Su Netflix, dal 7 gennaio, un film assolutamente da non perdere: Pieces of a woman del regista ungherese Kornél Mundruczó, ora nella sua prima opera internazionale in lingua inglese. Con una bravissima Vanessa Kirby nel ruolo da protagonista. Produttore esecutivo: Martin Scorsese, ed è tutta una promessa. Mantenuta.
Pieces of a woman è già stato presentato alla 77 Mostra del cinema di Venezia. Un festival che nell’ultima edizione ha lasciato più spazio alle donne, con otto autrici in concorso, e molte storie narrate al femminile.
Lo sguardo di Mundruczó su Vanessa Kirby è delicatissimo, ricambiato da una recitazione perfetta, che le ha già meritato la coppa Volpi a Venezia e la sta, idealmente, per ora, candidando all’ Oscar.
Insieme a lei, il regista ungherese ha saputo raccontare un dolore che supera i confini della tollerabilità. Alternando estremo realismo a pudore, in una resa dei sentimenti (e delle relazioni) misurata e travolgente.
La storia dei frammenti di Martha, la difficoltà di recuperarli e di ricomporli
L’esordio del film dura meno di dieci minuti, con scene salienti della gravidanza di Martha. Presto siamo coinvolti nell’imminenza del parto, nell’eccitazione, e nel timore, sia di lei che del compagno Sean (Shia LaBeouf). Hanno scelto di farlo in casa, e inizialmente riescono entrambi ad evitare il panico. Anche quando la loro ostetrica non si presenta e manda una sostituta. Sono coraggiosi: in fondo è stata una loro decisione e non vogliono tirarsi indietro, Martha soprattutto. Qualcosa va storto, però, e la bimba a pochi minuti dalla nascita, muore. Tutta la narrazione successiva sarà dedicata alla disperazione dei personaggi (ancora soprattutto di Martha), lo smarrimento, fino all’insperata, e sana, elaborazione del lutto.
Mezz’ora di assistenza al parto
Mundruczó ci fa assistere al parto in un piano sequenza che dura quasi mezz’ora, facendo scomparire la macchina da presa, risparmiandoci giustamente la vista del sangue, ma non quella della sofferenza fisica. È lo stupore della prima nascita, alla quale nessun corso può preparare fino in fondo, quando le doglie , ravvicinandosi, si fanno più forti e il corpo è sottosopra. Sean e l’ostetrica incoraggiano Martha come possono, e tutto sembra funzionare finché il battito della bimba si fa più incerto e la situazione più concitata.
E ci fermiamo qui, perché è vero che tutte le recensioni e il trailer ci hanno già raccontato che la bambina muore, ma quei pochi suoi momenti di vita e lo sgomento dei genitori, poi, sono inenarrabili. Raccontati e interpretati talmente bene nel film da lasciarci senza fiato.
Lo scorrere del tempo di questo lungo inverno
Il tempo del lutto inconsolabile va dal 17 settembre al 3 aprile, scandito con le date ben impresse sullo schermo. Il film è girato in Canada, ma ambientato a Boston. Luci e colori sono freddi: il mare sempre grigio, la neve, la scelta della stagione per niente casuale. I bei cappottini rosso e verde di Martha lasciano il posto a colori più neutri, alle luci fredde, al suo cuore in inverno.
Fanno eccezione le mele rosse e carnose, che nell’ultima liberatoria inquadratura saranno il simbolo della rinascita. E il cappotto di Martha si ricolorerà, questa volta di un bluette acceso, in un bellissimo contrasto coi suoi capelli biondi. Non più curati, come lo smalto trascurato sulle unghie, nella profondità della perdita, per poi tornare quelli di prima.
Oltre a saper rendere il dolore del parto, e la disperazione dell’assenza, Vanessa Kirby sa restituirci lo spaesamento di chi è sprofondato in un dolore indicibile. L’anima che annega, senza scogli a cui ancorarsi per raggiungere la riva. Martha non passa attraverso tutte le fasi del lutto descritte dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross (negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione). Da subito il suo comportamento è dettato da rabbia e depressione. Gli altri stadi sono silenti, e, purtroppo tutta la rabbia è rivolta allo stesso Sean.
I genitori mancati si allontanano, esprimendo solo rabbia e incomprensioni
Tempi e modi dell’elaborazione del lutto non sono gli stessi. Lei vuole offrire il corpicino della bimba alla scienza e lui si sente impazzire alla sola idea di un mancato funerale. Lui si mette d’accordo con la madre di Martha per denunciare l’ostetrica, portando al di fuori della famiglia tutto il rancore altrimenti inesprimibile. E Martha di tutto avrebbe bisogno tranne che essere ignorata nelle decisioni.
La loro intesa, i loro bei giochi azzerati per sempre. “Un penny per i tuoi pensieri”, le diceva Sean. La intratteneva con battute di spirito sciocche, e lei rideva forse per la loro semplicità. Si sarà innamorata proprio del suo essere così naive? Sean è un operaio, mentre Martha, si intuisce, ha un lavoro più prestigioso. Dopo un suo ritardo, la suocera (Ellen Burstyn), a cui il povero Sean è sempre stato antipatico, gli chiederà: “Come fai a costruire ponti se non sai leggere l’ora?”. Anche il rifiuto della donna anziana si esprimerà senza filtri, isolando sempre più l’uomo già provato dalla tragedia.
Martha e Sean passano dall’accordo di prima del parto, alle ingiurie, i tradimenti, le menzogne. E in questo, l’uomo, anche lui a pezzi, non è meno degno di solidarietà, perché insieme alla bambina è morta la sicurezza del legame con Martha. Certo, sono entrambi responsabili di un risentimento esploso senza riguardi, ma chi se la sentirebbe di giudicarli?
Una storia molto intima, vissuta in passato dallo stesso regista, che ora ha voluto condividere
Kornél Mundruczó, dopo l’interessante racconto Una luna chiamata Europa, un mix di denuncia sociale e soluzioni fantastiche, ha sentito il bisogno di raccogliersi in una dimensione più intima, autobiografica. L’esperienza tragica della perdita di una figlia appena nata è stata vissuta da lui e dalla compagna, Kata Weber, attrice e sceneggiatrice, a cui è stata affidata la sceneggiatura di Pieces of a woman. Scegliere di riaccostarsi a un dolore personale così forte vuol dire avere raggiunto la giusta distanza per dargli voce, e nello stesso tempo sentirlo ancora vicino per non banalizzarlo mai, in nessuna delle sue sfumature.
“Mia moglie ed io volevamo condividere con il pubblico una delle nostre esperienze più personali attraverso la storia di un figlio non nato, nella convinzione che l’arte possa essere la miglior cura per il dolore. Saremo gli stessi di prima dopo una tragedia? Riusciremo a trovare qualcuno che ci accompagni nella caduta libera del dolore? Il mondo appare capovolto, un luogo in cui non riusciamo più a orientarci. Con Pieces of a Woman volevamo realizzare una storia autentica su una tragedia e su come imparare a convivere con quel dolore. Una perdita sfugge alla nostra comprensione o al nostro controllo, ma porta con sé la capacità di rinascere”.
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