Diretto dal regista Antoine Fuqua, che ne è anche produttore, il film The guilty è la storia della dannazione di un eroe tragico, interpretato da Jake Gyllenhaal. Prodotto da Amet Entertainment, Bold Films e Endeavor Content, ha tra gli altri interpreti Ethan Hawke (nella versione originale, solo voce), Riley Keough (v.o., solo voce), Peter Sarsgaard (v.o., solo voce) e Christiana Montoya (v.o., solo voce).
The Guilty – Il trailer
The Guilty – La storia
L’agente di polizia Joe Baylor (Jake Gyllenhaal), in attesa del processo per un fatto grave commesso in servizio, si ritrova declassato a ruolo di operatore del 9-1-1. In un clima di rapporti tesi con i colleghi, sembra non gestire le chiamate di emergenza col giusto atteggiamento professionale. È agitato dai fantasmi del suo recente passato e da un’asma, verosimilmente di natura psicosomatica, che non lo fa staccare dall’inalatore, sempre stretto nella mano.
L’arrivo della telefonata di Emily che, terrorizzata dall’ex marito che l’ha rapita e la tiene sotto minaccia, finge di parlare con la figlioletta per chiedere aiuto alla polizia, smuove la volontà di Joe che vuole a tutti i costi tirarla fuori dai guai. Alla caccia del rapitore Joe scatena tutte le forze di polizia che gli è possibile, che però rispondono con difficoltà, già impegnate nei vasti incendi che stanno mettendo in ginocchio la California.
Allo scopo di prendere tempo e ottenere il massimo delle informazioni, cerca di intrattenere la donna al telefono il più a lungo possibile, stringendo alla fine con lei un rapporto speciale e un impegno per la sua salvezza.
Fornisce così conforto e istruzioni dettagliate su come liberarsi dal suo carnefice. Quando le cose prendono una piega inaspettata e Joe si rende conto di aver preso una svista colossale, forse è troppo tardi per rimediare all’errore.
L’inferno in una stanza
A dominare la scena da subito e per buona parte del film sono le immagini, sui maxischermi nella centrale di polizia, del fuoco che devasta le foreste californiane. Se le fiamme sono il simbolo dell’espiazione dei peccati, il mondo dove Joe è rinchiuso per tutta la durata della storia (la sala operativa del 9-1-1, unico ambiente del film), può avere un solo nome: inferno.
Il protagonista è un (con)dannato che, alla fine, accetta di espiare la sua colpa gravissima, quella di aver ucciso un uomo durante un controllo di polizia otto mesi prima.
La moglie, Jess, per questo motivo lo ha lasciato e adesso a Joe non è neanche più permesso vedere la figlia a suo piacimento.
I colleghi lo trattano come una nullità sulla quale stendere un velo pietoso prestato dal reparto di psichiatria. Salvo lo sparuto incoraggiamento dell’amico più stretto pronto a mentire in tribunale per salvarlo dalla galera perché è così che si fa tra amici.
Niente empatia con l’eroe
Nonostante le premesse sul personaggio inducano a moti di solidarietà nei suoi confronti, Joe non riesce a entrare mai in grande empatia né col pubblico né con gli altri personaggi del film, a parte la vittima da trarre in salvo. La salvezza dell’ostaggio rappresenta l’unico balsamo contro le fiamme e contro l’anoressia affettiva. La grande interpretazione di Gyllenhaal ci restituisce comunque un qualche sentimento di ammirazione nei confronti di Joe.
Ció che sembra non è
L’occasione di diventare l’eroe della storia è però sprecata da un errore di valutazione oggettivamente inevitabile che, per quanto non porti a esiti fatali, conferma l’ineluttabilità della sua dannazione.
Joe capisce che l’unica via di salvezza, a quel punto, è quella di accettare il suo destino, un processo che lo condanni a svariati anni di carcere.
Una paternità azzoppata da separazioni laceranti
Al tema più evidente del film, che è quello dell’espiazione delle colpe, se ne aggiunge uno meno manifesto ma più pervasivo, quello della paternità azzoppata da separazioni laceranti. Simmetricamente a Joe, la cui unica possibilità di vedere (spesso) la figlia è guardarla sulla foto salva schermo del suo cellulare, Henry, il presunto marito-carnefice, è anche lui un padre a cui è stato tolto l’esercizio della paternità.
Un remake fedele
The guiltyè il remake del film danese del 2018 Il colpevole, diretto dall’esordiente Gustav Möller che lo ha scritto insieme a Nygaard Albertsen. Lo sceneggiatore di The guiltyNic Pizzolatto ne ha fatto un adattamento molto fedele. Perfino la tirata d’orecchie morale al drogato che chiama per aiuto non è frutto del puritanesimo d’oltreoceano ma, sorprendentemente, un’eredità della versione europea originale.
La sofferenza e il disagio dell’anima sono una molla dentro una scatola
Per quanto riguarda struttura e atmosfera, gli sceneggiatori trovano espedienti per movimentare un racconto ambientato in un solo luogo. La difficoltà viene infatti superata con l’integrazione di azioni che si svolgono off screen e che si fanno seguire con interesse attraverso il solo audio delle telefonate. Rispetto a narrazioni analoghe per genere, The guilty comprime la tensione come una molla dentro una scatola che non scatta neanche quando la si apre e si scoprono le cose, rimanendo però ugualmente minacciosa. In alcuni punti il filo della tensione si allenta volutamente per farci concentrare sulla sventura del protagonista, Joe, col quale siamo spesso lasciati soli a goderci il suo faccia a faccia con il destino. E accettandolo, alla fine, Joe si libera di un enorme peso.