Se è già difficile esprimere la propria identità sessuale in una famiglia ‘canonica’, si può solo immaginare quanto arduo sia vivere e disvelare la propria transessualità avendo come padre un boss del clan camorrista dei Falanga e metterlo di fronte al fatto che si è e si vuole essere una figlia, e non un figlio. Una sorta di mission impossible. Il documentario Red Shoes. Il Figlio del boss, della regista Isabella Weiss, racconta la vera storia di Daniela Lourdes Falanga, oggi donna transessuale e presidente di Antinoo Arcigay Napoli, nata maschio a Torre Annunziata, cui viene dato il nome di Raffaele, primogenito di un boss oggi condannato all’ergastolo. Il soggetto e la sceneggiatura del docufilm sono di Raffaela Anastasio, la fotografia di Gianni Mammolotti (candidato al David di Donatello per “Malarazza”), le musiche di Marco Zurzolo e il montaggio di Giacomo Desideri.
Red Shoes. Il Figlio del boss
Un cammino lungo e travagliato, quello per trovare sé stessa, riconoscere e affermare la propria identità, fra l’abbandono del padre e i maltrattamenti della madre che non riesce ad accettare questo figlio che, fin da bambino, si sente bambina, ed associa sé stessa a soggetti femminili, immaginandosi nel mondo come donna, ed è perciò considerato ‘fuori posto’ e costretto a vivere una vita e un ruolo che non le appartengono.
Ma la storia di Daniela Lourdes Falanga – così ha cambiato il suo nome la protagonista transessuale nell’arco del suo complesso percorso di vita – è la storia di una liberazione, lenta ma inesorabile, fatta di umiliazioni ma anche di conquiste, lotte, gentilezza e determinazione, suggellata dall’acquisto di un simbolico paio di scarpe rosse da donna: l’eroina, crescendo in consapevolezza, attraverso le trasformazioni del corpo e la sicurezza delle proprie scelte, finalmente potrà prendere la sua strada, come nelle favole, camminare a testa alta ed aiutare tante altre persone in situazioni analoghe alla sua.
Bambini incompresi e non amati
Fra le tante difficoltà, quelle familiari e quelle scolastiche sono sicuramente le più brucianti, finché Daniela Lourdes, mortificata dalla famiglia e bullizzata da compagne e compagni di scuola, non comincerà il suo percorso emancipativo grazie a persone di più ampie vedute (fra le altre un professore sensibile ai temi LGBTQ+), capaci di condividere i suoi problemi e di allargare lo sguardo a una società e a un mondo non binario, che accoglie e promuove ogni differenza.
“Nasco come bambino, col fiocco azzurro – racconta la protagonista alla regista, Isabella Weiss, che la riprende nella sua bellezza completa di oggi, quella di una donna realizzata con vicende dolorose, ma che ha saputo andare oltre ed essere faro per altre/i giovani – nell’incertezza di mio padre che già frequentava un’altra donna, e di mia madre col suo attaccamento morboso. Poi c’era la mia nonna paterna, secondo la quale dovevo dar prova di aver ereditato la maschilità, la prepotenza, la violenza e la cultura della mafiosità di mio padre e del suo contesto di appartenenza”.
“Mia madre, repressa e soggiogata, mi picchiava e mi costringeva a vedere mio padre. Era un padre assente, e per lui ero come una figura inanimata, un errore venuto al mondo, e mi hanno fatto sentire inutile alla vita, come si può sentire un bambino quando non viene amato. La rappresentazione canonica del mondo non prevedeva che un bambino maschio indossasse il rosa, facesse danza, o giocasse con le bambole”.
Negli anni anche la madre, con l’aiuto di professionisti psicologi, si è pentita delle umiliazioni inflitte alla figlia e si è voluta documentare su un mondo che non conosceva , per aprire la mente e capire Daniela nel suo desiderio di essere una donna.
Dal Festival di Venezia a “Divergenti”
Dopo la presentazione in anteprima del promo alla 77ª Mostra del Cinema di Venezia, e dopo essere stato selezionato in numerosi e importanti festival, Red Shoes. Il Figlio del boss è stato presentato in questi giorni all’XI edizione di “Divergenti” Festival Internazionale di Cinema Trans.
La regista, Isabella Weiss, con grande delicatezza e sensibilità, ha saputo ottenere la fiducia di Daniela, che aveva avuto altre occasioni di raccontare la sua storia a registi e giornalisti, ma aveva poi deciso di non farlo. Nella parte finale del documentario, viene evidenziato il grande lavoro che la protagonista sta svolgendo per la collettività, prima Presidente donna trans del circolo dell’Arcigay di Napoli, impegnata con i giovani presso il consultorio ‘Incontra’, appassionata del suo lavoro.
Daniela Lourdes chiude il documentario con una frase piena di significati sociali e personali: “Amate i vostri figli e le vostre figlie, i vostri fratelli e le vostre sorelle, che incolpevoli e in silenzio pensano di non dover vivere. Amateli, i figli e le figlie che mai hanno avuto colpa, che hanno solo desiderato essere se stessi nel mondo”. Un monito che tutti, nella società, dovrebbero tenere ben presente.