Quando nel Luglio del 2013 fece la sua primissima apparizione sui teleschermi statunitensi, nessuno si aspettava quel successo.
Con la sua azzeccatissima formula trash che prevede l’America attaccata da tornado portatori di squali svolazzanti pronti ad ingurgitare i comuni mortali, Sharknado ha finito per generare in brevissimo tempo una vera e propria saga votata, di capitolo in capitolo, a spingersi sempre più oltre in fatto di assurdità, arrivando perfino a parodiare Star wars e altri popolari franchise.
Una saga completamente firmata dall’effettista Anthony C. Ferrante e che, giunta nel 2018 al sesto episodio The last Sharknado: It’s about time, è arrivata anche a stimolare la realizzazione di elaborati collaterali in fotogrammi, come il bizzarro mockumentary Sharknado: Heart of sharkness, diretto nel 2015 da Jeremy Wagener.
Mockumentary che, tra interventi del supervisore agli effetti visivi Joseph J. Lawson e del tecnico del suono Tim Crowe, cala Jared Cohn nei panni del fantomatico regista David Moore, il quale sembrerebbe essere stato il primo ad aver sognato pescecani in un tornado, arrivando ad usarne di veri per concepire quello che doveva essere, in principio, il primo Sharknado.
Una ironica operazione che, con il coinvolgimento di interpreti quali Zack”Postal”Ward e la Julie McCullough de Il fluido che uccide, sfrutta lo stratagemma del falso documentario per raccontare la fallimentare genesi – con tanto di grotteschi provini – di un lungometraggio in realtà mai esistito.
Con un’esilarante momento con dildo e perfino il coinvolgimento del David Michael Latt artefice della famigerata casa di produzione Asylum, della quale la oltre ora e venti di visione in questione si rivela una autoironica presa in giro atta ad evidenziare il divario che intercorre tra i suoi folli lavori a base di gigantesche creature e distruzioni planetarie low budget e l’autentico concetto di arte.
Il Latt che troviamo intervistato insieme al co-produttore Paul Bales anche in Sharknado: Feeding frenzy, che, sempre datato 2015 e messo in piedi da Wagener, è, invece, un vero e proprio documentario atto a condurre alla scoperta del processo che ha trasformato Sharknado – allora arrivato al terzo appuntamento – in un fenomeno della cultura pop.
Fenomeno la cui crescita apprendiamo essere stata alimentata dai social network; man mano che, oltre al citato Ferrante e ad un manipolo di giornalisti, prendono la parola lo sceneggiatore sharknadiano Thunder Levin, i produttori David Rimawi, Thomas P. Vitale e Chris Regina, Mike Mendez, regista di The convent e Big ass spider!, Anthony Timpone, editore della rivista horror Fangoria, e gli attori Judah Friedlander, Cassie Scerbo, Tiffany Shepis, Tara Reid e, chiaramente, Ian Ziering, star della serie, nonché ex Steve Sanders del telefilm Beverly Hills 90210.
E, inizialmente tutt’altro che fiducioso nei confronti di quello che si presentava in qualità di progetto di fantascienza a basso costo che non avrebbe certo presentato effetti speciali degni dei blockbuster di James Cameron, è proprio quest’ultimo a rilasciare interessanti dichiarazioni nei confronti di un già cult dei b-movie il cui titolo, in fase di pre-produzione, venne cambiato in Dark skies perché nessuno, altrimenti, vi avrebbe preso parte.
Ma non si tratta delle uniche curiosità di cui potrete venire a conoscenza visionando i due elaborati in questione, ora disponibili su supporto blu-ray italiano grazie a Koch Media, che li lancia in un cofanetto a doppio disco racchiuso in custodia amaray e intitolato Sharknado – Alle origini del mito.