Tra i primi elaborati cinematografici australiani che sono stati capaci di ottenere visibilità internazionale e un certo successo commerciale, Picnic ad Hanging Rock – anche diffuso con il sottotitolo Il lungo pomeriggio della morte – è stato il film che, nel 1975, ha consentito di raggiungere la fama mondiale al regista Peter Weir, fino ad allora autore soltanto di Le macchine che distrussero Parigi – se escludiamo cortometraggi, documentari e produzioni televisive – e che ci avrebbe poi regalato gioielli della Settima arte del calibro de L’attimo fuggente e The Truman show.
Andiamo, però, in ordine, in quanto tutto è iniziato otto anni prima, quando venne pubblicato il romanzo di Joan Lindsay da cui si attinse per portare in scena la vicenda di un’insegnante e tre allieve dell’Appleyard College che scompaiono misteriosamente il giorno di San Valentino del 1900, durante un’escursione per un picnic, appunto, ai piedi del gruppo roccioso dell’Hanging Rock.
Un tragico episodio che lascerebbe tranquillamente pensare sia ispirato a fatti realmente accaduti, sebbene la scrittrice abbia sempre dichiarato essere puro frutto della propria fantasia, e che, come c’è da aspettarsi, non può fare a meno di far crescere immediatamente nello spettatore una certa sensazione di mistero dal momento in cui si verifica.
Anche perché, nonostante una delle giovani venga ritrovata, questa non sembra riuscire a dare una spiegazione a quanto accaduto, rendendo ancor più intrigante una oltre ora e quaranta di visione che, in maniera affascinante, s’immerge in una solare ambientazione rurale per farne scenografia, però, di un plot destinato a sfiorare i connotati del thriller.
Mentre, accompagnata dalle ossessive musiche di Bruce Smeaton e dal flauto Pan di Gheorghe Zamfir, che tanto ricorda le colonne sonore di determinati spaghetti western, la lenta evoluzione conduce verso un non epilogo, decisamente atipico per l’epoca in cui il lungometraggio venne concepito.
Con quasi dodici minuti di scene tagliate dalla director’s cut, circa ventisei di documentario 1900 – A recollection e un esauriente making of che arriva quasi a sfiorare le due ore nella sezione riservata ai contenuti speciali, lo riscopre in alta definizione Koch Media, che lancia in blu-ray anche Picnic at Hanging Rock, mini-serie televisiva proposta nel 2018 non come remake del classico di Weir, bensì in qualità di riadattamento da piccolo schermo del testo della Lindsay.
Mini-serie diretta da Larysa Kondracki, Amanda Brotchief e Michael Rymer e costituita da sei episodi dalla durata oscillante attorno ai cinquanta minuti ciascuno, racchiusi in questo caso nei primi due dischi del cofanetto, comprendente anche un terzo dedicato esclusivamente al materiale extra: dieci b-roll e dodici interviste ad attori e cast tecnico-artistico, inclusi i produttori, lo scenografo Jo Ford e la sceneggiatrice Alice Addison.
Una mini-serie che, ovviamente, nel riproporre la storia di cui sopra con tanto di inquietante e, a suo modo, magico potere esercitato dalla località suggerita nel titolo, tende a conquistare il giovane pubblico d’inizio terzo millennio, ma mantenendo l’originale ambientazione novecentesca, non spontandola in tempi moderni come avvenuto in operazioni analoghe (si pensi, per esempio, a quanto fatto da Bates motel per rispolverare Psycho).
Tende a conquistarlo soprattutto ricorrendo ad accenni rockeggianti per quanto riguarda la soundtrack; man mano che, tra flashback e tenore dark maggiormente accentuato, si scava, oltretutto, nel problematico passato della direttrice Appleyard, sul grande schermo interpretata dalla Rachel Roberts qui sostituita con la Natalie Dormer de Il trono di spade.
Sia Picnic ad Hanging Rock che Picnic at Hanging Rock sono caratterizzati da custodia amaray inserita in slipcase cartonato, con booklet fotografico dispensato all’interno della confezione.
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