Opera senza autore di Florian Henckel von Donnersmarck
Con Opera senza autore, film candidato a due premi Oscar, Florian Henckel von Donnersmarck, il regista del memorabile Le vite degli altri, percorre tre decenni di storia tedesca; tra la guerra, la ricostruzione, il socialismo e la nascita della giovane Repubblica Federale
Opera senza autore (Werk ohne Autor), un film del 2018 scritto e diretto da Florian Henckel von Donnersmarck. Ispirato ad eventi reali, il film, che ha ricevuto due nomination ai premi Oscar 2019 nelle categorie miglior film in lingua straniera e miglior fotografia, racconta tre epoche di storia tedesca attraverso la vita tormentata di un artista. Il personaggio principale di Kurt Barnert è basato sulla storia della vita del pittore tedesco Gerhard Richter, raccontata nel libro Ein Maler aus Deutschland. Gerhard Richter. Das Drama einer Familie del giornalista Jürgen Schreiber. Il film ha partecipato in concorso alla 75ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel settembre 2018. Nello stesso mese è stato proiettato al Toronto International Film Festival. È stato poi distribuito nella sale cinematografiche tedesche il 3 Ottobre 2018 e in quelle italiane dal giorno successivo.
Sinossi Il giovane artista Kurt Barnert si è rifugiato nella Germania dell’Ovest ma continua a essere tormentato dalle esperienze che ha fatto durante l’infanzia e la giovinezza sotto il nazismo e il successivo regime della DDR. Quando incontra la studentessa Ellie, Kurt si convince di aver incontrato l’amore della sua vita e inizia a creare dipinti che rispecchiano non solo il suo destino ma anche i traumi di un’intera generazione. Troverà però la dura opposizione del padre di lei.
La recensione di Taxi Drivers (Anna Quaranta)
Alla Mostra del Cinema di Venezia, il regista tedesco Florian Henckel Von Donnersmarck presenta Opera Senza Autore – Non distogliere lo sguardo, film in concorso, suo terzo lungometraggio, dopo Le vite degli altri, pluripremiata opera prima, e The Tourist.
Kurt Barnert è un ragazzino con un sogno, quello di diventare pittore. Siamo a Dresda nel 1937, in pieno regime nazista, e il piccolo Kurt viene spronato dalla giovane zia Elisabeth (Saskia Rosendhal) a portare avanti il suo sogno e a non distogliere lo sguardo dalla realtà, perché tutto ciò che è vero è bello. Ma la sensibilità di Elisabeth e il suo voler vivere i sentimenti e le sensazioni in modo amplificato la portano ad essere internata in un istituto per malati mentali: nella Germania nazista non c’è posto per le persone che non sono sane di mente, perché comprometterebbero la formazione di una razza pura. Quello che accade all’interno di questi luoghi è una pagina dolorosa della Germania degli anni Quaranta, che non lascia indifferenti, specialmente in un’Europa in cui aumenta il pericoloso dilagare dell’estrema destra e degli esasperati nazionalismi.
Ad occuparsi della purezza della razza c’è il Professor Carl Seeband (Sebastian Koch, che ne Le vite degli altri aveva dato il volto al regista teatrale Georg Dreyman) ginecologo estremamente preparato, freddo, calcolatore, meticoloso e in grado di spiare qualsiasi impercettibile cambiamento nel corpo e nei pensieri di una persona. Il giovane Kurt vive i suoi vent’anni nella Dresda della ricostruzione post bellica; i nazisti sono stati sconfitti ed è la Russia a prendere in mano le redini della Repubblica Democratica Tedesca, diffondendo l’ideologia marxista attraverso una propaganda fatta di slogan, affreschi e quadri. I pittori (se così possiamo chiamarli) vengono formati all’Accademia e istruiti alla rappresentazione in stile realismo socialista: Kurt è bravo, il migliore della scuola e la sua fama gli consente di raggiungere presto la notorietà e l’ammirazione dei burocrati e uno stile di vita più comodo rispetto ai suoi coetanei e, naturalmente, l’amore.
