Lei è stato una delle icone della cosiddetta New Hollywood. Le volevo chiedere che clima si respirava sul set e se ci si rendeva conto di scrivere un momento unico e irripetibile del cinema americano?
Penso che chiunque dicesse di saperlo mente! È solo ora che io e gli amici, che insieme con me hanno vissuto quegli anni – e parlo di attori, registi, produttori e sceneggiatori – abbiamo realizzato di avere fatto qualcosa, come gruppo, che non era mai stato fatto. Dimmi tu come definire la cosa, perché io ancora non sono in grado.
Ciò che so è che l’abbiamo fatto. Ai tempi, quando cominciai a essere conosciuto, volevo formare un gruppo e invitare persone che non conoscevo come Dustin Hoffmann, Robert De Niro, Al pacino, e dirgli “salute, beviamo”. Non avrei saputo neanche a cosa avremmo brindato, ma ciò che volevo è dire “salute” insieme a loro. Desideravo che ne facessero parte le persone che hanno iniziato a fare film in quegli anni. Ora, prima di morire, bisogna riuscire a farlo un’altra volta: alzare i bicchieri tutti insite e dire “A noi”, perché il momento in cui lo dissi per la prima volta i miei amici incominciarono a morire. E so che altri moriranno prima che organizzeremo un altro party, ma se ci sbrighiamo e facciamo passaparola ce la facciamo. L’unico posto dove potremmo farlo è Central park, a NY. Questo è reale, negli ultimi 6 mesi ho fatto passaparola, perciò è un evento che si farà. Ma non sarò io a organizzarlo, si organizzerà da solo, basta che venga detto a tutti. Eravamo unici, ma l’abbiamo capito più tardi. Dobbiamo recuperare il tempo perduto e festeggiare. È necessario farlo!
Una delle caratteristiche di quel cinema era riuscire a raccontare la realtà per quello che era, utilizzando attori con una fisionomia normale, molto vicina a quella delle persone comuni. Da questo punto di vista è giusto dire che allora per un attore contava di più saper recitare?
Quando mi trovai in Italia negli anni settanta qualcuno mi disse che assomigliavo a un uomo comune e non a una star del cinema. e che per questo rappresentavo una rivoluzione nell’ambito della produzione hollywoodiana. Ma io dissi di no: Spencer Tracy, Edward J.Robinson sono uomini comuni. Va bene per John Wayne o Henry Fonda, ma non vale per me. Eravamo come tutti gli altri. E lo siamo ancora. I film non hanno mai richiesto stupende divinità. Nessuno assomiglia a Vittorio Gassman se non lui, ma io ho sempre saputo che c’era uno spazio nella produzione cinematografica per storie che potevo raccontare e personaggi che potevo interpretare. E non è vero che ci servisse l’Actors studios: in realtà penso che Lee Strasberg sia stato uno dei personaggi più dannosi per la nostra cultura, perché riuscì a far passare l’idea che l’unica cosa che valeva la pena di rappresentare era l’uomo comune. Con questo intendeva che nessuno avrebbe fatto la storia di Philadelphia, o quelle dei Rockfellers, ma l’America è fatta di gente comune che ambisce a essere milionaria e ogni classe sociale è parte di questa idea. Quindi si sbagliava.
Guardando la sua filmografia, si vede la qualità di un attore in grado di interpretare qualunque ruolo, senza alcuna differenza tra comico o drammatico. Qual è il il metodo che glielo consente, e qual è il suo modo di lavorare per entrare nei diversi personaggi?
Rispondo prima alla seconda domanda: come ci riesco? Non ne ho idea, lo faccio e basta. Ma decido deliberatamente che se faccio una commedia sono drammatico, e che se faccio un dramma sono comico. Questo perché l’umanità racchiude entrambe le nature. Per me la risata è il regalo più grande che si possa fare a qualcuno e ogni ruolo è un’esperienza divina; il dramma invece è eterno. Le cose che erano drammatiche per gli antichi greci lo sono ancora più ora, mentre le cose che erano divertenti per Shakesperare non lo sono più adesso. Ciò che è divertente ora non lo sarà fra cento anni, perché la commedia è qualcosa di “locale”, di definito dagli anni in cui nasce, mentre il dramma parla di cose universali.
Prima di diventare l’attore prediletto di Steven Spielberg, che la chiamò per Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo, lei aveva appena recitato ne Il pornografo, in cui interpretava un regista costretto a sopravvivere girando film a luci rosse. Esiste un legame tra questo film e i due girati subito dopo con Spielberg? E se no, qual è stato il motivo per cui il regista americano si è innamorato cinematograficamente di lei?
Steven dice che a quei tempi lo rappresentavo, mentre ora penso che sia Tom Hanks a ricoprire questa funzione. Il film The pornographer parlava di un genio, forzato dalle circostanze a girare solo film porno, ma facendo i migliori porno e di questo parla il film, non di sesso. Non si vede mai niente.
Dopo tutti questi anni e i suoi lavori nella Hollywood indipendente si sente parte di questo mondo oppure ha l’impressione di essere ancora uno straniero?
Sono ancora uno straniero.
Intervista a cura di Carlo Cerofolini
Un ringraziamento particolare va a Carlo Dutto della Reggi&Spizzichino Communication , l’ufficio stampa del festival che ha consentito di realizzare l’intervista, e a Barbara Unternaehrer per la traduzione dall’inglese all’italiano.