Ultras, disponibile su Netflix, è il primo lungometraggio diretto da Francesco Lettieri, con Aniello Arena nel ruolo di Sandro, Ciro Nacca nel ruolo di Angelo e la partecipazione di Antonia Truppo che interpreta Terry.
Un film che ha tutte le caratteristiche per essere un gran film, ma che non riesce a esprimerle fino in fondo.
Sandro, il Mohicano, è un ex tifoso ormai invecchiato ma ancora benvoluto da tutti e diffidato insieme ad altri veterani che formano il “gruppo” degli Apache, oggi rappresentato sugli spalti da alcuni nuovi ragazzi cresciuti alla loro ombra in cerca di un riscatto. Angelo, un giovane adolescente seguace di Sandro, tenta di entrare con il suo gruppo di amici nel gruppo vero, quello dei grandi. Già suo fratello ne era stato parte e questo lo motiva particolarmente.
Il tifoso: uno di noi
Una storia che ci fa conoscere un lato del calcio che è sempre poco raccontato al cinema: quello dei tifosi. Le tifoserie sono l’anima del calcio e ce ne si accorge facilmente in questo periodo di emergenza sanitaria in cui sono state sostituite dalla loro versione cartonata. È un mondo che ha le sue regole, le sue gerarchie. Un mondo al quale chi ne fa parte deve dedicarsi prioritariamente. Sono diverse le scene in cui i personaggi impegnati nelle loro questioni private lasciano tutto per andare dagli amici che chiamano. Anche all’interno delle tifoserie ci sono le gerarchie. Il film ce lo racconta: ci sono i ragazzi che vanno in curva, i diffidati anziani che li sostengono dopo aver firmato in questura, i ragazzi più giovani che aspirano ad andare in trasferta, volendo entrare in un gioco più grande di loro.
I personaggi hanno le loro aspirazioni, i loro sogni, le loro relazioni, le loro difficoltà. Sono uomini, come tutti. Combattono per qualcosa, come tutti. Spesso dietro il loro aspetto burbero e i loro corpi coperti di tatuaggi si nascondono storie familiari o personali difficili. C’è chi tenta di riscattarsi, chi di evadere da queste difficoltà e tutti trovano nella curva il luogo dove cercare se stessi. La fede nella loro squadra è quello che per molti può essere la fede religiosa. E la religione del tifoso ha i suoi riti: la domenica allo stadio anche in trasferta; i suoi simboli: gli striscioni da preparare; le sue cerimonie: i cori che si cantano sugli spalti.
“Tu pensi ad appendere il quadro quando ci hanno bruciato lo striscione”
Barabba al Mohicano (in napoletano, che è la lingua in cui è recitato tutto il film).
Dall’idea per un videoclip al film
Gli episodi della sceneggiatura sono coerenti tra loro e spesso le informazioni non sono rilasciate in modo scontato ma si sfrutta sempre una radio, una TV, per chiarire le tappe del singolare campionato che questi tifosi giocano, fino all’ultima giornata. Tuttavia non sempre le motivazioni delle azioni dei personaggi vanno addosso allo spettatore. Non si conoscono davvero fino in fondo i due personaggi principali e l’empatia con loro rischia di essere concessa solo aprioristicamente. Un film di quasi due ore avrebbe potuto approfondire, probabilmente, alcuni aspetti del background di personaggi. Per esempio Angelo ha una forte motivazione che lo spinge a unirsi al gruppo, ma non viene sufficientemente raccontata perché possa tenere lo spettatore incollato su di lui. I tifosi anziani hanno delle grandi difficoltà personali e familiari che vengono mostrati forse troppo tardi. Certamente per ritardare l’effetto emotivo che rende, in fondo, dolci questi tifosi all’apparenza burberi. Una narrazione di questo tipo, allora, avrebbe potuto beneficiare di maggiori ellissi per condensare tutti gli spunti narrativi interessanti che ci sono nel film in una forma più breve. Infatti l’idea alla base del soggetto nasce per un videoclip musicale.
Ulteriori informazioni sono nell’intervista rilasciata recentemente dal regista Lettieri a Taxidrivers.
Lo sguardo del ventilatore
La regia è audace. La macchina da presa è molto mobile e raramente è posta su un cavalletto. Spesso è in spalla e spesso segue o precede i personaggi, con un montaggio che preferisce lasciare una inquadratura prolungata sulla scena, piuttosto che tagliare per mostrare un controcampo. I tagli sono essenziali, arrivano quando servono. La macchina da presa sta sui personaggi, come il piano sequenza che apre il film fino ai titoli di testa e i long take realizzati per girare gran parte delle scene del resto del film. A volte Lettieri ci fa assumere punti di vista particolari e suggestivi, per esempio quello di oggetti dell’ambiente, come quando ci viene mostrato un ventilatore per poi far partire un movimento che diventa una soggettiva di quel ventilatore, andando in panoramiche ripetute da destra a sinistra e da sinistra a destra.
Il regista viene da un trascorso nel mondo della musica. Ha curato in particolare i videoclip dell’artista partenopeo Liberato il quale ha prestato la sua musica per la colonna sonora del film.
Interessante la scelta fatta per la sequenza dei titoli di testa: una serie di immagini di repertorio sulle violenze negli stadi e alcune immagini di telecamere a circuito chiuso. È una delle nuove espressioni del linguaggio cinematografico contemporaneo. L’ultimo esempio è “Sanpa” disponibile sempre su Netflix, ma se ne potrebbero citare diversi tra documentari, fiction e serie TV.
Nel complesso un film che ci fa conoscere un mondo poco conosciuto, con degli spunti interessanti e nel finale cattura davvero lo spettatore in una scena d’azione culminante nell’evento di chiusura della storia prima di lasciarci volare liberi, come sulle ali tatuate sulle spalle di Angelo verso la riflessione sulle nostre vite e il nostro rapporto con gli altri.
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Il trailer di ULTRAS di Francesco Lettieri, in sala dal 9 Marzo
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Ultras di Francesco Lettieri: il dietro le quinte