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Conversation

Shooting The Mafia. Intervista a Kim Longinotto

Shooting the Mafia è il racconto dell'emancipazione femminile e artistica che fa capo alla fotografa internazionale Letizia Battaglia. In esclusiva abbiamo intervistato la regista del film Kim Longinotto

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Che Letizia Battaglia sia un personaggio scomodo lo testimonia il fatto che nonostante la sua opera sia così importante nella lotta contro la mafia tu sei la prima regista che ha pensato di farne la protagonista di un film.

La storia di Letizia non è solo la storia di una persona che scattava foto meravigliose. Credo sia una persona piena di energia, che osò opporsi e questo da molta speranza. Ci saranno sempre persone “normali” che si alzeranno – nonostante la presenza delle autorità e delle persone di cui hai paura e che possiedono le armi e il potere – e diranno “io ti fotografo, indagherò sui tuoi crimini e ti porterò in tribunale“. Credo che abbiamo vissuto per molto tempo con quest’idea del gangster affascinante, trasmessa da film quali, per esempio, Il padrino. Li ho guardati tutti anch’io e penso pure tu. I gangster non sono mai stati così affascinanti ed eccitanti. Compiono queste cose straordinarie e la fanno sempre franca, sembrano così favolosi. Ma non abbiamo mai riflettuto sui giovani che, mentre vanno a scuola o rientrano a casa, vedono un corpo a terra o le persone che lo mettono dentro la bara, come appunto in Shooting the Mafia. Questo negli altri film non succede. Non si vedono mai negli altri film le persone che ripuliscono il sangue e come questo si ripercuota in tutta la società. Non se ne vedono gli effetti. Ed è proprio questo che fa Letizia. Lei fa delle fotografie stupende che ti portano direttamente dentro la scena e ti fanno fermare a riflettere. Come quando lei disse a Giovanni FalconeDevi fermarti, ti uccideranno” e lui rispose “Lo so. Quando morirò altre persone prenderanno il mio posto”. Ecco: questo è qualcosa che ti fa essere orgoglioso della Sicilia. Non esiste solo la Mafia ma ci sono anche persone che negli anni si sono opposte, hanno marciato contro di essa, hanno avuto il coraggio di resistere.

La storia della Mafia non era mai stata raccontata dal di fuori. C’erano i film di Francesco Rosi, come altri film neorealisti, ma in questi c’era molta azione e musica. La parte documentaristica, invece, era carente. Non veniva mai raccontato il coraggio nell’esporre per esempio alle finestre la scritta “pace e giustizia”. Un’altra cosa che mi ha colpito, e che non sapevo, è che la Mafia ha fin dall’inizio ucciso i bambini. Ricordo di aver letto la storia di Luciano Liggio. Uno dei suoi primi omicidi fu quello di un sindacalista. Ne fu testimone un ragazzino di 11 anni e così Navarra, che era un dottore, lo avvelenò. Riuscirono a farla franca perché tutti erano troppo spaventati per fare qualcosa.

A questo proposito ti voglio suggerire un film come Sicilian Ghost Story che oltre a essere uscito sui mercati inglesi racconta proprio questo aspetto particolare della mafia.

L’ho visto. Parla di Giuseppe Di Matteo e mi fa piacere che tu l’abbia citato, perché abbiamo un piccolo spezzone nel film che lo riguarda, dove vedi la buca in cui è stato tenuto prigioniero per due anni prima di essere strangolato. Abbiamo fatto vedere le foto e le persone hanno avuto così modo di capire. La storia di Giuseppe Di Matteo è una testimonianza straordinaria, a mio avviso, di quanto in basso un uomo possa arrivare. Lui conosceva le persone che lo rapirono, andò volontariamente con loro e fu tenuto prigioniero per due anni.

Shooting Mafia ragiona sulla necessità di testimoniare ma anche su ciò che può essere mostrato. Letizia rinuncia a scattare le foto sul corpo martoriato di Borsellino. Tu come regista che limiti ti poni?

Mi piace quando Letizia parla di come riprendeva il dolore e l’angoscia. Penso sia molto difficile per un regista, o un fotografo come lei, riprendere una persona nel momento dell’uccisione di un figlio, un fratello o un amico. Come sia difficile dire loro “faccio questa foto con amore”, come lei dice nel film. Sembra tutto molto sbagliato ma allo stesso tempo si deve documentare il momento. Si deve far vedere l’effetto che questi crimini di mafia creano. Dobbiamo ricordare Rosaria Schifano e il suo coraggio nell’alzarsi e parlare come ha fatto durante il funerale di Falcone e degli uomini della sua scorta.

Ma tu come regista, quando decidi di fermarti ?

