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Conversation

I nostri sono film donchisciotteschi: conversazione con Benoit Delépine e Gustave Kervern registi di Imprevisti Digitali

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Benoît Delépine che ha firmato, con Gustave Kerven, la dissacrante commedia Imprevisti Digitali, Orso d’Argento  al festival di Berlino e dal 15 ottobre nelle sale italiane a cura di Officine Ubu, esordisce: “Vivo in campagna dove ci sono meno problemi rispetto a chi sta in città”!

Se da una parte raccontate la solitudine dell’uomo contemporaneo, dall’altra non smettete neanche per un attimo di indicare l’unica via di esistenza sostenibile che è quella della solidarietà umana. I protagonisti del vostro film pur nel bel mezzo dei rispettivi disagi familiari non smettono mai di aiutarsi uno con l’altro.

Benoit Deléphine. Effettivamente l’uomo è sempre in cerca di mezzi per facilitarsi la vita grazie a continui progressi tecnici raggiunti tramite  Internet, ma questi presunti miglioramenti  non solo non gli facilitano sempre la vita ma gliela complica ulteriormente, fino a rovinargliela proprio. E poi assistiamo ad una forma sempre più forte di solitudine. Sulla carta i social  dovrebbero essere una rete per facilitare l’incontro con gli altri , eppure ci troviamo sempre più spesso rinchiusi ognuno a casa propria.

Gustave Kervern. Speriamo che la solidarietà tra le persone esista ancora. Lo abbiamo visto ad esempio da noi durante il movimento dei gilets jaunes, in cui  c’è stato uno slancio di solidarietà tra le persone che bloccavano le strade all’inizio delle proteste. Penso che questa solidarietà ormai tenda a scomparire perché c’è molto individualismo. Infatti mentre giravamo nelle case popolari abbiamo notato che la sera i vicini non si parlavano tra di loro e spesso neanche si conoscevano. Dopo essere venuti in contatto invece, hanno cominciato a farlo, anche se vivevano già da tempo uno accanto all’altro. In effetti c’è un individualismo che la società ha accentuato. In questo film come in quello precedente abbiamo voluto far vedere che è ancora possibile ritrovarsi, conoscersi e lottare insieme contro tutti questi problemi.

Non si tratta di una condivisione fine a se stessa ma come viatico alla ribellione e alla lotta. In questo senso si può dire che seppur con toni tragicomici il vostro sia un film in qualche modo militante? 

BD. Sì certamente, effettivamente tutti i nostri film – questo è il nostro nono lungometraggio – sono un po’ ‘Don Chisciotteschi’. In questo caso i mulini a vento sono quelli che fanno denaro sfruttando i nostri dati personali. Tutti i nostri film passano attraverso la lotta e anche se questa opposizione sembra spesso persa in partenza. In fondo poco importa..La cosa importante è lottare sempre, soprattutto lottare insieme. Provare a fuggire attraverso la lotta a questa forma di solitudine che appare inesorabile.

GK. In realtà non siamo dei militanti e neanche questo film vuole esserlo. Al contrario, Imprevisti Digitali vuole essere una storia un po’ disperata. Non siamo affiliati ad alcun partito ma con questo film volevamo soltanto mostrare l’assurdità del mondo nel quale viviamo, con tutto ciò che accade. I nostri personaggi cadono in una specie di trappola: in fondo è quello che succede quasi a tutti, quello di avere a che fare con problemi amministrativi e burocratici, dovendosi confrontare con il cellulare, il bombardamento pubblicitario e i messaggi veicolati dalle serie TV. Abbiamo tempo e ne perdiamo tanto in queste cose. Attraverso i GAFA (Google.Amazon.Facebook.Apple, ndr) volevamo far vedere la condizione del mondo attuale facendo anche ridere il pubblico. Tutto quà. Non cerchiamo di dare lezioni né di trovare soluzioni ma desideriamo mostrare le cose come sono.

La quale cosa è tanto più necessaria quando il mondo che descrivete è ostile ed egoista…

BD. Ecco quello che è totalmente da pazzi in quello che sta succedendo oggi con il Covid-19 è che la solitudine è sempre maggiore mentre in passato un atto di ribellione, da militante, era quello di andare a manifestare per strada, ora è semplicemente andare al cinema.

