Inserito nel concorso ufficiale del 38 Torino Film Festival Las Ninas di Pilar Palomero è al tempo stesso il racconto di una gioventù in via di formazione e la metafora di una paese che fatica a emanciparsi dai fantasmi del proprio passato.
Ripeterlo può far difetto eppure ogni volta non di può fare a meno di rilevare l’importanza che il cinema di Pedro Almodovar ha avuto sui registi spagnoli venuti dopo di lui. Las Ninas di Pilar Palomero ne è solo l’ultimo dei tanti esempi: non tanto nella forma, asciutta e austera come mai è stata quella del maestro spagnolo quanto nello spirito e per forza di cosa negli esiti finali.
Las Ninas mette infatti al centro della sua vicenda una “mala educacion” tutta al femminile raccontando i turbamenti e le prime ribellioni della dodicenne Celia orfana di padre e studentessa di un istituto religioso in cui l’arrivo di una nuova allieva scatena fermenti e curiosità destinate ad accelerare i cambiamenti dovuti all’approssimarsi della pubertà.
Detto che la struttura narrativa da racconto di formazione è di per se autosufficiente nell’accompagnare lo spettatore nelle tormenti della giovane protagonista non sfuggono allo spettatore le allusioni alle vicende della Storia spagnola e sopratutto all’ondata di speranza e ottimismo legata ai mutamenti politici, economici e sociali legati alla caduta delle classi aristocratiche sorpassate da quelle di estrazione borghese e popolare. In questo senso la dice lunga il fatto di collocare le vicende del film negli anni novanta (caratterizzati in politica dal primato del partito popolare guidato da Jose Maria Aznar), che i comportamenti di Celia vengano disapprovati e puniti dalle religiose e cioè dalle rappresentanti del vecchio conservatorismo e da ultimo che a rompere gli equilibri della vita della protagonista e delle sue compagne sia una ragazzina cresciuta a Barcellona, la città simbolo della rinascita spagnola.
Altrove estroverso e colorato il cinema spagnolo firmato dalla Palermo è un’opera prima che preferisce togliere più che aggiungere, affidando i significati della storia alla compostezza delle composizioni e agli sguardi dei personaggi, prima fra tutti quello dell’espressiva Andrea Fandos (Celia), impeccabile in un ruolo che sembra pescare da un vissuto condiviso con il suo personaggio. il primo piano sul sorriso appena accennato con cui la giovane virgulta si congeda dal proprio pubblico è allo stesso tempo testimonianza del suo talento ma anche il suggello di una riconciliazione personale e collettiva con i nodi di un’esistenza per il momento tornata a sorridere.