In un’epoca in cui le immagini si moltiplicano in maniera vertiginosa diventando intercambiabili, il film Days impone allo spettatore una messinscena di opposta tendenza; concepita per aiutarlo a recuperare lo sguardo perduto sugli uomini e sulle cose. Il ritorno nelle sale di Tsai Ming-Liang è un evento da non perdere.

Nel cinema di Tsai Ming-Liang non tutto è come sembra
Per chi non è avvezzo al cinema di Tsai Ming-liang potrebbe essere fuorviante affermare che, alla pari di altri, anche Days, ultimo lavoro dell’autore taiwanese fa della componente sensoriale uno dei suoi punti di forza. Senza commettere errore, infatti, la stessa cosa si potrebbe dire di molte delle grandi produzioni provenienti da oltreoceano, e per esempio dei film della Marvel Comics, i cui effetti speciali non possono prescindere dall’importanza assunta dalla componente acustico visiva.
Dunque, se è vero che anche Days parte dalla stessa premessa, basti pensare all’importanza assunta dal crescente rumore della pioggia nella definizione del quadro esistenziale raccontato dal piano sequenza che apre il film, caratterizzato dall’assenza di azione umana e perciò quantificabile solo alla luce del cambiamento offerto dal ticchettio dell’acqua (segno del subbuglio interiore del personaggio), a cambiare, e di molto, è l’uso che ne fa Tsai Ming-liang all’interno del suo dispositivo. Se, nei fatti, la preoccupazione del cinema mainstream è di non lasciare lo spettatore neanche per un attimo solo con i suoi pensieri, incalzandolo con narrazioni ipertrofiche d’azione e personaggi, quella di Tsai Ming-liang si pone in perfetta antitesi rispetto a quella urgenza.

Nel film Days: sgomberare il campo dal superfluo
Dapprima sgomberando il quadro dal superfluo, che nel caso del regista di Vive L’Amour e Il buco, si traduce nell’opportunità di fare a meno della parola dal punto di vista discorsivo, cosa peraltro giustificata dalla sostanziale solitudine dei personaggi, anche in Days incapaci di dare seguito all’incontro con l’altro. E nelle rare occasioni in cui è rintracciabile, togliendo al logos le sue caratteristiche affabulatorie, dunque la capacità di distrarre l’attenzione dello spettatore dall’esperienza dei corpi nel tempo e nello spazio.
Due categorie, queste ultime, destinate in Days a esaltarsi nella quasi totale assenza di movimenti della mdp, e nella volontà del regista, di cogliere l’ineffabile attraverso un’attesa che ha bisogno del tempo (e di tempo) per potersi manifestare.
In un’epoca in cui le immagini si moltiplicano in maniera vertiginosa diventando intercambiabili, Days impone allo spettatore una messinscena di opposta tendenza. Concepita per aiutarlo a recuperare lo sguardo perduto sugli uomini e sulle cose. Una messa in scena in cui l’occupazione dello spazio e il suo contrario diventano l’epifania di un sentimento di solitudine che risuona all’interno dell’inquadratura.

Uno spartiacque visivo e narrativo
In tal senso è emblematica la scena dell’incontro tra i due protagonisti – autentico spartiacque narrativo e visivo in cui l’unione dei corpi da motivo di ordine pratico diventa il segno di una corrispondenza sentimentale -, la cui risultanza non sarebbe mai stata così deflagrante e insieme poetica se a precederla non ce ne fossero state altrettante di tenore opposto, con i due protagonisti isolati all’interno dei rispettivi quadri e spersonalizzati dalla ripetizione dei gesti della routine quotidiana.
Ancora una volta a fare la differenza, come sempre capita nel cinema del maestro taiwanese, è l’invisibile chiamato in superficie dall’ordinario dell’esistenza umana e dai suoi accessori. Come può esserlo il fatto di mostrare i protagonisti seduti insieme sul letto, uno accanto all’altro in un’uguaglianza di postura destinata a rompere nella sua eccezionalità visiva le differenze sociali che separano i due interlocutori.
Lo sfondo che diventa protagonista
D’altronde che quello di Tsi min Liang sia (anche) un cinema politico lo dice la scelta di mettere al centro della scena il fuori campo (come succede per la sala cinematografica in Goodbye, Dragon Inn), restituendo dignità ai gesti più ordinari della vita umana e materiale, quella fatta di gesti a cui non prestiamo più attenzione e che invece nel cinema del nostro restituiscono dignità all’umano nella sue accezioni più profonde.

Rivoluzione senza spargimento di sangue
Un ribaltamento di posizioni equiparabile a una rivoluzione in armi che il cinema di Tsi min Liang compie senza alcun spargimento di sangue. Per esempio attraverso i cambi di scena che in un film come Days arrivano sempre con interruzioni brusche e inaspettate, come se l’occhio della mdp soffrisse nel venire strappato dalla realtà in cui è immerso. Stacchi di montaggio che il regista trasforma in una copia conforme del congedo tra i due amanti, suggellato da un arrivederci a cui entrambi non saranno in grado di dare seguito. In concorso al Festival di Berlino 2021, Days arriva nelle sale italiane a distanza di otto anni dall’ipnotico Stray Dogs grazie a Double Line che ha deciso di distribuirlo in collaborazione con Lo Scrittoio. Dopo averlo visto possiamo dire che è valsa la pena attenderlo per tutto questo tempo.