a modo loro comunità.
Capitolo dopo capitolo si risale fino a cinque, sei anni prima. Per questi immigrati asiatici, la vita sembra arrancare dove altri troverebbero supporto, e si percepisce un certo isolamento. E senza troppi mezzi termini, la chiara accusa alla società americana che in questo tentativo di integrazione e perdono, se mai c’è stato, ha fallito. In realtà c’è un lieto fine, anche se lo viviamo al contrario, indietro nel tempo. Ma è così che lasciamo i personaggi, quieti nei loro migliori ricordi.
Lee Soon won è il pilastro della storia: all’interno dei cinque capitoli del film cambia cinque personalità, in una trasformazione dettata dalla disperazione.
How did I end up like this?
Una nota di rilievo alla fotografia di Open the door, e agli ambienti, scelti con cura e esaltati a dovere.
Un piccolo film che passa veloce ma ben diretto e costruito, che concilia con efficacia idee e metodi della due culture.
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