‘MALMKROG’ su MUBI il film più maturo di Cristi Puiu
Un’opera ambiziosa, con dialoghi densissimi, tratti dagli ultimi scritti del pensatore russo Vladimir Sergeevič Solov’ëv. Lunga eppure godibile, dall’inizio alla fine
Presentato al New York Film Festival nel 2020, il sontuoso film di Cristi Puiu, Malmkrog, ha vinto il premio come migliore regia alla settantesima edizione della Berlinale. Il Trieste Film Festivalci ha dato la possibilità, il privilegio, di vederlo e con i sottotitoli in italiano, finalmente. Fondamentali in un film così parlato, in cui non si può perdere neppure una battuta di dialogo. Malmkrog lo si può vedere, ora, sulla piattaforma MUBI.
Al festival di Trieste, la visione del film è stata preceduta dalla masterclass del regista, gestita dal collega greco Thanos Anastopoulos(Anastopoulos, insieme a Davide Del Degan, ha girato nel 2016 quel bellissimo, malinconico, documentario triestino che è L’ultima spiaggia).
Davvero un bel regalo del Festival!
Malmkrog e i testi di Solov’ëv da cui è tratto il film
Definito, insieme a Cristian Mungiu, la più alta espressione del cinema rumeno, Puiu in realtà ci è parsa una persona estremamente modesta. Parlando di sé, ha sottolineato più di una volta le sue origini proletarie e la totale estraneità rispetto al mondo aristocratico che pone al centro della sua ultima opera.
Opera è la giusta definizione per questo tributo viscontiano a I tre dialoghi del filosofo russo ottocentesco Vladimir Sergeevič Solov’ëv, e al Racconto dell’Anticristo. Testi carichi di quesiti e risposte articolate sull’uomo moderno di allora, ma ancora attuali.
La durata di Malmkrog supera quella dei film precedenti di Cristi Puiu
Il film è un flusso continuo di riflessioni, dibattiti, parabole, confronti, interrogativi, con un’arguzia intellettuale che spiazza e che, incredibile a dirsi, ci tiene incollati al video per oltre tre ore. Eh, sì, Puiu ha superato anche i tempi lunghi ai quali ci ha già abituati: i 153 minuti de La morte del signor Lazarescu (2005), i 179 di Aurora (2010), i 173 di Sieranevada(2016), per un lavoro che dura ben duecento minuti, questa volta.
Il regista rumeno afferma che tre ore e venti ti uccidono (dice proprio così, ti uccidono), coi sottotitoli ancora di più, ma è come un libro che va letto più volte. Nel senso che il pubblico dev’essere disponibile a entrare nel film e arrendersi. Ed è ciò che avviene, grazie all’ambientazione, alla recitazione, all’ammirazione per le scelte registiche tutte studiatissime, e tutte felici.
I personaggi di Solov’ëv e di Malmkrog
Solov’ëv ambienta i suoi dialoghi a Cannes, en plein air. Qui è Natale e siamo in Russia nella dacia del proprietario terriero Nicolaj. I suoi ospiti, nella giornata scandita da pranzo e cena, sono Ingrida, Edoaurd, Olga e Madeleine e sostituiscono i personaggi di Solov’ëv : il Generale, il Principe, la Signora, il Politico, il Signor Z. ma anche qui si parla il francese, la lingua elettiva dell’aristocrazia russa. A ciascuno di loro viene dedicato un capitolo, ai quali se ne aggiunge un altro, il secondo, in cui la figura più a fuoco è quella del maggiordomo Istàvan.
Ingrida rappresenta una grande libertà del regista, quella di sostituirla al generale dello scritto di Solov’ëv. Sarebbe la moglie, ma parla come fosse un militare, giustifica la necessità della guerra, mentre Olga ne è inorridita. Olga, la più giovane del gruppo, difende le sue posizioni evangeliche, con argomentazioni deboli rispetto a quelle stringenti di Nicolaj che, tra tutti, è sicuramente il più efficace nel conciliare passione e pensiero speculativo. Ogni tanto sembrerebbe perdersi, o siamo noi che ci perdiamo, ma poi ritrova perfettamente il senso del discorso e da lì ricomincia.
Tra tutti, Edouard è quello più stravagante. Progressista, vagheggia la futura unità europea, nella quale la Russia potrà inserirsi, se pure con un fondo arabo tutto suo. Nel capitolo a lui dedicato, chiede ai compagni di lasciare da parte la religione. Vana richiesta, perché di Dio, del messaggio cristiano e di come riviverlo, si parlerà ancora molto, dei vangeli, dell’Anticristo, del Bene, del Male.