Anche per quanto riguarda le reazioni umane che sembrano oramai adeguarsi all’anaffettivita’ della tecnologia e del profitto. Lampante è la risposta del figlio alla madre in merito ai motivi perché ha scelto di stare con il padre e non con lei

BD. Esattamente così. Oggi la ribellione consiste semplicemente nel ritrovarsi più persone insieme e continuare a combattere per conquistare una vera vita sociale. Averla non significa essere sui Social ma possedere un certo numero di persone, intraprendere delle azioni insieme, divertirsi insieme, avere progetti insieme. Secondo me è proprio questa la nuova lotta, semplicemente questa.

Nella scena finale, quella che segna una sorta di vittoria morale per il fatto che i personaggi riescono a liberarsi della dittatura della tecnologia è resa con una scena surreale. I protagonisti si parlano attraverso una conchiglia e delle tazzine. Imprevisti digitali è decisamente un film antimoderno. La presenza di Houellebecq ne è il manifesto. E’ così?

BD. Sì, forse è antimoderno, ma non è proprio del tutto così. Il film intende rappresentare piuttosto una vittoria dell’immaginazione. Il problema nel cadere troppo nella facilità di quello che è il progresso, è che finiamo per consumare, per divorare dei prodotti che sono stati creati da altri esseri umani e finiamo per dimenticare che siamo noi stessi in grado di immaginare. L’essere umano possiede un cervello biologico che gli consente di immaginare, di parlare, di ridere, ma se ci dimentichiamo di farlo funzionare, se passiamo il nostro tempo a guardare tutto il giorno cose concepite da altri, finiamo per rendere anemico un organo dalle capacità infinite. Noi stessi creando questo film, creando questa storia non siamo contro il fatto che le persone abbiano una cultura, ma vogliamo che non si dimentichino di utilizzare la loro propria immaginazione, come lo fanno i bambini quando giocano. Ad esempio per noi il nostro gioco da bambini è proprio il cinema. Un’altra cosa: non è perché uno mette Houellebecq nel proprio film che è totalmente d’accordo con le sue idee. Noi amiamo la sua opera, e con lui abbiamo fatto un intero film intitolato “Near Death Experience”. Lo adoriamo come attore, lo chiamiamo ciclicamente per girare con lui .ma non siamo per forza pessimisti quanto lui! Del resto anche lui ha molto umorismo. Dobbiamo anche far ridere.

GK.Non proprio antimoderno ma certamente meno spinto verso lo sviluppo sfrenato. Usiamo troppe materie prime, siamo andati troppo avanti col consumismo: se non lo riusciamo a moderare andiamo dritti verso la catastrofe, anzi già ci stiamo andando. Il fatto di vedere qualcuno parlare in una conchiglia o in un vasetto dello yogurt è poetico. Tornare a una certa semplicità sarebbe la via, in particolare per chi vive in città. Purtroppo però siamo risucchiati in una specie di vortice, in circoli viziosi tali che non credo che riusciremo mai ad uscire da questo consumo eccessivo. Sono molto pessimista ma penso che mai ci riusciremo. Con il confinamento dovuto al Covid ad esempio si sono ridotti i viaggi aerei ma i consumi non sono variati. Anche quando questa situazione finirà, i viaggi riprenderanno allo stesso ritmo di prima. Il mondo post pandemia per me non ci sarà. Il mondo di prima ricomincerà a produrre persino con più forza.

La condizione esistenziale dei personaggi trova un corrispettivo nella composizione delle inquadrature e nelle scelte di regia. Solitudine e alienazione emergono dalla puntualità di certi campi lunghi e lunghissimi che enfatizzano il vuoto che circonda e isola i protagonisti dal resto del mondo.

