Botero: leggenda vivente, artista, uomo entusiasta e innamorato perdutamente della vita.
Vanta il maggior numero di mostre monografiche in grado di attirare milioni di spettatori da ogni angolo del pianeta.
Una vita alla continua ricerca della forma, del colore, dei luoghi più stimolanti in giro per il mondo.
Una vita piena, così come le sue opere: gigantesche, monumentali, sensuali, violente e libere.
La pienezza, l’ossessione per il volume.
“Botero? Ah sì, quello che dipinge le donne grasse!”.
Se questo è tutto quello che sapete su questo pittore e scultore, è il momento giusto per recuperare un pezzo di storia e conoscere quello che quest’uomo ha letteralmente donato all’umanità e al mondo dell’arte e della cultura.
Medellín: le radici.
Parte dalla sua città di nascita Medellín il giovane Fernando Botero, dove probabilmente l’influenza delle forme dell’arte precolombiana ha scandito il suo stile unico e immediatamente riconoscibile.
Uno stile che lui stesso ammette di non sapere esattamente da dove provenga, nonostante anni di psicanalisi che hanno attribuito questo voler rappresentare corpi e oggetti giganti a un’eterna ricerca della figura paterna (l’artista perde il padre nella primissima infanzia) che spiegherebbe questo bisogno simbolico di imponenza fisica, immagine di forza, ingombrante e protettiva allo stesso tempo.
Ma se la scienza ha sempre dei limiti, l’arte no. L’arte è libera e la masturbazione sul senso delle cose non giova alla sua comprensione, se mai ce ne dovesse essere una, seppur illusoria nel voler pretendere di essere universale.
La dittatura della Pop Art
È proprio con questa sorta di snobismo intellettuale che l’artista, negli anni, si trova a scontrarsi soprattutto nel suo periodo newyorkese negli anni 60 dove la Pop Art la faceva da padrone. E, diciamolo, a Botero non fregava niente di essere alla moda. Per lui l’idea e le convinzioni di un artista sono uniche e l’artista, finché ha un’idea e una convinzione, non la cambia e va avanti per la propria strada.
Lui stesso, in questo appassionato documentario diretto da Don Millar, parlando in modo conviviale, seduto ad un tavolo di un ristorante, afferma di essersi sentito a New York come “una mosca nel latte”. Anche qui, la guerra tra arte astratta e l’arte figurativa da lui proposta con determinazione, gli stava stretta e ne percepiva l’insofferenza.
Questa personalità ribelle e ferma sui propri ideali, Botero la dimostra fin da ragazzino quando fu cacciato dalla scuola perché scrisse un articolo a proposito di Picasso definendolo un marxista, uno che aveva scomposto l’individualismo della società.
La sua critica alle dittature e alle gerarchie sociali, la dimostra fin da subito sui suoi quadri (olio, acquarello, pastello…ogni genere di tecniche e pennellate sono state sperimentate nel suo percorso artistico, senza freni) soprattutto nella contestazione aspra e ironica alla Chiesa (opere come I vescovi morti e La Grotta vaticana ne sono degli splendidi esempi).
Il Rinascimento italiano: colpo di fulmine.
Il distacco dalla sua patria, la Colombia, e il suo arrivo in Europa -prima a Madrid e poi in Italia- avvenuto in un periodo antecedente a quello dell’esperienza newyorkese, sarà un colpo di fulmine, un amore a prima vista.
Botero si innamora dei pittori italiani rinascimentali, in particolar modo di Piero della Francesca.
Proprio da questo slancio folgorante, egli si sentirà ispirato a realizzare una serie di quadri che propongono variazioni su tema tratte dai quadri più famosi della storia del Rinascimento umanista (il Dittico), che poi proseguirà con la variazione di molte altre opere europee (Monna Lisa all’età di dodici anni e Madame Rubens, solo per citare alcuni esempi più celebri).
Botero scultore: l’importanza della preservazione della memoria collettiva
Il suo legame con l’Italia lo porta fino a Pietrasanta, dove l’artista ama trascorrere l’estate con la sua famiglia ancora oggi.
Non a caso, città dove visse Michelangelo e vicina alle più importanti bronzerie del mondo, ovvero a Carrara. L’attività di Botero scultore si sviluppa principalmente in questi luoghi. La monumentalità delle forme, adesso, prende vita anche attraverso la scultura.
La scultura diventa un veicolo sociale e politico, poiché Botero crea prevalentemente opere da uso esterno, statue di dimensioni impressionanti che sono state esposte nelle più famose piazze al mondo.
