Premiato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, John Michael McDonagh firma il suo primo lungometraggio in cui mescola con disinvoltura i generi della commedia corrosiva e del thriller d’azione
Il sergente Garry Boyle (Brendan Gleeson) fa l’agente di polizia in una piccola cittadina della costa Ovest dell’Irlanda dove non sembra accadere mai nulla, ha una personalità eccentrica e un’aria malinconica e annoiata, una madre in punto di morte e una passione insana per le prostitute.
Di punto in bianco si trova a dover collaborare con un agente dell’Fbi Wendell Everett (Don Cheadle) per venire a capo di uno strano caso di droga proveniente dalla Colombia…
Irlandese di nascita inglese d’adozione, il regista John Michael McDonagh firma con Un poliziotto da happy hour(pessima traduzione del più efficace The Guard) il suo primo lungometraggio in cui mescola con disinvoltura i generi della commedia corrosiva e del thriller d’azione. Il film risulta interamente incentrato sulla figura del poliziotto rozzo e sbruffone di cui il regista mette in scena le stravaganze e un sonoro cattivo gusto che entrano in collisione col più evoluto e “cittadino” agente dell’Fbi Wendell Everett.
Malgrado sulle prime sembri più interessato a sbeffeggiare Everett, più colto, politicamente corretto e salutista, che a collaborare per risolvere il caso, tuttavia Boyle non può fare a meno di farsi coinvolgere dagli eventi: il suo nuovo collega scompare misteriosamente, la sua prostituta preferita cerca di ricattarlo e, alla fine, anche i trafficanti di droga provano a corromperlo. Ma il suo strampalato codice d’onore gli vieta ogni tipo di collusione, anzi tenterà persino di sgominare la banda di malviventi rischiando la pelle.
Benché premiato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, l’esordio alla regia di John McDonagh – fratello del più celebre Martin McDonagh, regista di In Bruges (2008), altra commedia noir irlandese con cui ha ottenuto una nomination all’Oscar – è quanto mai incerto. La trama funziona solo a pezzi, la prima parte forse risulta più riuscita per il susseguirsi di una serie di gag divertenti in cui si prendono in giro gli stereotipi e i pregiudizi tra i reciproci paesi – non solo degli irlandesi sugli americani, ma anche degli inglesi sugli irlandesi e viceversa. Tuttavia a lungo andare la pellicola perde il suo mordente. Il finale non scontato e la caratterizzazione molto ben congegnata del poliziotto irlandese – mentre la figura dell’americano, fungendo da spalla, risulta poco scontornata – emergono, a conti fatti, come i due soli aspetti positivi di un film tutto sommato piatto e privo d’inventiva.
Per l’ambientazione McDonagh non sceglie la capitale, Dublino, né scorci da cartolina, piuttosto i ben più suggestivi paesaggi della selvaggia Connemara, dove molti dei suoi abitanti parlano ancora gaelico.
L’ambientazione è dunque perfetta, come la scelta del cast in cui primeggia Brendan Gleeson, attore irlandese, bravissimo caratterista, specie nelle produzioni hollywoodiane, il quale non si lascia sfuggire l’occasione di recitare un ruolo da protagonista, rivelandosi all’altezza del compito.
Infine degna di nota è la colonna sonora in stile Morricone, dunque non la classica musica irlandese, firmata dai Galexico, una band indie di Tucson.
Annarita Curcio
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