Riprendo qualsiasi cosa e poi decido in fase di montaggio. Per esempio, in una scena di un mio film un bambino era affogato. Era il figlio di un amico di un personaggio. Un’azienda aveva dragato il fiume dove questo bambino di solito passava per andare a scuola e lui affogò. Ci siamo recati sul luogo e la madre stava piangendo sul corpo del figlio. Mi sentivo un mostro mentre riprendevo il suo dolore ma il cervello mi diceva che non ero lì per essere amica di qualcuno ma per far vedere quello che stavano vivendo. Loro volevano essere filmati. Nel momento in cui stai girando ti senti malissimo. Quando Letizia mi raccontava le sue storie sapevo di cosa stava parlando. Però noi abbiamo l’obbligo di raccontarle. Quando il film fu finito la madre del bambino mi disse “sono felice che tu abbia raccontato la sua morte. Forse così la compagnia smetterà di dragare il fiume. Forse potremo costruire un ponte. Altrimenti la sua morte sarà stata inutile. Se qualcuno ti criticherà io ti difenderò“. Lei voleva che il film fosse fatto.

Tu hai girato molto in Medio Oriente. Rispetto all’Italia che differenza c’è nel fare foto in quei paesi? Da noi non ci si fa gran caso ma in Medio Oriente fotografare una donna può essere più complicato.

Nel Medio Oriente è più facile per me riprendere una donna, mentre per te gli uomini. In Europa, nel 2019, esiste una maggiore prossimità. Gli uomini possono piangere ed essere sciocchi, essere i migliori amici delle donne e le donne possono uscire ed essere più libere. La situazione quindi qui è cambiata parecchio. Ma il Medio Oriente è costretto ancora in una situazione innaturale.

Una delle sfide che hai dovuto affrontare nel montaggio è stata quella di avere tra le mani due storie: quella di Letizia e l’altra, relativa alla vicende di Falcone e Borsellino. In che maniera hai fatto convivere tali ricchezze di materiali ?

Volevo parlare di entrambe le cose. Penso che la vita di Letizia e la sua arte siano pieni di amore, speranza e umanità. Così come pure quelle di Falcone e Borsellino. Rappresentano la speranza e la ricerca di rendere migliore la società. Vivono in un luogo dove c’è la mafia, che è la morte. Con uno strano concetto della virilità, in cui l’idea della superiorità maschile detta le gerarchie sociali. Nell’intervista a Luciano Liggio si può capire come ci sia quest’idea di essere autorizzato a uccidere appunto in virtù di tale frainteso senso di superiorità. E questo è il codice che ha causato tragedie nel mondo, autorizzando le persone a commettere genocidi. Volevo mettere assieme queste due cose, vale a dire la bellezza e l’amore all’interno delle sue foto con la Mafia che invece rappresenta il potere e la morte. Lei mi disse una volta in siciliano che comandare è meglio che fottere.

Molti uomini in Italia ancora oggi sarebbero d’accordo con questo detto. In Camorra di Francesco Patierno il ritratto del boss Mario Cutolo in pubblico appare come il “tuo” Liggio, sempre gentile, vestito come un gentleman di buone maniere. In che modo hai selezionato il tanto materiale che avevi tra le mani e perché per parlarne hai scelto proprio Letizia Battaglia?

Mi interessai alla Mafia perché mio padre ne era molto appassionato, Era anche un anticomunista e omofobo. Era un uomo molto arrabbiato e pieno di odio. Quindi avrei potuto fare molti film sulla Mafia, sulle tante storie che hanno visto coinvolto Liggio o Tommaso Buscetta, in particolare dell’uccisione dei 17 membri della sua famiglia. Ma la figura principale è Letizia, come pure Falcone e Borsellino. Abbiamo la loro speranza e la loro umanità. Non possiamo dire che Buscetta sia un grande personaggio. Lo vediamo quando lei parla di come funziona la Famiglia. Mi piace quando Totò Riina entra in scena e dice “sono solo un povero contadino” e Letizia dice “questo meschino”. Sono stata felice di farlo vedere per dimostrare quanto sono codardi. Volevo far vedere la Mafia attraverso gli occhi di Letizia. Quello che un film, una poesia o una foto possono fare è renderti forte perché ti mostrano le cose come realmente sono e tu, poi, puoi riderne. Come Letizia dice “puoi vivere tutta la vita nella paura o dire che questi uomini sono patetici“. Hanno paura che le loro mogli vadano con altri uomini; hanno paura del comunismo, paura dei gay, ma perché so così spaventati dai gay? È ridicolo. Quindi questa è la nostra forza, cioè non renderli degli Al Pacino, non farli diventare così affascinanti

Com’è stata Letizia come attrice?

A dir la verità non voleva fare il film. Quando arrivammo ci disse che non era proprio entusiasta. Inoltre, stava facendo anche un’altra cosa con Maresco e credo la ritenesse più importante. All’inizio rimasi un po’ perplessa, poi mi innamorai di lei perché è semplicemente se stessa. È arrivata a un punto della sua vita in cui può permettersi di sorridere delle cose più dolorose da lei affrontate. E ha pure un nuovo compagno.

Al Sundance com’è stato accolto il film?

È stato favoloso. C’è stata un’ottima accoglienza. Le persone non riuscivano a trovare il biglietto. Tutti in America sono interessati alla Mafia. Credo che questo film sia stato uno shock per molti. Il pubblico è rimasto impressionato per come le donne vengono trattate e, in generale, per la situazione femminile.

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  • Anno: 2019
  • Durata: 97'
  • Distribuzione: IWonderPictures
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Irlanda
  • Regia: Kim Longinotto