Lei si chiama Elisabeth (Paula Beer), come la zia di Kurt, e oltre al nome hanno in comune una bellezza quasi botticelliana. Studia moda all’Accademia e vive con i genitori in un elegante palazzo. Il padre della ragazza è il Professore Carl Seeband, che non approva l’unione e che per la figlia vorrebbe un ragazzo alla sua altezza. Stanco di lavorare per la causa comunista, Kurt capisce di non voler mettere più l’arte al servizio dell’ideologia, ma vuole trovare una sua personale modalità di espressione, per riuscire a raccontare il groviglio di dolore che ha dentro e che lo lega indissolubilmente al padre della sua amata moglie.
L’amore vince su tutto, e forse nella terza e ultima parte delle tre ore di film si scivola un po’ nell’ovvio: è il 1961 e i giovani Kurt ed Elisabeth, innamorati più che mai, riescono a passare a Ovest, nella giovane Repubblica Federale Tedesca, proprio alla vigilia della costruzione del Muro. All’Accademia d’Arte di Dusseldorf, Kurt cercherà a tutti costi la sua strada, e tra ostacoli e umiliazioni riuscirà a tirare fuori ciò che ha dentro, partendo dalla sua infanzia e mettendo insieme i pezzi di quel tragico passato, in un crescendo di suspense.
L’atto di omaggio di Opera Senza Autore che il regista Florian Henckel Von Donnersmarckfa all’arte, mettendo in scena una storia che affronta la questione della creazione artistica si ispira alla vita del pittore tedesco Gerhard Richter; Richter, uno degli artisti viventi più importanti del dopoguerra, fonda la sua intera opera sulla tensione tra realtà e immaginazione: le immagini, così come le idee e gli ideali, sono statici, superficiali, irraggiungibili, e devono essere avvicinate con la forza del dubbio ed è per questo che la realtà diventa un processo di immaginazione e creazione materiale e revisione. Mai distogliere lo sguardo dalla realtà: nell’ultima parte del film, che racconta la ricerca e la conquista della sua espressione per Kurt, torna prepotente quello che ne è il filo conduttore.
Se la costruzione che ha portato al personaggio di Kurt (interpretato da Tom Schilling) sembra vacillare in alcuni momenti, il personaggio di Carl Seeband invece è costruito in maniera precisa, non lasciando al caso nulla dei suoi stravaganti e inquietanti comportamenti. In questa precisione di scrittura, ha molto in comune con il capitano della Stasi Gerd Wiesler ne Le vite degli altri,in cui Donnersmarck ne esplorava l’intimità e i pensieri e ce lo rendeva attraverso le sue azioni, sempre controllate all’inizio e poi dettate dal coinvolgimento emotivo che lo aveva portato dalla parte del nemico, fino a rischiare la sua carriera; qui l’aguzzino mantiene intatto e chiaramente enunciato il suo bisogno di sopravvivenza; “non è sufficiente essere bravi, se vuoi la sicurezza nella tua vita devi essere il migliore. Non uno dei migliori. Il migliore.”
“La vita di Kurt Barnett mostra che noi umani abbiamo quasi una qualità esoterica per trarre qualcosa di buono dalle difficoltà che ci capitano. Ogni grande opera d’arte è una prova concreta che un trauma può essere trasformato in qualcosa di positivo”. Stare al mondo è difficile, e in un film che attraversa diversi momenti storici di una nazione passata da un regime all’altro, c’è chi affronta i propri mostri con freddezza, perché l’unica via è quella della sopravvivenza a tutti i costi, senza mai perdere gli agi conquistati, oppure c’è chi riesce a cogliere il bello della realtà, nel bene e nel male, a percepirne la forza e incanalarla nell’arte ha trovato non soltanto il modo per sopravvivere, ma quello per restare eterno, con o senza discendenza. Nel mezzo, purtroppo, c’è tanto dolore.
Opera senza autore è anche un film sulla Germania, come spiega il produttore Ian Mojito, raccontata“non più un punto di vista di una generazione che si sentiva colpevole, ma il punto di vista di un regista che è capace di raccontare i tedeschi di oggi.” Il film uscirà nelle sale cinematografiche tedesche proprio il 3 ottobre, giorno in cui si celebra la riunificazione tra le due Germanie, avvenuta nel 1990.
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