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CONVERSATION

Ai tempi della New Hollywood: intervista a Richard Dreyfuss

Con film come Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo, Richard Dreyfuss è stato una delle icone della New Hollywood. In occasione del Magna Graecia Film Festival, dove è stato premiato per la sua carriera, lo abbiamo intervistato

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Lei è stato una delle icone della cosiddetta New Hollywood. Le volevo chiedere che clima si respirava sul set e se ci si rendeva conto di scrivere un momento unico e irripetibile del cinema americano?

Penso che chiunque dicesse di saperlo mente! È solo ora che io e gli  amici, che insieme con me hanno vissuto quegli anni – e parlo di attori, registi, produttori e sceneggiatori – abbiamo realizzato di avere fatto qualcosa, come gruppo, che non era mai stato fatto. Dimmi tu come definire la cosa, perché io ancora non sono in grado.

Ciò che so è che l’abbiamo fatto. Ai tempi, quando cominciai a essere conosciuto, volevo formare un gruppo e invitare persone che non conoscevo come Dustin Hoffmann, Robert De Niro, Al pacino, e dirgli  “salute, beviamo”. Non avrei saputo neanche a cosa avremmo brindato, ma ciò che volevo è dire “salute” insieme a loro. Desideravo che ne facessero parte le persone che hanno iniziato a fare film in quegli anni. Ora, prima di morire, bisogna riuscire a farlo un’altra volta: alzare i bicchieri tutti insite e dire “A noi”, perché il momento in cui lo dissi per la prima volta i miei amici incominciarono a morire. E so che altri moriranno prima che organizzeremo un altro party, ma se ci sbrighiamo e facciamo passaparola ce la facciamo. L’unico posto dove potremmo farlo è Central park, a NY. Questo è reale, negli ultimi 6 mesi ho fatto passaparola, perciò è un evento che si farà. Ma non sarò io a organizzarlo, si organizzerà da solo, basta che venga detto a tutti. Eravamo unici, ma l’abbiamo capito più tardi. Dobbiamo recuperare il tempo perduto e festeggiare. È necessario farlo!

Una delle caratteristiche di quel cinema era riuscire a raccontare la realtà per quello che era, utilizzando attori con una fisionomia normale, molto vicina a quella delle persone comuni. Da questo punto di vista è giusto dire che allora per un attore contava di più saper recitare?

Quando mi trovai in Italia negli anni settanta qualcuno mi disse che assomigliavo a un uomo comune e non a una star del cinema. e  che per questo rappresentavo una rivoluzione nell’ambito della produzione hollywoodiana. Ma io dissi di no: Spencer Tracy, Edward J.Robinson sono uomini comuni. Va bene per John Wayne o Henry Fonda, ma non vale per me. Eravamo come tutti gli altri. E lo siamo ancora. I film non hanno mai richiesto stupende divinità. Nessuno assomiglia a Vittorio Gassman se non lui, ma io ho sempre saputo che c’era uno spazio nella produzione cinematografica per storie che potevo raccontare e personaggi che potevo interpretare. E non è vero che ci servisse l’Actors studios: in realtà penso che Lee Strasberg sia stato uno dei personaggi più dannosi per la nostra cultura, perché riuscì a far passare l’idea che l’unica cosa che valeva la pena di rappresentare era l’uomo comune. Con questo intendeva che nessuno avrebbe fatto la storia di Philadelphia, o quelle dei Rockfellers, ma l’America è fatta di gente comune che ambisce a essere milionaria e ogni classe sociale è parte di questa idea. Quindi si sbagliava.

Guardando la sua filmografia, si vede la qualità di un attore in grado di interpretare qualunque ruolo, senza alcuna differenza tra comico o drammatico. Qual è il il metodo che glielo consente, e qual è il suo modo di lavorare per entrare nei diversi personaggi?

Rispondo prima alla seconda domanda: come ci riesco? Non ne ho idea, lo faccio e basta. Ma decido deliberatamente che se faccio una commedia sono drammatico, e che se faccio un dramma sono comico. Questo perché l’umanità racchiude entrambe le nature. Per me la risata è il regalo più grande che si possa fare a qualcuno e ogni ruolo è un’esperienza divina; il dramma invece è eterno. Le cose che erano drammatiche per gli antichi greci lo sono ancora più ora, mentre le cose che erano divertenti per Shakesperare non lo sono più adesso. Ciò che è divertente ora non lo sarà fra cento anni, perché la commedia è qualcosa di “locale”, di definito dagli anni in cui nasce, mentre il dramma parla di cose universali.

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Prima di diventare l’attore prediletto di Steven Spielberg, che la chiamò per Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo, lei aveva appena recitato ne Il pornografo, in cui interpretava un regista costretto a sopravvivere girando film a luci rosse. Esiste un legame tra questo film e i due girati subito dopo con Spielberg? E se no, qual è stato il motivo per cui il regista americano si è innamorato cinematograficamente di lei?

Steven dice che a quei tempi lo rappresentavo, mentre ora penso che sia Tom Hanks a ricoprire questa funzione. Il film The pornographer parlava di un genio, forzato dalle circostanze a girare solo film porno, ma facendo i migliori porno e di questo parla il film, non di sesso. Non si vede mai niente.

Dopo tutti questi anni e i suoi lavori nella Hollywood indipendente si sente parte di questo mondo oppure ha l’impressione di essere ancora uno straniero?

Sono ancora uno straniero.

Intervista a cura di Carlo Cerofolini

Un ringraziamento particolare va a Carlo Dutto della Reggi&Spizzichino Communication , l’ufficio stampa del festival che ha consentito di realizzare l’intervista, e a Barbara Unternaehrer per la traduzione dall’inglese all’italiano. 

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