Madeleine è il personaggio più ironico, l’unica che si concede di ridere ogni tanto, di prendere le parti dell’uno o dell’altra apertamente. A lei è intitolata la chiusura del film, al suo nome volutamente proustiano. Un riferimento alla memoria che custodisce tutto il pensiero dell’uomo, che non può essere ignorato se se ne vuole fondare uno nuovo e più efficace. Se non si vuole andare alla deriva, e purtroppo i segni di tutto il male del Novecento ci sono già, il secolo breve di cui si possono intuire alcuni disastri, ma mai gli orrori che porterà con sé.
La simbologia all’interno del film
Di simboli ce ne sono altri, non tutti facilmente riconoscibili. Durante la masterclass, Cristi Puiu ci regala la lettura di un oggetto, anzi due, che ci apparirebbero altrimenti incongrui. Il primo è il quadretto in posizione frontale rispetto ai personaggi e tra le due finestre nel primo capitolo.
Si tratta della pianta del centro di Königsberg con i suoi famosi sette ponti. Piccolo e in bianco e nero, è un disegno topografico che interrompe la meraviglia dei dipinti alle pareti. L’altra immagine ritrae il viso di Eulero, matematico illuminista che avrebbe risolto appunto l’enigma riferito ai ponti, quello sulla possibilità di passeggiare per Königsberg percorrendo ciascuno di loro una volta sola.
La soluzione di Eleuro, dimostrata logicamente, si conclude con la certezza che non esiste soluzione. Un anticipo, del senso di tutto quel parlare. Alla fine non si può che rilanciare, perché sui temi fondanti dell’essere uomini, non si può far altro che continuare a ragionare.
In amicizia perché, ci dice sempre Puiu, dialogo e amicizia sono le più grandi conquiste della nostra civiltà. Nel film, ci sono momenti in cui i discorsi sembrano farsi troppo densi e forse troppo religiosi (come temeva Edouard). Basta però sostituire la parola peccato con fallimento, ed ecco che le domande poste possono farsi ancora più universali. A mano a mano che la giornata passa, verso sera e durante la cena, aumentano i punti di vista, i dialoghi si fanno ancora più intensi, tenendo desta un’attenzione che rischierebbe di affievolirsi se il tono fosse rimasto lo stesso.
Un film di parole pregnanti e di immagini
Come Sieranevada, Malmkrog è un film di parole , ma questa volta non si parla della cronaca o del recente passato. Sono pensieri che si fanno cinema, e cinema rigorosamente morale, prima sulle orme di Rohmer, per poi superarlo, addirittura. Ed è un film di immagini splendide, piani sequenza impeccabili, inquadrature che sembrano dipinti; come quella ripetuta che ne incornicia una seconda, che a sua volta ne contiene una terza, in un gioco di prospettive perfetto, equilibrato. Stanze vuote nelle quali riecheggiano, basse, le voci dei personaggi. Composizioni delle scene da palcoscenico. Vien quasi voglia di interrompere la visione e star lì, in pausa, ad ammirarle. La neve che si vede dalle finestre e l’armonia degli interni fanno avvertire il calore della stufa alimentata dalla servitù. Che si muove frenetica ma composta.
E mentre si conversa di verità e menzogna, guerra e pacifismo, precetti religiosi e ascolto della coscienza, non possiamo fare a meno di pensare a quanto sia cambiato il cinema di Cristi Puiu, dal realismo minimalista di cui è stato iniziatore, ad ora.
Dal realismo minimalista al bisogno di una nuova spiritualità
Forse per una dimensione spirituale sulla quale soltanto adesso ha sentito il bisogno di confrontarsi. Nella sua lezione di cinema, Cristi Puiu dice di aver letto il testo di Solov’ëv parecchio tempo fa, ma l’idea del film e la sua realizzazione si sono concretizzate solo negli ultimi anni. Racconta anche l’incontro, in età abbastanza adulta, con la lettura dello scrittore rumeno Nicolae Steinhardt (1912-1989), autore di Diario della felicità.
Sembra commuoversi, quando ne parla. Perseguitato dal regime fascista prima, e da quello comunista poi, Steinhardt troverà pace solo dopo la conversione, nella vita monastica:
«No, non mi sono avviato al cristianesimo (…) per vie storiche, esegetiche, archeologiche, comparativistiche, non intellettualizzando, ragionando, comparando, studiando, riflettendo in modo selettivo, ma solo per la strada incantata dell’amore». (Primejdia- Steinhardt).
Cristi Puiu dice che “I sistemi politici cambiano, ciò che sono gli esseri umani è lo scopo del fare cinema”. L’umanità e l’amore sono al centro del suo cinema fin dall’inizio, e creano una continuità che non si spezza.
È cambiato il modo di parlarne, e oggi può permettersi di dire: ”Il cinema non è la storia che viene raccontata, ma il modo in cui il narratore racconta a te ciò che ricorda di una storia che è avvenuta in un certo periodo o mai. La storia non esiste, esiste solo il narratore”.
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