Sembra impossibile, ma sappiamo bene quanto sia tristemente vero, almeno nella storia dell’Occidente, che l’omosessualità sia stata per secoli considerata un reato e come tale perseguitata, spesso brutalmente. Die große Freiheit – La grande libertà, del regista austriaco Sebastian Meise racconta, attraverso la storia di Hans, le discriminazioni degli omosessuali nella Germania del dopoguerra, in continuità con l’era nazista. Un film magnifico, scritto, girato e interpretato in maniera magistrale. Peccato che opere come questa, una delle migliori dell’intero Festival, non siano rientrate nella competizione ufficiale ma, fortunatamente, la presidente della Giuria di Un Certain Regard, Andrea Arnold, non si è fatta sfuggire questo piccolo gioiello che ha meritato pienamente il Premio della Giuria.
La grande libertà: dai lager alle prigioni comuni
Uscito dai lager dove era stato rinchiuso per la sua omosessualità, il giovane Hans Hoffmann (grande interpretazione di Franz Rogowski) viene nuovamente denunciato per aver incontrato di nascosto altri uomini in una toilette vicino a dei giardini, e rientra così in un carcere ordinario dove il reato di cui è accusato non lo aiuterà certo ad avere vita facile. Fortunatamente il suo compagno di cella, Viktor, dapprima rifiutante e aggressivo, inizia ad apprezzare le doti di umanità e generosità di cui Hans è ampiamente provvisto e, tra una sigaretta e l’altra, un tatuaggio per coprire il numero del lager, lavorando in sartoria e cucina, nasce fra i due una vera amicizia, che durerà nel tempo.
Hans porterà avanti la sua vita, entrando ed uscendo dal carcere. Innamorandosi di un giovane insegnante detenuto, aiutando l’amico a disintossicarsi dalla droga. Fra isolamenti e soprusi, sempre col rimpianto di un grande amore mai vissuto liberamente. L’abolizione dell’art. 175, raccontato in La grande libertà, segnerà la fine di un’epoca e, per il nostro protagonista, la definitiva liberazione dal carcere, mentre un mondo di diritti acquisiti inizia (faticosamente) a farsi strada.
Una storia poco raccontata
Pochi sanno che è esistita questa tragica e vergognosa realtà, in base alla quale molti omosessuali sono stati trasferiti direttamente dai campi di concentramento alla prigione ordinaria, sostituendo un sistema all’altro. A guerra finita, con la liberalizzazione in atto, per Hans e per tutti quelli come lui non cambiava nulla. Il regista ha basato le sue ricerche sui racconti di omosessuali che hanno vissuto queste esperienze drammatiche. Con numerose interviste a testimoni contemporanei e a sopravvissuti che hanno subito tale sorte fino agli anni ’60. È stato allora che il regista e il suo staff si sono resi conto della meticolosità e dell’ingegnosità con cui lo Stato aveva perseguito questi uomini. Il numero di processi condotti nella Repubblica federale di Germania, sulla base del paragrafo 175, è stimato intorno ai 100.000 e il numero di persone condannate a 64.000.
«Personalmente – ha raccontato il regista – non conoscevo nemmeno io il paragrafo 175, sebbene avessi ricevuto un’istruzione scolastica e una formazione storica abbastanza buone. Iniziando a lavorare sul film ho scoperto ben poco a riguardo. Ci sono alcuni documentari molto buoni, ma nessun lungometraggio. Oppure film in cui questa storia appare solo sullo sfondo. Io ho, invece, deciso di raccontarla attraverso i soggiorni in prigione di Hans Hoffmann, perché è in definitiva la sua costante nella vita. All’esterno è un uomo braccato e costantemente bandito. Non può che essere un criminale, perché è quello che è. La sua vita è considerata dalla legge come criminale in sé. Ridurre poi la sua ragion d’essere all’ergastolo è stata la traduzione cinematografica di questa situazione.»
Nel 1969, il governo tedesco ha attenuato il Paragrafo 175 portando l’età del consenso a 21 anni, poi a 18 nel 1973. L’abolizione definitiva è avvenuta solo nel 1994.