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Approfondimenti

Distanza, paranoia, infelicità. Apologia di “Tre piani” di Nanni Moretti

Accolto freddamente dalla critica sin dal suo passaggio in concorso a Cannes, l'ultimo film di Nanni Moretti è un intransigente atto d'accusa morale e politico della borghesia, che individua il punto dolente della società contemporanea nel ripiegamento sul privato. E nella conseguente, inconsapevole, rinuncia alla felicità.

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Un unico condominio, diverse famiglie. Storie parallele di persone che si ignorano le une con le altre. La mente va a Kieślowski e all’ambientazione delle dieci vicende del suo Decalogo.

Si è parlato molto di genitorialità, come tema centrale delle narrazioni che Moretti ha tratto da Tre Piani dello scrittore israeliano Eshkol Nevo. Meno lo si è fatto a proposito di quello che ci pare piuttosto il loro denominatore comune più importante, cioè la distanza tra vicini. Ciascuna delle tre famiglie al centro delle tre storie vive isolata dalle altre, anzi dal resto del mondo. E questo isolamento è profondamente connesso al clima soffocante che si respira per tutto il film, sino ai finali in cui Moretti decide di allentare la pressione sullo spettatore, sciogliendo quella morsa in cui coglieva i personaggi in un perenne stato d’assedio, debitore in questo di un romanzo ambientato in una realtà – quella israeliana – in cui l’autore, Nevo, intercetta una società che vive sentendosi assediata, assediando quindi anzitutto se stessa. Un clima che sconfina nello squallore e a più riprese nell’angoscia, e in cui germinano sospetti e paranoie.

Sospetti e paranoie

Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?” (Matteo, 5, 46)

Relazioni sociali incentrate sul sospetto annullano solidarietà fra estranei, in una società benestante nei confronti della quale Moretti si rivela impietoso, non meno di quanto lo fosse un tempo, nonostante lo si rimproveri di essersi ammorbidito. Nel denunciare i vizi morali della borghesia, Moretti non si è per nulla addolcito, e lo dimostra con un film intransigente. Quanto la cultura del sospetto si sia fatta pervasiva lo si vede nell’ossessione di Lucio (Riccardo Scamarcio), ottenebrato oltre ogni ragionevole dubbio dalla paura che la propria figlia possa essere stata oggetto di abuso da parte di un vicino di casa.

Lucio ha lasciato sola la figlia per correre in palestra: la messa in scena della sequenza in cui Scamarcio pedala sulla cyclette restituisce tutta la desolazione di una vita quotidiana priva di serenità, cupamente ripiegata sul privato. Tutto il film si distingue per una messa in scena raggelata, con inquadrature fisse, pochi movimenti di macchina che introducono una dose di tensione in un continuo insistere su note di asciutta tristezza, che rendono quasi orrida (nel senso di appartenente al genere horror) la condizione umana dei personaggi. Fra le tante critiche piovute addosso a Moretti c’è di aver diretto una sorta di soap, incappando per giunta in alcuni momenti imbarazzanti (su tutti, la scena dell’amplesso fra Lucio e Charlotte). Eppure sembra frutto di una precisa scelta la recitazione prosciugata, quasi imbambolata, imposta da Moretti. La sceneggiatura, in Tre piani, tende a esser letta piuttosto che interpretata.

Tre piani

Germinazione diretta di una vita trascorsa nell’isolamento è la paranoia. La stessa in cui scivola il personaggio di Monica (Alba Rohrwacher), con il suo immaginario corvo dentro casa e la paura di ereditare la stessa patologia dalla madre, abbandonata in clinica. C’è un momento, in cui la macchina da presa si muove verso il posto dove dovrebbe trovarsi il cognato di Monica, che svela in anticipo la possibilità che la visita di quest’ultimo sia frutto solo della mente di lei. Nella storia di Monica si rivela in particolare la capacità di Moretti di restituire attraverso le scelte stilistiche il clima di infelicità distillato nella pellicola.