BD. C’è questo ma c’è anche la nostra volontà, sin dall’inizio, da quando facciamo cinema. Abbiamo questo amore nel fare dei quadri, creare dei dipinti nei quali succedono un sacco di cose, è anche questo il punto. Noi troviamo che quello che differenzia il cinema dalla Tv, dalle serie Tv – che nel film, del resto, critichiamo – è il fatto che lo spettatore è di fronte a un muro immenso, come in una pittura rupestre. Tocca allo spettatore, all’essere umano fare il suo proprio film per discernere un dettaglio piuttosto che un altro, quello che sta accadendo. E’ proprio questo il piacere che dà il cinema rispetto a un piccolissimo schermo, quello della Tv, in cui tutto è pre-masticato, in cui la telecamera inquadra proprio quello che parla, poi quello che risponde. E poi segue un campo largo ecc. Mentre noi nello stesso piano cerchiamo di far vedere tantissime cose e tocca allo spettatore fare il suo proprio film. C’e’ ne sono tanti e  diversi quanti sono gli spettatori. E questo lo facciamo ancora una volta in questo film qui. Mostriamo inoltre, come accade nella vita,  l’assurdità delle persone, sempre e solo con il telefono in mano. E’ un po’ una cosa folle vedere tutta la gente per strada quasi nella stessa posizione, testa china sul cellulare. E questo volevamo assolutamente mostrarlo nel nostro film, a qualunque costo. 

GK. I campi sono lunghi ma non così tanto in realtà. Questo è il nostro decimo film ed è vero che sin dall’inizio abbiamo deciso di non utilizzare  il campo e contro-campo ma di rimanere su piani fissi o in sequenza nei quali tutti i dettagli vengono conservati, permettendo così allo spettatore di coglierli una volta sul grande schermo. Non come nei film americani in cui tutto viene tagliato. Crediamo che per il pubblico sia molto più interessante soffermarsi su campi lunghi. Costruirli è molto interessante anche per noi, è molto bello, perché dobbiamo anche pensare a quello che accade dietro, ai piccoli dettagli, agli oggetti che dobbiamo inserire qua e là. Forse nessuno lo noterà, ma in ogni casa, in ogni appartamento appare sempre lo stesso oggetto ovvero un’orchidea senza fiore. Un particolare derivato dalla credenza che una volta caduti i fiori questi ricresceranno, da cui il fatto di tenersi a casa la pianta d’orchidea secca Questo è uno dei tanti piccoli dettagli inseriti nelle scene del film. In ciò consiste il nostro lavoro e per quanto ci riguarda adoriamo curare i dettagli. E’ troppo bello non dover riflettere su come e dove tagliare la scena: in questo modo passiamo alla successiva in modo fluido, naturale, senza dover invece pensare a campo e contro-campo, campi stretti, o addirittura rifare la scena più volte. Anche gli attori adorano questi campi lunghi visto che solitamente passano un sacco di tempo a rigirare le sequenze sotto varie angolazioni. Questo è il modo in cui ci piace fare cinema.

Abbiamo notato che nel vostro film i colori degli appartamenti e delle stanze, sono molto più accesi rispetto alla realtà. Perché questa scelta?

GK. Gli interni in generale sono molto colorati. Può darsi che tale effetto derivi dalla pellicola utilizzata per girare che forse accentua un po’ i colori, ma neanche più di tanto. In fase di post produzione non aggiungiamo altri colori, non li accentuiamo. E’ la realtà che è così. Quando andiamo a girare solitamente cambiamo pochissime cose, lasciamo quello che troviamo. Gli interni che vedete nel film sono tutti veri. Facciamo questa scelta in generale. Adoro andare a casa delle persone e vedere tutti gli oggetti che ci sono, è incredibile e sorprendente. Secondo me se ne potrebbe fare anche un programma TV: entrare a casa delle persone per far vedere quello che c’è, i mobili, gli oggetti, le foto. E’ proprio per questo motivo che quando giriamo cerchiamo di mantenere i veri oggetti che troviamo negli appartamenti.

In questo senso mi pare di poter dire che la condizione esistenziale dei personaggi prevalga sul loro protagonismo. Spesso infatti li riprendete da lontano, mostrandone a malapena i volti. Emblematica in questi termini è la scena all’interno del bus in cui vediamo la protagonista sola in un angolo. A malapena ne distinguiamo il volto ma è impossibile non percepire il malessere della sua condizione.

