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Road to ruins: “La voce Stratos” di Luciano D’Onofrio e Monica Affatato

Demetrio Stratos: impossibile parlare di rock senza ricordare la sua arte. Per ricordare alle nuove generazioni di chi si sta parlando, il festival “Road to ruins- suoni e visioni del rock”, propone il documentario intitolato “La voce Stratos” dedicato all’uomo e all’artista

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La maggior parte dei veri amanti della musica a 360°, non possono non conoscere il brivido che invade ogni cellula del corpo al suono magico, elettrizzante, del suo nome : Demetrio Stratos. Impossibile parlare di rock senza ricordare la sua arte e il suo apporto fondamentale alla storia della musica e non solo; rock inteso non come genere musicale fine a se stesso, ma come curiosità, sperimentazione, innovazione, ribellione ad ogni schema prestabilito.

Per ricordare alle nuove generazioni di chi si sta parlando, il festival “Road to ruins- suoni e visioni del rock”, propone il documentario intitolato La voce Stratos dedicato all’uomo e all’artista. I suoi compagni di viaggio, a partire dalla moglie, gli amici, i discografici, i musicisti e gli altri artisti internazionali che hanno seguito i suoi insegnamenti e ammirato il suo carisma, raccontano le loro esperienze presenti e passate e come è cambiato il loro modo di vedere l’arte dal momento in cui le loro vite si sono incrociate con la sua. Sono passati più di 30 anni dalla morte di Demetrio, ma tutti hanno negli occhi lo stesso vivido ricordo e l’entusiasmo di aver potuto collaborare e tirar fuori il meglio di sé stando a contatto con la sua personalità.

Le informazioni contenute in questo importante documento servono a svelare l’immagine enigmatica e il misterioso talento di quest’uomo che è senz’altro da collocare tra le icone del nostro tempo.

Nato in Egitto da genitori greci, trasferitosi poi in Turchia per ritrovarsi a studiare in un college inglese, Demetrio fu avvezzo fin dalla primissima gioventù ad assorbire ogni diversa cultura, clima, luogo, lingua… Non può essere stata una semplice  coincidenza quella per cui, da sempre, il suo cuore, la mente e il  corpo siano stati aperti a nuovi mondi e modi espressivi, con una naturale inclinazione verso le varie contaminazioni musicali, analizzate, elaborate e trasformate dall’originalità del suo estro. Fu proprio in Italia che, dopo una prima esperienza alle tastiere con un complesso musicale  studentesco e con la sua prima partecipazione come cantante ne “I Ribelli”, si mise in gioco in tutto e per tutto con gli Area. A differenza degli altri gruppi rock tradizionali come la PFM, gli Area animavano la scena musicale di quegli anni con uno spirito di creativa trasgressione alla luce delle più diverse influenze sonore. Perfettamente in sintonia tra loro, sembravano aver trovato un obiettivo comune: perlustrare territori inesplorati fondendo il jazz, l’improvvisazione compositiva, l’elettronica contemporanea, il rock e il pop. Un lavoro in continua evoluzione che stava rivoluzionando anche il modo di ascoltare. Ogni strumento diventava veicolo di un urgente bisogno di cambiamento. In tale contesto, la voce di Demetrio Stratos assunse anch’essa le sembianze di uno strumento: egli, cantando, divenne molto più di un interprete, di un portatore di parola, ma un vero e proprio “poeta sonoro”.

Lasciati gli Area per dedicarsi alle sue ricerche, Stratos approfondì la sua tecnica canora spingendosi oltre e non tralasciando indagini di natura letteraria (insuperabili i suoi lavori  dedicati ad Antonin Artaud) e  persino anatomica (sembra che ogni sua singola corda vocale vibrasse con  due suoni diversi contemporaneamente). Sulle sue tecniche legate all’uso della voce e della sua estrema espansione, sperimentate su se stesso, come le diplofonie, le triplofonie, le flautofonie (contenute nell’LP “Cantare la voce”),  ancora oggi foniatri e scienziati si interrogano senza trovare risposta, trovandosi di fronte a qualcosa di miracoloso.

All’interno di questo ricco documentario, disponibile in tutti i negozi sin dal 2009, possiamo ammirare numerosi filmati di concerti dell’epoca, tra cui , assai rare, la mitica esibizione degli Area al Parco Lambro del 1974/75, con il geniale esperimento interattivo del cavo elettrico ideato dal chitarrista della band, Paolo Tofani, e la partecipazione di Demetrio Stratos a “Il treno di John Cage”. Possiamo sentire echi di album come “Caution Radiation Area”, che non furono compresi nel momento storico in cui furono concepiti, ma che offrirono, nonostante ciò, ispirazione a gruppi commercialmente famosi come, ad esempio, i tedeschi Kraftwerk, gli Einstürzende Neubauten, e che influenzarono anche vari progetti istrionici del newyorchese John Zorn, che ancora oggi identifichiamo in categorie di musica  “estrema”. Il contributo di Demetrio Stratos è stato generoso e imprescindibile. Un insegnamento prezioso che imprime il suo valore di generazione in generazione. Non si finirà mai di ringraziarlo abbastanza.

Giovanna Ferrigno

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