La negazione del perdono

Nanni Moretti tiene per sé il personaggio più negativo, quello di Vittorio, il giudice che vive all’ultimo piano. Un personaggio la cui inflessibilità appare, all’inizio, ingannevolmente, persino encomiabile. Il figlio di Vittorio si è reso colpevole di un omicidio stradale in stato di ebbrezza. La vicenda ricorda un tragico fatto di cronaca romana coevo all’epoca in cui il film è stato girato. Il giovane chiede ai genitori, entrambi giudici, di intercedere per lui tramite le loro conoscenze. Ma il padre è intransigente e respinge con livore la cultura dell’accondiscendenza e del nepotismo. Il modo in cui lo fa non tarda però ad apparire innaturale: il figlio ha sbagliato, deve pagare, andare in prigione. Alla definitiva rottura col figlio, Vittorio impone mostruosamente alla moglie Dora (Margherita Buy) di scegliere fra lui e il ragazzo. Nel terzo atto del film, Dora, finalmente libera dal super-io incarnato dal marito, avvia un percorso di riapertura alla vita che traina con sé i finali anche delle altre vicende, verso uno stemperamento dei toni e una distensione del respiro, via di fuga dal clima opprimente sin lì vissuto.

Agli antipodi del ruolo di chi giudica, si pone la pietà. La solidarietà e la comprensione dell’altro, che rendono possibile il perdono. Torna a riecheggiare Kieślowski, che chiude i suoi episodi del Decalogo all’insegna della pietà. E del bisogno di tacitare le sentenze.

Tacitare le sentenze

Il bene è anche male e il male è anche bene” (Eshkol Nevo, “Tre Piani”)

Due ellissi temporali di cinque anni dividono il film in tre piani temporali. Nel frattempo i personaggi cambiano, si trasformano. I loro mutamenti segnano in profondità il film, che si rivela sempre più complesso nelle sue tante sfumature e sfaccettature. Questi mutamenti suggeriscono allo spettatore la necessità di sospendere il giudizio: sui personaggi come sulle persone della vita reale. Nel corso del tempo, le persone cambiano. E imparano qualcosa anche dai propri errori, proprio come fa Dora.

L’infelicità, la negazione del perdono, la paura dei vicini sono mali che hanno un solo denominatore: la presunzione di dedicarsi solo a noi stessi e a chi ci è caro, chiudendoci dentro un orizzonte asfissiante piccolo come il nostro appartamento. C’è un unico antidoto: la solidarietà. Moretti lo indica prendendosi alcuni rischi. Introduce ad esempio Luigi (Tommaso Ragno), personaggio sereno e accogliente che si dedica alla solidarietà sociale sino ad accogliere nella propria casa degli immigrati – in una sequenza che si addentra pericolosamente in territorio Ozpetek. Sarà proprio questo personaggio a fornire la chiave di volta all’esistenza di Dora.

C’è un’assonanza nelle vicende incentrate su Dora e su Monica (che accoglie dentro casa il cognato – vero o immaginario, non conta). Nel rifiuto della condanna (maschile) di un figlio, così come di un’altra condanna (sempre maschile) di un fratello, si intravede la necessità del perdono, all’insegna di un’indole femminina. Non si tratta di un discorso di genere; è un discorso etico e politico. Tre piani una sentenza la emette: condanna senza appello l’individualismo e l’egoismo. Nel farlo procede da un punto di vista anzitutto etico, ma ha implicazioni politiche. Moretti ha individuato il punto dolente della società contemporanea. Il ripiegamento sul privato. La conseguente inconsapevole rinuncia alla felicità.

Tre piani

Frames from “Tre Piani” .
Director Nanni Moretti
DOP Michele D’Attanasio

Il “felliniano” tango per strada del prefinale, che a qualcuno sarà parso a rischio “cringe”, a noi è sembrato momento felice (così come il primo piano immaginario sulla dispersa Monica). Moretti dà corpo e immagine a un invito prima espresso attraverso le parole di Luigi: quello di aprirci all’imprevisto, accogliere l’inusuale. La stravaganza come via di fuga, per tentare di sentirsi felici. Insieme, in gruppo. E Moretti insiste, si decide per un finale lieto, con tanto di sorriso in primo piano. Troppo? Ma possiamo essere certi che sarebbe stato più rigoroso chiudere il film con una sfumatura di positività meno insistita? Lo stesso rimprovero lo avremmo potuto muovere al Fellini che chiuse un film plumbeo come “Le notti di Cabiria” con l’immortale sguardo in macchina di Giulietta Masina. Avremmo avuto ragione?

Tre Piani; Nanni Moretti porta un po d&Italia a Cannes

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Tre Piani

  • Anno: 2021
  • Durata: 118
  • Distribuzione: 01 Distribution
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Nanni Moretti
  • Data di uscita: 23-September-2021