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‘Il nido dello storno’ con Melissa McCarthy su Netflix: la dramedy dei genitori in lutto vola basso

Il film di Theodore Melfi, regista de 'Il diritto di contare', racconta tra dramma e commedia la storia di due genitori che elaborano il lutto per la perdita della figlia. Con molta musica e molta sdolcinatezza

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Il cielo in una stanza: mamma e papà stanno dipingendo le pareti della cameretta della piccola Katie. È sulle loro voci off e sui sogni per il futuro che inizia Il nido dello storno (The Starling) di Theodore Melfi. Ma la tempesta è dietro l’angolo, ed è da far ammutolire. Quando i genitori perdono la figlia neonata, il nido familiare si rompe e la coppia entra in crisi. Un lutto da elaborare, tutta la difficoltà di farlo assieme. Non solo lacrime, però. Il film con Melissa McCarthy e Chris O’Dowd, su Netflix dal 24 settembre, è più propriamente una dramedy, che allo spunto drammatico della vita strappata aggiunge la velleità di strappare qualche sorriso a denti stretti. Riuscendoci anche, occasionalmente. Quando non affoga nella retorica dei buoni sentimenti.

La trama de Il nido dello storno

Lilly (Melissa McCarthy) e Jack (Chris O’Dowd) hanno vissuto il dolore indicibile della scomparsa della figlia Katie. Lui non è riuscito a fare i conti con la propria sofferenza ed è entrato in una clinica psichiatrica. Lei prova a tenere insieme i cocci di una vita da ricostruire faticosamente, facendo la commessa in un minimarket e coltivando l’orto di casa. Qui finisce per ingaggiare un duello con un uccello che ha nidificato sull’albero in giardino. L’aggressivo volatile è uno storno: la donna lo scopre quando va dal veterinario, in realtà un ex terapista (Kevin Kline) da cui cerca sostegno psicologico su consiglio dell’amica. Mentre Lilly s’ingegna, tra mille difficoltà, a comprare anche una gabbia per uccelli, Jack prova a liberarsi dalla gabbia mentale che lo trattiene per tornare dalla moglie. E tornare a vivere.

Al melodramma non basta un poco di zucchero

Un’altra storia di elaborazione del lutto? Sì, ma non è questo il delitto. Il nido dello storno di Theodore Melfi è un sorridente melodramma rinzeppato di clichés dall’inizio alla fine. Quando nelle prime battute si vede lo storno volare nel cielo, sembra di essere atterrati in qualche zuccheroso film per famiglie, tanto è stridente il contrasto tra il trauma in atto e la trovata visiva. Anche sul piano del significato, i voli pindarici a buon mercato sono presto serviti. L’uccello che difende il proprio nido, così come Lilly la propria famiglia, o l’animale ferito, come i genitori che cercano di rimarginare la piaga del lutto, sono metafore troppo scoperte per apparire credibili.

Lilly con lo storno in mano in casa

Il nido dello storno: Lilly (Melissa McCarthy) con lo storno in mano

Anche perché qualche spunto di maggior potenziale drammatico non è, invece, pienamente approfondito. Tra questi, c’è la ragione per cui il dottor Larry Fine/Kevin Kline abbia interrotto la propria attività di terapista, sommariamente liquidata in un dialogo in cui Lilly implora un “andrà tutto bene”, ma si sente rispondere:

Non ho risposte. Non ne ho mai avute. Parlavo soltanto. Quando l’ho capito, ho rinunciato ed ho smesso di fingere.

Soprattutto, il diverso modo che ognuno ha di vivere la propria esperienza del lutto, anche all’interno dell’unione coniugale, resta appena accennato, con un effetto “dolore in parallelo” che genera una blanda simpatia, ma fallisce nell’empatia.

Melissa ci prova

Non è tutta colpa del cast. Che anzi, tiene botta alla sceneggiatura mielosa. Melissa McCarthy è il collante tra l’anima drammatica e quella comica de Il nido dello storno. Il suo dolore sa concedersi una salvifica auto-ironia:

Dr. Larry Fine: sei consapevole della fase tre del processo di elaborazione del lutto?
Lilly: suppongo, quella che viene dopo la fase due?

Ma alla base del triangolo drammatico, di cui l’attrice è il vertice, si avrebbe da ridire sugli esiti di entrambe le performance maschili. Chris O’Dowd sfodera tutto il campionario del padre a lutto: lo fa bene, ma il campionario è quello. Kevin Kline, veterinario ex psicologo, sembra un wanna-be-Robin-Williams, apprezzabile nell’interazione spicciola ma alla ricerca di una profondità che non arriva mai.

Lilly e Larry dialogano nell'ambulatorio veterinario

Il nido dello storno, Lilly (Melissa McCarthy) e Larry (Kevin Kline) in una scena. Copyright: Hopper Stone/Netflix.

Ci si consola con una galleria di micro-personaggi, inseriti – per poi sparire – in qualche angle comico. È il caso dello spassoso commesso complottista del negozio di animali, nemico giurato degli uccelli, o del boss di Lilly,  interpretato da un buffo e minaccioso Timothy Olyphant. Indizio del fatto che Il nido dello storno, che tende a deludere nella superficialità, almeno si fa gradire nella leggerezza.

Il diritto di cantare

Theodore Melfi, dunque, non centra la stessa calibratura di toni che impreziosiva il precedente pluripremiato Il diritto di contare, sulle geniali professioniste di colore nella Virginia segregazionista degli anni ’60 che aiutarono la Nasa nella corsa allo spazio. Indicativo come in quel caso la colonna sonora fosse generosa, ma funzionale nella sua carica adrenalinica da feel good movie. Ne Il nido dello storno, invece, è un inframezzo invadente, con pezzi che vanno dai Lumineers a Brandi Carlile: rigorosamente toccanti, troppo. Si fanno anche cantare, ma ne risulta un commento filmico stonato. Un po’ come il film tutto, che può essere al più promosso come passatempo: si lascia guardare. Ma non suona come una bocciatura, se si era scelti un tema così delicato?

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Il nido dello storno

  • Anno: 2021
  • Durata: 104'
  • Distribuzione: Netflix
  • Genere: Drammatico, commedia
  • Nazionalita: Stati Uniti
  • Regia: Theodore Melfi
  • Data di uscita: 24-September-2021