First Cow
Per mesi dopo la sua anteprima al Telluride Film Festival si è parlato di Kelly Reichardt e della sua miracolosa mucca. E del fatto che fosse la fonte di una risorsa come il latte che non era certo per tutti nei territori dell’Oregon della metà del XIX secolo. Lo sa bene il personaggio del cuoco Otis “Cookie” Figowitz, ma soprattutto di King-Lu che convince quest’ultimo a mungere in segreto l’unica mucca della zona posseduta da un ferreo ufficiale. First Cow è di una dolcezza inaspettata, di una tenerezza carezzevole. È una storia sui biscotti, che riflette sulle grandi aspettative americane. Un film che finalmente, grazie alla piattaforma, arriva in Italia dal 2019, suo anno di uscita, per un’amicizia che come quella tra i due protagonisti va instaurandosi anche tra opera e spettatore.

Sinossi: Intorno al 1820, un cuoco solitario e taciturno in viaggio verso l’Oregon incontra un immigrato cinese anch’egli in cerca di fortuna. Presto i due si uniranno in un piano pericoloso per rubare il latte della preziosa mucca Jersey del ricco proprietario terriero – la prima e l’unica del territorio.
Shiva Baby
Quale opera più pregnante del 2021 riesce a raccontare dei giovani e del modo in cui vivono la società di oggi se non Shiva Baby? Girato con pochissimo, ambientato tutto in un unico luogo, in un’unica giornata, il lavoro già magistrale della regista e sceneggiatrice canadese Emma Seligman è il ritratto di una giovane ebrea che deve rapportarsi allo stesso tempo con i suoi genitori, il suo sugar daddy e la sua ex. Tutto durante la veglia di un funerale. Cinico e veritiero, spiritoso nell’utilizzo del disprezzo per una società dei costumi passata che poco appartiene ancora alle generazioni giovanili d’oggi, Shiva Baby diverte fino alle lacrime proprio per quella sua ingestibilità e nevrosi in cui tanti venti-trentenni possono ritrovarsi. Uno specchio del contemporaneo per una regista che non vediamo l’ora di continuare a vedere nel domani.

Sinossi: L’universitaria Danielle affronta una serie di incontri imbarazzanti durante una shiva, una riunione funebre della tradizione ebraica. Tra parenti dispotici, è irritata dalla ricomparsa di un’ex fidanzata e del suo sugar daddy segreto, che arriva inaspettatamente con la moglie e il figlio.
Undine – Un amore per sempre
L’area è quella della mitologia, l’ambientazione quella moderna. È Ondina la creatura alla quale fa riferimento Christian Petzold legandoci gli attori Paula Beer e Franz Rogowski. Gli stessi del suo precedente La donna dello scrittore del 2018. Ma la scelta di coinvolgere nuovamente i due interpreti in questa interazione intima e metafisica è chiara nel momento stesso in cui i loro personaggi si intrecciano in questa ricostruzione del mito che mescola abissi, visioni e amori. Undine – Un amore per sempre è lasciarsi ammaliare dalla voce di una sirena e, da questa, lasciarsi condurre fin giù, nelle profondità delle acque.

Sinossi: Undine è una storica e guida turistica dello Märkisches Museum di Berlino specializzata in sviluppo urbano, mentre Christoph è un sommozzatore. Legati dall’amore per l’acqua, i due intessono un forte legame che però non riesce a cancellare il pesante passato sentimentale della donna.
Sussurri e grida
MUBI, oltre a tutto questo, è anche una piattaforma di recuperi classici. Come, per esempio, i capolavori di Ingmar Bergman. E, a proposito dell’autore svedese, tra i 5 film da vedere su MUBI non è da lasciarsi sfuggire Sussurri e grida. Con il rosso che entrerà negli occhi, nel cuore, nella mente. Rosso che soffoca, come le relazioni tossiche all’interno del film. Rosso che acceca, come il dolore che i protagonisti non possono che provare. Un film esistenzialista e, soprattutto, essenziale per chiunque vuole approcciarsi ai più grandi cineasti di ogni tempo. Una pellicola con cui entrare in contatto col passato per scoprire quanto la sofferenza è comune in ogni luogo. Ma anche in ogni casa, in ogni famiglia, in ogni persona.

Sinossi: Vincitore del premio Oscar per la splendida fotografia di Sven Nykvist, questa vicenda esistenziale è uno degli esperimenti formali più notevoli di Bergman. Due donne vegliano sulla sorella, malata di cancro, ma l’unica persona che le dà conforto è la badante Anna.
Songs my brothers taught me
La meraviglia di Chloé Zhao è di essere un’autrice incredibilmente onesta con sé stessa e con il proprio cinema nonostante la risonanza che quest’ultimo riesce a ricevere. La prova ne è Nomadland, che le ha permesso di vincere l’Oscar come miglior film e di farla passare alla storia come la seconda donna a ricevere la statuetta per la miglior regia. Doveroso, quindi, fare un confronto con il suo lungometraggio d’esordio, il naturalistico e primitivo Songs My Brothers Taught Me da cui si possono trarre tutti i punti fissi della sua poesia. Vicino tanto al vincitore dell’Oscar, quanto al secondo film della Zhao The Rider, Songs My Brothers Taught Me sono le macchine a mano che incastrano nelle proprie inquadrature i primi piani dei personaggi. È la scioltezza dei protagonisti, delle interazioni che hanno tra loro e che si riflettono di conseguenza nell’intera pellicola. È un cinema che sembra povero, ma è in realtà ricchissimo di un pensiero cinematografico.

Sinossi: Johnny ha appena completato gli studi e si prepara a lasciare la riserva indiana di Pine Ridge per Los Angeles. La morte improvvisa di suo padre però frena i suoi progetti e nasce in lui il rimorso lasciare sola Jashaun, la sorella di 13 anni.