La scenario è noto, il personaggio un po’ meno. Forse ricorderete il contenzioso che ha costretto la Apple a venire a patti con la comunità europea, versando al governo irlandese la bellezza di 13 miliardi di euro, calcolati sulla base dell’evasione fiscale operata dalla ditta di Cupertino. Al di là di ogni lecita considerazione, quello che qui importa è rilevare l’incidenza delle multinazionali straniere nell’economia del continente, e in particolare di paesi come l’Irlanda, le cui agevolazioni fiscali sono fonte di grandi investimenti da parte dei tycon mondiali. In tale contesto si inserisce la vicenda di Thomas Reid, agricoltore in lotta contro i mandanti dello stato, intenzionati a toglierli la propria terra per consegnarla allo “straniero” e, nella fattispecie, alla Intel, società statunitense specializzata nella costruzione di microprocessori.
Queste poche righe bastano a spiegare le potenzialità del soggetto sul quale si poggia la costruzione del film. The Lonely Battle of Thomas Reid, infatti, oltre a una drammaturgia da legal drama, scaturita dalla causa intentata dal protagonista nei confronti della controparte e dal processo che ne è seguito, funziona anche in senso archetipo, riproponendo in chiave prosaica il confronto tra Davide e Golia, con la fierezza contadina di Reid, pronta a mettersi in gioco anche quando si tratta di affrontare il Moloch dell’apparato burocratico. La particolarità del film di Fergal Ward e Tadhg O’Sullivan è però un’altra, perché, per essere un documentario, The Lonely Battle of Thomas Reid dispone di una fenomenologia che facendo a meno dei topos che dovrebbero essergli usuali, ove per essi si intenda il corredo di nomi e topografie, di interviste e immagini d’archivio, è invece il risultato di una messinscena che trasfigura questi elementi in una rappresentazione straniante e a tratti surreale, in cui la stasi contemplativa di certi passaggi, caratterizzati dai segni di un’esistenza al limite del romitaggio, convivono con la vena surrealista di inserti come quelli relativi al decorso processuale, ambientato nella campagna irlandese (anziché nell’aula del tribunale) e scandito dalle interpretazioni di attori professionisti. La frammentarietà delle inquadrature, la dilatazione temporale presente all’interno delle immagini e la sostanziale rarefazione della griglia narrativa completano lo scorrere di un flusso interiore che appartiene tanto al protagonista quanto all’intera collettività, chiamata dai registi a partecipare all’impresa del coraggioso protagonista. Il risultato è per certi versi spiazzante, per altri anche ostico nella sua mancanza di riferimenti alle soluzioni formali più conosciute. Rigoroso e non celebrativo fino all’ultimo fotogramma.