Hausen è la nuova serie disponibile sull’on demand di Sky, ideata da Till Kleinert e Anna Stoeva con la regia di Thomas Stuber prodotta da Sky Deutschland, protagonisti Charly Hubner, Tristan Gobel e Alexander Scheer.
C’è aria di Regno, c’è del marcio su Sky.
Atmosfere cupe e dialoghi asciutti sono lo stigma caratterizzante la nuova produzione seriale di Sky, Hausen.
La trama
Juri è un sedicenne tranquillo che dopo la morte della mamma si trasferisce insieme al padre custode in un condominio in periferia della città. Il palazzo si rivelerà da subito maledetto: quasi un organismo vivente che sembra nutrirsi delle sofferenze altrui.
Hausen è un prodotto di una nuova wave seriale produttiva tedesca: parte di un immaginario ben preciso e definito (il paragone, sommario, fatto in apertura sul Kingdom di Von Trier non è campato in aria) che giustamente si contrappone all’indirizzo e all’impianto visivo dominante statunitense. Come Dark, come Babylon Berlin, Hausen vive e si nutre di atmosfere livide e oscure, di dialoghi scarnificati e scenografie al limite dell’espressionismo: una drammaturgia che si prende anche tutto il tempo per costruire personaggi e relazioni, ma senza mai dimenticare l’ambiente che non rimane sullo sfondo e anzi si incunea tra i personaggi quasi a voler diventare protagonista.
La storia si stende con fare soffocante e ingloba tutto quello che incontra sul suo cammino: miserie umane e macerie morali, che sono però rese visivamente vestite di genere, in questo caso l’horror.
Un horror con metafore
La cosa migliore comunque resta sempre il sapere e volere adattare il genere ad una storia che non dimentica, anzi mette avanti l’attualità così che il contenitore assuma la forma e il significato del contenuto: l’ambientazione diventa spettro e carnefice, mentre la metaforausa l’orrore per mostrare l’orrore del disagio della periferia dimenticata, insieme agli uomini.
L’alienazione si fonde con la solitudine, finchè ad un certo punto della trama l’aria claustrofobica del condominio maledetto sembra impregnare lo schermo e le immagini. Fino ad arrivare all’anima, sedimenare e non andar pià via.
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