Il suo scopo è far sì che la gente le tocchi, abbia un contatto con loro e non le osservi da lontano come da una teca di un museo.
Il passero
Il passero – Il Pajaro, esposta nella piazza Parque Sant Antonio di Medellín, esplose assieme a 20 persone durante un attentato del Cartello di Cali nel 1995. Ora, in quella stessa piazza, la statua deturpata è ancora presente ed è affiancata ad un’altra identica, integra, messa accanto all’altra per simboleggiare il tempo di pace e il tempo di guerra, la Colombia ferita e quella che vuole riscatto di rinascita per il presente e futuro.
Un simbolo troppo importante, che punta alla preservazione della memoria collettiva segnata dalla violenza e dal sangue versato, che non può essere dimenticato.
Il lutto: l’artista continua a creare sempre.
La sua vita è scandita in maniera significativa dalla presenza della famiglia, dai suoi amati figli e nipoti, dai suoi matrimoni, uno dei quali fu segnato dal tragico lutto del piccolo Pedrito.
Il bambino, nato dalla relazione con la sua seconda moglie, morì a causa di un incidente stradale, sotto gli occhi di suo figlio maggiore e di Botero stesso che, nel tentativo di estrarre le lamine di metallo dal corpicino ormai esanime, rimase danneggiato seriamente alla mano destra.
Seguirono mesi di riabilitazione fisica e psichica inimmaginabile, in cui l’artista si chiuse nel suo studio: il risultato di questo periodo doloroso fu un insieme di ritratti struggenti che immortalavano sulla tela il suo bambino perduto.
La palette di colori usata in questa serie di dipinti è scarna, composta da 4 o 5 colori pastello tenui, di certo non accesi e boombastic come era solito preferire.
In questo periodo Botero concentra, non a caso, anche la propria scultura sullo studio e sul tema delle mani. Anche in queste tragiche circostanze, l’artista continua a creare per poter continuare a vivere, continua a lavorare e sperimentare il bilancio dei colori, l’equilibrio delle forme, sempre fedele alla sua idea di arte come porta per far entrare lo spettatore e comunicare con lui.
Sì, si può ridere anche davanti a un’opera d’arte.
Si esprimono dolore e angoscia nell’arte, ma non è affatto dissacratorio anche poter ridere di fronte a un quadro. Botero distrugge e scompone ancora una volta, come il suo amato primo amore Picasso, la concezione che il critico d’arte ha dell’arte stessa.
Anche l’ironia, l’humour occupa posto sulla tela e sì, si può anche ridere davanti a un’opera d’arte. Perché “l’arte deve dare piacere”, detto con le sue parole.
Le opere di denuncia: l’inferno di Abu Ghrabi.
Un’altra serie di opere da menzionare d’obbligo sono i magnifici e terrificanti quadri che raccontano delle disumane torture praticate nel penitenziario centrale di Baghdad, Abu Ghrabi.
Torture inflitte ai prigionieri iracheni non solo dai nemici del regime di Saddam Hussein, ma dai militari statunitensi e britannici.
Uomini incappucciati, tenuti al guinzaglio, legati a fili elettrici, aggrediti da cani inferociti: una denuncia che Botero rese concreta con la realizzazione di più di 70 quadri che decise di non mettere mai in vendita, ma di donare interamente al museo di Berkeley in California.
Il documentario Botero di Don Millar
Il documentario, della durata di 1 ora e 25 minuti circa è davvero intenso ed è arricchito dalle testimonianze –sia dirette che di repertorio- di galleristi, critici d’arte, collaboratori (Sandro Manzo, Axel Stein, Adolfo Agolini e moltissimi altri), familiari e persone che hanno conosciuto l’artista e non possono fare a meno di esprimere la propria stima e gratitudine nei suoi confronti.
E sentir parlare lui in persona (87 anni), con la sua ironia, umiltà, freschezza e simpatia ti rimette al mondo.
Botero di Don Millar è un film-documentario- manifesto sull’ardore di vivere, sulla fame di cercare, credere, creare, sperimentare, non averne mai abbastanza di quello che può offrire la vita.
L’insegnamento più grande sul quale è dovere riflettere è proprio sull’utilità dell’arte, sull’eredità che ci donano questi grandi artisti.
L’arte è la memoria della Storia: così come Il Passero di Botero a Medellín o Guernica di Picasso.
Se non esistessero queste opere, ci ricorderemmo lo stesso della bellezza e dell’orrore?