BD. Assolutamente c’è questo. Nella scena in questione come  in molte altre girate in questo modo, il suono della sua conversazione telefonica è in primo piano, dunque ha molta importanza. E’ così che volevamo mostrare la sua solitudine. Poi è abbastanza deprimente cinematograficamente parlando avere un piano molto stretto su qualcuno che sta telefonando. Non c’è nulla di più anti-cinematografico di questo. Abbiamo trovato diverse modalità per mettere in scena queste conversazioni telefoniche molto intime  con venditori e ci le persone a lei vicine. La comunicazione telefoniche sono un fatto privato, per questo un tempo  esistevano  le cabine telefoniche: uno si isolava per fare una chiamata, mentre ora invece la gente parla ovunque, in qualsiasi momento. E’ anche questo che volevamo far vedere. Chiunque è circondato dalla sua piccola bolla personale. Ad esempio in questo istante sto parlando con te al telefono mentre cammino in piena campagna e il tempo è bellissimo.

GK. E’ effettivamente così. Adoriamo i campo lunghi. Nel film spesso vedete Marie che cammina da sola tra i palazzi e sembra piccolissima mentre invece l’audio è molto presente. Facciamo questo proprio per mostrare la solitudine dei personaggi. In questi mega condomini di rado vediamo gente camminare, sembrano quasi deserti perché di giorno la gente non c’è e torna solo di sera, quando il luogo si anima un pò. C’è pochissima vita in quei luoghi. Marie è disoccupata quindi ci vive anche di giorno ma è da sola. Effettivamente la scelta del campo lungo serve per esprimere più cose possibili: personaggi ripresi da lontano, spesso di spalle, nascosti. Invece con la camera fissa è interessante trovare dei piccoli elementi, dettagli strani, insoliti, sorprendenti. Visto che in un film ce ne sono pochi a ogni inquadratura statica proviamo a trovare qualcosa di sorprendente.

Questa cosa ci colpisce perché soprattutto in Italia le commedie sono costruite interamente sulle facce dei personaggi nella necessità di ribadire lo status dell’attore protagonista. Da voi succede esattamente il contrario.

BD. Lo facciamo dal nostro primo film, si intitolava ‘Aaltra’ e li facevamo la parte di due paralitici in sedia a rotelle che attraversavano l’Europa. La prima scena del film, con l’unico attore conosciuto, Benoît Poelvoorde, l’avevamo girata vicino a dove abita – lui è simpatico e aveva accettato di partecipare a questo nostro piccolo film – e lui era sempre di spalle. Si sentiva solo la sua voce e di lui si vedeva solo la schiena e il sedere. Noi eravamo soddisfatti dopo aver girato quella scena e siamo passati a quella successiva. Il nostro produttore ci disse “Ma siete matti, avete Benoît Poelvoorde, e non fate neanche vedere il suo volto”. E noi gli abbiamo risposto che non serviva, che non era importante, che bastava vederlo anche solo di tre quarti per capire la sua personalità. Se c’è il suono, se la scena è bella, è sufficiente, anzi, è anche meglio. Noi eravamo paralitici quindi vederlo camminare, vedere la sua gestualità bastava. Questo è sempre stato il nostro modo di vedere le cose. Del resto in un film avete in media un’ora e trenta per vedere il volto degli attori. Comunque a loro la cosa non disturba poiché hanno capito il nostro modo di vedere le cose. L’importante per loro e per noi, è riuscire ad avere un momento di grazia. Filmare una scena solo una volta, non per forza due, e quando viene bene non sentire la necessità di doverla rifare, per inquadrare il volto degli interpreti: anche loro ne sono ben contenti. Anche perché è un lavoro così miracoloso. Questo è il nostro modo di fare cinema. Là qualcosa però non ci impedisce di variare. Ad esempio nela scena in cui Marie è in cucina, rimaniamo molto a lungo su di lei, mentre parla col suo avvocato, abbiamo il tempo di captare tutte le sue emozioni, ma non si può stare tutto il tempo perché’ poi sarebbe fastidioso..

