Il mio negozio, prime boccate d’aria dopo la soffocante estate, colonna sonora Via del Campo di Fabrizio De Andrè. Mentre emergo dallo stato letargico, in cui come ogni estate sono solito cadere, vedendo la lista degli incarichi che il grande capo mi ha rifilato quest’anno, comincio a capire che devo stare molto attento a come parlo quando sono con lui. Infatti, il solo fatto che suoni in un gruppo deve averlo convinto che sono un esperto di musica, cosa che chiunque mi abbia mai sentito massacrare il pentagramma sa benissimo non essere vera. Ma tant’è bastato ad incastrarmi con tre recensioni a sfondo musicale, una dopo l’altra.
Adesso solo per il fatto che per guadagnarmi da vivere faccio il libraio, mi ritrovo a recensire un film su Guido Catalano, personaggio che viaggia sulla linea di confine tra il poeta, il cabarettista e lo scrittore impegnato. Ok, che conosca l’autore in questione ci sta, ma l’idea di recensire un intero documentario su di lui mi ha provocato la classica acidità di stomaco che provo tutte le volte che sono costretto a mettere a nudo la mia inadeguatezza. Anche perché è la prima volta che devo presentare un lavoro SU un autore, invece che il lavoro DI un autore. Quindi, ancor prima di visionare il film Sono Guido e non Guido comincio ad inzuppare le proverbiali sette camicie con i proverbiali sudori freddi.
E, infatti, inforco subito la prima figuraccia, visto che ci metto circa dieci minuti a capire che non si tratta di un documentario ma di un ironico mockumentary (pseudo documentario mi insegnarono a chiamarlo all’università), fatto oltretutto maledettamente bene! Il film di Alessandro Maria Buonomo è una di quelle chicche, degna erede degli scherzi di Orson Welles in grado di farla in barba a molti… e non solo tra i più sprovveduti. Con un taglio estremamente professionale e credibile in ogni dettaglio, analizza il fenomeno “Catalano” andando a trovare le radici inspiegabili del suo successo nel rapporto tormentato e sconosciuto al grande pubblico che questi ha con il suo fratello gemello immaginario quanto segreto, nonché ghost writer dei versi che gli hanno fruttato la gloria. I due, identici in ogni dettaglio, si distinguono solo dagli occhiali scuri che “Armando” indossa sempre, a seguito di un trauma infantile, perché è anche affetto da “reversofonia”, rara malattia che lo costringe a parlare al contrario, come in un disco dei Black Sabbath.
Lo pseudo documentario quindi, dipana l’evolversi di questa strana simbiosi tra Guido e Armando, usando interviste a parenti, amici, fidanzate, conoscenti, collaboratori, produttori ed editori. La camera segue le performaces di Guido sui palchi e nel segreto dei camerini, dove confessa la sua dipendenza dal talento del fratello, ma anche la pressione da parte degli ambienti di marketing, perché nulla si cambi del format che si è dimostrato vincente. Armando, invece, è visitato nell’intimità del suo appartamento e ci guida solitario come sempre per le vie di una Torino che non lo riconosce, ignorando che quello strano ometto occhialuto è alla base del fenomeno culturale e di mercato del momento. Armando, che da principio aveva trovato nell’esercizio della scrittura una terapia all’incomunicabilità derivante dal suo strano male e ben si adattava al ruolo di eminenza grigia dietro le quinte, ora comincia a sentirsi stretto in quel ruolo. Relegato nell’ombra, mentre il suo gemello con il dono del bell’eloquio diventa un’icona rock in salsa poetica, oggetto più ambito nei sogni erotici del pubblico femminile.
La narrazione corre su due binari paralleli, mettendo alla berlina quelli che sono gli aspetti e i luoghi comuni deleteri dello star system. Una lezione di ironia amara sui rapporti personali ed affettivi costretti in ruoli predeterminati. Il successo, la fama, il pubblico, le invidie, le riflessioni solitarie e le separazioni. Fino ad arrivare al momento lirico finale, con la grande serata che segna il salto di qualità e la consacrazione dell’artista, ma anche la riconciliazione dei due fratelli, con Guido sul palco che cerca lo sguardo di Armando, silenzioso ma presente nella sala. Il tutto racconta con leggerezza argomenti comunque molto seri e riscontrabili in parecchie situazioni reali, senza mai annoiare lo spettatore. Anzi, questo mockumentary, tra le risate gentili e le riflessioni amare che ispira, crea certamente curiosità e attenzione verso il Catalano autore, ma si rivela essere anche qualcosa di più che un mero prodotto di promozione, conquistando un posto e una dignità per l’originalità che lo distingue tra i lavori del genere.
Colonna sonora: 99 Luftballons di Nena.
Proiezione di Giovedì 26 Settembre al Teatro Edi Barrio’s di Sono Guido e non Guido
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