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Conversation

L’importanza del fattore umano: intervista a Leonardo Guerra Seràgnoli regista di Likemeback

Presentato nella sezione dei Cineasti del presente del 71esimo Locarno Festival, Likemeback, opera seconda di Leonardo Guerra Seràgnoli, affronta il rapporto tra giovani e social media in una forma inedita che privilegia il fattore umano su quello tecnologico. Ecco cosa ci ha detto il regista

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Volevo partire dalle attrici (Blu Yoshimi, Angela Fontana e Denis Tantucci) per chiederti come sei riuscito a proporle con un’immagine differente da quella che avevano nei film precedenti. A guardale sullo schermo si stenta a riconoscerle anche dal punto di vista estetico.

Certo avevo visto i film che avevano fatto. Tendenzialmente mi piace incontrare le attrici per sentire se c’è un alchimia di qualche tipo. Dunque, le ho incontrate una per una, e ognuna di loro ha risuonato rispetto al personaggio che avevo in mente. Mi ero fatto una traccia sulla base di una piccola sceneggiatura lunga non più di dodici pagine, che però conteneva tutto l’arco narrativo del film e, appunto, le tracce dei personaggi con le relative schede.

Senza dialoghi?

Si. Avevo solo scritto che parlavano di questo e di quest’altro. Ciò perché prima di scrivere volevo stare in mezzo a loro, conoscerle per evitare di buttare giù dei dialoghi derivati solo dal mio punto di vista.

Quindi il primo approccio è stato visivo ?

Diciamo che prima ho convocato una ventina di ragazze, ma per esempio Blue mi è stata consigliata da un amico che mi aveva detto che era molto brava. Una volta scelte, è iniziato un lavoro molto complesso durato cinque mesi per creare la complicità necessaria e quel tipo di amicizia che non è esente da momenti di competizione, come anche di cattiveria, espressa attraverso battute di un certo tipo. In più, abbiamo aperto un profilo su Instagram intitolato appunto Likemeback, in cui loro si sono dapprima presentate come attrici per poi identificarsi completamente con i personaggi del film.

Hanno interagito con i visitatori del profilo?

Si. Non solo loro, ma anche io e questo ci è servito per fare esperienza e per entrare in quella dimensione social che regola le esistenze delle tre amiche. L’ultimo mese, poi, le ho costrette a postare ogni giorno una foto in funzione della psicologia del loro personaggio, costringendole sempre più a immedesimarsi; poi – vivendo in differenti regioni – si scrivevano dalle rispettive città. Si trattava anche di fare una sorta di meta-cinema, sul genere del film nel film. Uno, quello che abbiamo, fatto di ispirazione classica; l’altro, che non vedi sullo schermo ma nel social, dove loro si scambiavano messaggi e foto.

Leonardo+Guerra+Seragnoli+Last+Summer+Press+5EfaiaNqCOrl

I dialoghi come sono venuti fuori?

Un po’ li ho scritti io, un po’ abbiamo lavorato insieme alle attrici. Io scrivevo e poi magari loro mi dicevano “Io non avrei detto una cosa del genere!”. Non solo volevo che sullo schermo arrivasse la loro voce, ma ciò che dicono viene direttamente dalla loro generazione quindi chi meglio di loro poteva aiutarmi. Lo hai detto tu nella domanda. Io volevo raccontare l’umano e quindi come esso reagisce quando viene a contatto con la realtà dei social media. Volevo guardare e osservare le reazioni di chi vi interagisce.

Volevo partire dalla forma del tuo film. A differenza di altri, in cui età giovanile e social media convergono nella rappresentazione dell’esistenza, tu decidi di escludere la visione del mezzo tecnologico per puntare la macchina da presa sull’umano e le sue manifestazioni. Volevo che mi parlassi di questa scelta.

Si. È una scelta che ho fatto. La volontà della mia regia era quella di seguire lo stato d’animo che i social ti danno. Se tu fai vedere il contenuto di queste pagine, metti lo spettatore nella condizione di non avere mai delle pause tra un momento e l’altro; mentre se ti poni dal punto di vista delle ragazze e devi aspettare il tempo a loro necessario per poterne vedere i contenuti, crei uno stato di stasi e per certi versi anche di noia e di ripetitività che corrisponde all’autentico stato d’animo di colui che frequenta i social, cosa che va incontro alle premesse del film.

La messinscena del film, con le inquadrature che escludono il resto del paesaggio per concentrarsi sui volti e sui corpi delle ragazze, poteva anche essere girata all’interno di uno spazio ristretto se non addirittura chiuso. La scelta di non averlo fatto, insieme alla decisione di inserire i personaggi in un paesaggio in continuo movimento derivava dalla volontà di dare ritmo al film o il viaggio di Lavinia, Carla e Danila è connesso con la struttura da romanzo di formazione di Likemeback?

Il viaggio è un vero e proprio elemento narrativo tipico del romanzo di formazione. In realtà, il loro è un po’ viaggio nel vuoto, perché in fondo si trovano in una sorta di non luogo. Poi, improvvisamente, si sente la volontà di fare un vero e proprio reset quando scendono a terra, e sembra che siano all’inizio della vacanza, come se le ragazze avessero il desiderio di ricominciare lasciandosi dietro quello che è successo prima. E questo meccanismo è strettamente legato al tempo delle emozioni dei social media, tempo del tutto differente da quello della realtà. L’emotività che si ha nella vita di tutti i giorni ha un crescendo, un climax e una caduta mentre nei social questa ha un algoritmo diverso che, raggiunto il picco, torna direttamente a zero fino al reset. Il mio film è stato costruito con queste modalità. Il cambio di marcia molto forte costituito dalla sequenza della discoteca corrisponde proprio a questi improvvisi sbalzi di temperatura in cui in un istante si va da una marcia ridotta direttamente alle sesta.

Tu escludi la compagine maschile che, quando presente, è espressione di minaccia e rapacità. D’altro canto anche le ragazze non sono al di sopra di ogni sospetto, per cui ti chiedo qual è nel tuo film la relazione tra maschile e femminile?

Per me sarebbe stato più facile fare un film su dei ragazzi, ma considerando che a me interessava approfondire l’argomento dello stalking e dello cyberbullying, che in percentuale colpisce più le donne, è ovvio che le tre ragazze del film costituivano le prede perfette per innescare tali fenomeni, ma allo stesso tempo mi piaceva fare un film un po’ libero dal concetto uomo donna. In più mi piaceva andare ad ascoltare qualcosa che non conosco, come è appunto il mondo femminile rappresentato dalle tre ragazze. In tutto questo l’uomo è messo da parte e anche un poco strumentalizzato come succede allo skipper.

Per finire volevo sapere se esiste un film a cui ti sei ispirato per il tuo lavoro.

A me piace molto Maren Ade, anche prima di Toni Ederman, per come mette in scena le dinamiche tra i personaggi, e poi amo visceralmente il cinema di Bergman, in cui ci sono queste donne che hanno rapporti tra di loro. Poi c’è Antonioni e tra gli autori di oggi Jonas Carpignano.

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  • Anno: 2018
  • Durata: 80
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia, Croazia
  • Regia: Leonardo Guerra Seràgnoli
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