Le statuette del Pardo d’oro e del Pardo per la migliore interpretazione femminile illuminano l’opera notturna di Pedro Costa dal titolo Vitalina Varela.
Tratto da una triste storia vera, il film obbliga gli spettatori ad allargare le pupille sia in senso fisico sia in senso metaforico, attraverso più di due ore di immersione nelle tenebre. Le inquadrature a telecamera fissa e le scene statiche o lentissime sono al servizio di un’anima interrotta, quella della protagonista Vitalina Varela, che interpreta sè stessa.
Capoverdiana in età avanzata, provata dalla sofferenza ma sicura di sè, ella non riesce ad elaborare il lutto per il marito Joaquim de Brito Varela che quarant’anni prima era migrato in Portogallo senza nemmeno salutarla, con la prospettiva di morire solo e disperato lontano dalla sua terra.
A dispetto di un nome di battesimo esistenzialmente positivo, Vitalina atterra a Lisbona quando il corpo del marito è già freddo. Troppo tardi per parlare, per capire. E lei rischia di venire fatalmente inghiottita dallo stesso budello di cemento che il suo uomo si era ridotto ad abitare qui in Europa. Come aveva potuto dimenticare la casa spaziosa e confortevole che la coppia aveva costruito a Capo Verde, impastando a mano i mattoni e tirandone su insieme le mura? Muri in Portogallo ce ne sono tanti, ma alla vedova parlano soltanto di morte. Sono barriere che puntellano claustrofobicamente tutto il film: pareti di squallidi tuguri, finestre chiuse da ferro arrugginito, pietre cimiteriali.
Malgrado ciò, con dolorosa pazienza e irrinunciabile tenerezza, la donna si ritrova scena dopo scena a recuperare dal buio qualche brandello di verità (possibile). Esperienze e pensieri che (forse) appartenevano al tempo in cui lei non era potuta essere accanto al marito. Vitalina cucina per gli ultimi amici di lui e raccoglie le loro confidenze. Si relaziona con il prete che si è incaricato del suo funerale, gli chiede di pregare. Si ostina a tenere accese delle fiammelle votive in memoria di Joaquim, affinchè qualche barlume di comprensione squarci quella gelida notte del cuore.
Di fronte alle inquadrature in cui il regista portoghese compone nelle tenebre l’incarnato scuro della protagonista e di tutti gli altri personaggi del film, insieme agli abiti neri (soltanto in una scena Vitalina indossa il velo bianco, per il resto è sempre vestita di nero), si ha l’impressione di un lavoro complesso, originale e prezioso come lo fu nella primavera del 1800 il dipinto di Marie-Guillemine Benoist, intitolato Ritratto di una donna nera.
Vitalina Varela era già stata protagonista di un altro film di Pedro Costa tratto dalla sua vita (Horse money, Pardo per la migliore regia nel 2014). Ma le sue rughe sono scolpite da dolore autentico, non cinematografico, ed è salita sul palco nella serata di premiazione con l’aria di non sentircisi affatto a proprio agio. Ha ritirato la statuetta ringraziando, per poi abbandonare velocemente il palco.
La giuria del concorso internazionale, presieduta dalla cineasta Catherine Breillat e composta inoltre dalla produttrice Ilse Hughen, dal critico cinematografico Emiliano Monreale, dall’attore Nahuel Pérez Biscayart e dalla filmmaker Valeska Grisebach, ha votato il Pardo d’oro all’unanimità, come ha tenuto ad annunciare Breillat.
Si chiude così quest’ottima edizione del bel festival svizzero a macchie di leopardo, che ha visto accanto al presidente Marco Solari, per la prima volta Lili Hinstin alla direzione artistica.