GK. Si è proprio così. Noi non insistiamo sugli effetti comici. Forse qualche volta è anche un peccato. Magari alcune scene sarebbero ancora più divertenti se avessimo ripreso i personaggi più da vicino, se avessimo insistito su un oggetto con diverse riprese. Sarebbe anche più efficace, ma non cerchiamo di esserlo a tutti i costi. Questo è il nostro stile sin dall’inizio. Non abbiamo voglia di cambiare, ci piace, lo troviamo molto bello. Trovo che sia un modo di girare davvero straordinario e poi non è così comune. Ci sono così tanti registi che fanno inquadrature fisse e in molti film, spesso americani, esiste la tendenza a frammentare sempre di più le riprese. Ci sono ottimi film, efficaci, con scene con diversi tagli, non dico il contrario. Noi in questo modo apportiamo poesia e mistero. Vedere cose diverse fa venire più voglia di andare al cinema. Trovo che spesso i film si assomiglino, sono identici, anche le sceneggiature. Pure i registi asiatici ormai fanno quasi tutti film americani….

Così i personaggi sono ancora più veri!

GK. Assolutamente. Il fatto di non frammentare troppo il film fa vedere i personaggi in modo più vero come fa il documentario. Questo rende le cose più vere e uno si sente più vicino ai personaggi.

Rispetto al dominio dell’economia digitale con il lockdown il rapporto tra cittadini e sistema produttivo è ulteriormente peggiorato anche in termini di povertà endemica. Da questo punto di vista il vostro film potrebbe avere un seguito?

BD. Ma forse sì, non saprei. Accadono così’  tante cose velocemente. Avevamo fatto una prima versione del film, ovvero un primo film già è solo in seguito la sua trama si è verificata nella realtà. Si chiamava ‘Les gilets jaunes’ (‘I gilet gialli’, ndr). Se poi l’avessimo fatto ci avrebbero accusato di essere degli emulatori dei manifestanti ‘gilets jaunes’, di essere arrivati dopo la battaglia. Pertanto ci siamo detti, qua abbiamo scritto un film di qualcosa che accadrà tra due anni, perché è questo il tempo che ci vuole per girare un film, montarlo ecc. In questo momento siamo un po’ smarriti, non sappiamo cosa può succedere con questa malattia nel prossimo futuro. Il sistema produttivo, lui, rimarrà in piedi, anche se…

GK. Perché no, in questo film abbiamo tolto un bel po’ di problemi che potrebbero accadere ai personaggi quindi il materiale per un seguito volendo ci sarebbe. In realtà con Benoît forse siamo un po’ stanchi di trattare sempre tematiche sociali, ne abbiamo affrontate tante. Vedremo per l’undicesimo film cosa faremo, ma vorremmo cambiare registro, fare qualcos’altro. Vogliamo cambiare.

Una curiosità, quando in una scena si sente solo la voce di Miranda che parla al protagonista. Per caso vi siete ispirati al film americano Her?

BD. Questo film era perfetto per anticipare quello che sta succedendo. Nello scrivere quella parte eravamo consapevoli che tutti gli spettatori avrebbero capito che si trattava di una voce sintetica. Non tutti gli spettatori hanno visto Her, ma molti hanno avuto un’esperienza con una voce che credevano vera ma che in realtà era sintetica. Tutti sono morti dalle risate quando lui era nel letto e parlava senza aver capito – solo lui – che la voce era sintetica e che si faceva ingannare, che era il piccione della situazione.

GK. No, no, ma è un ottimo lungometraggio. C’è già stato un film su questo tema. Anche se adoriamo Her, il tema è lo stesso, non è un caso. Ma no, non ci siamo ispirati a quel film.

leggi la recensione di Imprevisti digitali:

In sala Imprevisti digitali, la nuova commedia dell’affiatata coppia di cineasti francesi Benoît Delépine e Gustave Kervern

  • Anno: 2020
  • Durata: 109
  • Distribuzione: Officine UBU
  • Genere: commedia
  • Nazionalita: Francia, Belgio
  • Regia: Benoit Delèpine, Gustave Kervern
  • Data di uscita: 15-October-2020